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Obsolescenza Programmata: cosa significa e come cambia il consumo

Obsolescenza Programmata: cosa significa e come cambia il consumo

L’Antitrust italiano ha multato Apple e Samsung, per obsolescenza programmata.
Scopriamo cos’è, in che modo è vantaggiosa per le aziende a discapito dei consumatori.

«L’AGCMacronimo di Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – ha accertato che le società del gruppo Apple e del gruppo Samsung hanno realizzato pratiche commerciali scorrette in violazione degli artt. 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo in relazione al rilascio di alcuni aggiornamenti del firmware dei cellulari che hanno provocato gravi disfunzioni e ridotto in modo significativo le prestazioni, in tal modo accelerando il processo di sostituzione degli stessi».

C’è bisogno che vi spieghiamo la nota ufficiale?

È sufficientemente chiaro che tanto Apple quanto Samsung – e chi può dirlo, probabilmente anche altre società Hi-tech – in un primo momento pubblicizzino prodotti resistenti a traumi, liquidi e “infortuni” di ogni sorta, promuovendo processori, sistemi operativi, componenti di ultimissima generazione e creando nell’immaginario del consumatore l’idea di effettuare un vero e proprio investimento a tempo indeterminato.

Il costo ingente di un device è giustificato con la sua presunta longevità e l’alta qualità dei servizi ottenuti.
Tuttavia ognuno di noi potrebbe raccontare una storiella molto simile. Dopo qualche mese dall’acquisto di un prodotto, ecco che all’uscita dell’ennesimo aggiornamento del software le cose iniziano a cambiare. In peggio.

Il device è lento, le applicazioni si aprono in ritardo, la batteria si esaurisce velocemente lasciandoci “in panne” a metà giornata.
Viviamo schiavi di cavetti e carica batterie, sbuffando ad ogni schermata bianca dello smartphone in attesa che il lancio di un app si completi.

Come è possibile che uno strumento da 600-800-1.000 € con qualche mese di vita alle spalle sia già così poco performante?

OBSOLESCENZA PROGRAMMATA

Seppure la nota ufficiale dell’AGCM non lo dica espressamente (leggi qui il comunicato stampa del 24 ottobre 2018), le due società sarebbero state pizzicate con le mani nella marmellata.
Un vasetto scuro con su scritto Obsolescenza Programmata.
Il rilascio di alcuni aggiornamenti, infatti, provocherebbero gravi disfunzioni e ridurrebbero le prestazioni dei cellulari o di altri apparecchi, generando in questo modo la sensazione nel consumatore che sia arrivato il momento di sostituire il proprio smartphone con uno nuovo.

Ecco, magari proprio quello lanciato sul mercato con non poca eco mediatica, giusto qualche giorno prima che il device cominciasse a fare cilecca.

Non acquisteremmo dunque il nuovo prodotto perché migliorerebbe realmente le nostre vite, il nostro lavoro, offrendoci di più.

Lo faremmo semplicemente perché non più soddisfatti di quello in uso.

Quella dell’Antitrust è ad oggi ritenuta una sentenza storica, perché mette un punto sull’egemonia delle grandi società tutelando il diritto del consumatore a beneficiare di un bene per il tempo che realmente ritiene opportuno.

La “costrizione” all’acquisto e l’imposizione subdola a rimanere al passo con il mercato avevano condotto milioni di persone a cestinare prodotti eccellenti in favore di nuovi apparecchi non così dissimili da quelli scartati.

Alla faccia del consumismo!

Apple e Samsung si sono arrese? Macché!
Mentre la prima non si è ancora espressa ufficialmente, Samsung ha già diramato la sua nota ufficiale nella quale rigetta l’accusa e annuncia il ricorso, sottolineando la volontà societaria di offrire sempre la miglior esperienza possibile ai propri clienti.

UN MALE “ANTICO”

L’obsolescenza programmata non è una novità sul mercato.
La necessità di tenere sempre vive le vendite ed evitare cali, soprattutto per chi produce prodotti resistenti e poco deteriorabili, ha già spinto in passato società illustri ad accorciare la vita del prodotto.

Philips, ad esempio, ridusse la vita delle lampadine ad incandescenza (non proprio ieri quindi) da 2500 a 1000 ore. Oltre la metà del tempo, tradotta in una maggior frequenza d’acquisto.

Anche per questo motivo la commissione UE ha da tempo inserito una direttiva sull’ecodesign nei regolamenti comunitari, volta a spingere i prodotti a sviluppare una produzione duratura e più facilmente riparabile, proprio per contrastare un consumismo pericoloso su molti fronti.

EVITARE LA MALATTIA

Impossibile.
Proviamo a pensare a quanto spesso queste aziende rilasciano aggiornamenti dei software.

Fermiamoci a riflettere su come le app si interfacciano tra loro, e quanto sia necessario che, laddove un’applicazione sviluppi tecnologia avanzata (la realtà aumentata né è un esempio), le aziende siano costrette a supportare con device sempre più prestanti.

Questo vuol dire che al di là di un’invecchiamento voluto e programmato, la tecnologia si evolve ad una velocità inarrestabile, tanto da rendere effettivamente “vecchio” un qualsiasi supporto nel giro di qualche anno.

Sul banco d’accusa non va l’obsolescenza, che è caratteristica di ogni cosa. Qualsiasi lavatrice, frigorifero, tv o computer è destinato ad esaurirsi.
È la programmazione della durata ad avere il dito puntato, la decisione a priori di rendere “limitato” qualcosa che viene invece pubblicizzato come indistruttibile o che “durerà per sempre”.

LA SOLUZIONE “FAI DA TE”

Abbiamo una buona notizia: L’obsolescenza programmata può essere sconfitta grazie al fai-da-te.

Se non caschi nella trappola dell’effetto alone e desideri essere autonomo nella gestione hardware del tuo smartphone, ti consigliamo di guardare questo video del 28 Ottobre andato in onda su Italia 1.

Alice Martinelli ci spiega un metodo alternativo per “combattere” l’obsolescenza programmata.

Adesso ti propongo un piccolo esperimento.
Apri il cassetto dei ricordi, degli oggetti vecchi.
Quel cassetto in cui conservi gelosamente il walkman del liceo o le candeline del tuo diciottesimo compleanno.

Quanti vecchi telefonini vi conservi?


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Effetto Alone, quando bello diventa bravo

Effetto Alone, quando bello diventa bravo

È un errore universale, appartiene infatti a tutto il genere umano e accade ogni giorno, più volte al giorno e in più ambiti.

Qualcuno lo definisce semplicemente errore di giudizio.
L’effetto alone è un processo mentale che nella comunicazione viene ampiamente sfruttato dalle aziende.

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Spot Nespresso – Anno 2015

Cos’è l’effetto alone

Ti è mai capitato di voler acquistare online un prodotto di cui non avevi mai sentito parlare prima solo dopo averne visto una presentazione video che ne esaltasse la bellezza e il design?

Hai mai acquistato un prodotto da scaffale perché il packaging era davvero fighissimo o perché presentato in pubblicità da una star decisamente attraente?

Hai mai ritenuto una persona estremamente bella e affascinante, anche capace di cose che poi nella realtà dei fatti non era in grado di svolgere al meglio?

Immagina un laureando in medicina che presenti la sua tesi di laurea in jeans e canottiera di fronte alla commissione.
O un avvocato che sviluppi la sua difesa in bermuda e infradito in piedi dinanzi al giudice.

Sfortunatamente il nostro cervello utilizza il dato della bellezza per sviluppare tutte le altre percezioni.
La vista è infatti uno dei sensi più determinanti per lo sviluppo delle sensazioni sensoriali.

Immagina di toccare un oggetto disgustoso con gli occhi bendati. Probabilmente la sensazione di disgusto reale la svilupperesti solo dopo aver tolto la benda, avendo semplicemente fino a quel momento compreso di avere tra le dita una sostanza scivolosa o umida.

È questo che facciamo, attribuiamo delle qualità positive a tutto ciò che appare bello esteticamente.
Creiamo pregiudizi negativi verso ciò che non si mostra sufficientemente affascinante, e viceversa riserviamo molta fiducia in coloro che si presentano molto bene.
Non è certo una cosa nuova. Pensa ai rappresentanti, gli assicuratori, i bancari di un tempo. Se l’obiettivo era ottenere la fiducia del cliente, il look e la cura del proprio aspetto erano il primo fondamentale passo.

Riassumendo dunque, l’effetto alone è il processo mentale che ci induce ad attribuire una certa caratteristica a qualcosa o qualcuno partendo da un’altra sua caratteristica.

La conseguenza sulle risorse umane

Un eccellente talent scout o chiunque lavori nel settore del reclutamento e delle risorse umane dovrebbe essere immune dall’influenza dell’effetto alone.

Se si vuole cercare un collaboratore davvero affidabile e che sappia farsi carico delle sue mansioni con impegno e diligenza, è necessario imparare a non cadere nel tranello che l’aspetto fisico potrebbe rappresentare.
Un collaboratore ordinato e ben vestito, che si esprime correttamente potrebbe anche non essere il miglior candidato possibile.

Per questo motivo le aziende più strutturate costruiscono un percorso selettivo in cui il candidato è costretto a misurarsi con alcune prove pratiche effettuate da selezionatori diversi.
La combinazione dei diversi risultati e l’opinione di più esaminatori costruiscono un profilo più accurato del candidato.

Si è registrata l’influenza dell’effetto alone anche in ambito giudiziario, laddove il giudice si è dimostrato maggiormente benevolo nei confronti di imputati di bell’aspetto nel deciderne la sentenza e gli anni di detenzione.

L’effetto alone nel marketing

Ciò che appare bello è desiderabile.

Questo è il principio che indirizza la comunicazione pubblicitaria. Per questo motivo non si può lasciare al caso l’aspetto pubblicitario dei nostri prodotti o servizi.
In questo ambito acquisiscono maggior valore il design e il packaging.
Quando però parliamo dell’aspetto pubblicitario di un prodotto non intendiamo il modo in cui fisicamente appare ai possibili clienti, ma tutte le attività digitali e non finalizzate alla promozione del servizio stesso.
La qualità delle fotografie utilizzate nei cataloghi, la struttura grafica di un depliant, la consistenza della carta di un menu al ristorante, la facilità di navigazione di un sito internet da più device, il coinvolgimento dei contenuti social.

Qualsiasi azione di marketing che riesca a suscitare un’interazione con il pubblico deve essere curata e di alta qualità.
Ogni azione, ogni contenuto, contribuisce alla costruzione dello status di un prodotto.

La cosa davvero interessante è che l’uomo non è in grado di comprendere quando l’effetto alone ha avuto inizio e in quali valutazioni ha giocato un ruolo importante.

Questo significa, banalmente, che se riusciamo a fare un’ottima prima impressione sul nostro cliente, ci saremo guadagnati una silenziosa voglia di giustificare anche le piccole sbavature, o addirittura che quest’ultime passino come qualità positive.

Non è diverso da ciò che accade tra innamorati che nei primissimi mesi di innamoramento riescono a perdonarsi difetti e sviste che una coppia sposata da anni invece affronta con nervosismo e rabbia.

Hai mai visto come le aziende utilizzano l’effetto alone per promuovere il proprio prodotto?

Quante volte ti sei soffermato ad ammirare la perfezione dei panini di McDonald’s? Goditi il “McAlone”

Il BB pensiero

A tal proposito vogliamo citare una frase davvero significativa di Franck Pick, l’ideatore del celebre logo della metropolitana londinese ed esperto di design urbano e industriale, una frase che campeggia sui supporti cartacei che utilizziamo durante le nostre consulenze, a ricordarci il motivo per cui è importante il valore del nostro lavoro a supporto di aziende e professionisti.

Good Design is a Good Business.

A buon intenditor…


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Sei sicuro che le tue campagne Facebook (NON) funzionino?

SEI SICURO CHE LE TUE CAMPAGNE FACEBOOK (NON) FUNZIONINO ?

Funziona pressappoco così

Sei un professionista, un imprenditore.

Gestisci una o più pagine Facebook e hai finalmente compreso che una pagina depositata sul social network blu non può prescindere da un budget destinato alle sponsorizzate.

L’algoritmo è implacabile.

Quindi ti butti nella giungla chiamata Facebook Ads e nel giro di qualche ora riesci a capire il funzionamento di base dell’area promozioni della pagina.

Costruisci il tuo pubblico – ho fiducia in te e sento che è quello giusto – e stanzi un budget specifico per un certo periodo di tempo.

Ora attendi paziente alla finestra aspettando che arrivino i clienti a comprare il tuo prodotto.

Un prodotto di qualità eccelsa, naturalmente.

Finito il periodo della campagna decidi di dare un’occhiata ai click, alle persone raggiunte, alle interazioni con la sponsorizzata.

Ed è qui che arriva quella fastidiosa sensazione di sconforto.

Basta! Le Ads di Facebook non funzionano!  Richiami l’amico tuo che ti offre i 6×3 in centro e i 120×70 sugli autobus per quindici giorni. L’hanno scorso hanno funzionato.

Se ancora non è successo, succederà

Ora riavvolgiamo il nastro.

Perchè questo è ciò che accade a moltissimi inserzionisti di Facebook. Forse non a te, forse non ancora, ma è una tappa per tutti, lo è stata anche per noi.
Finché non abbiamo capito che una campagna Facebook va valutata non solo per i suoi risultati diretti, ma anche e soprattutto per i suoi effetti secondari, nel tempo.

Una sponsorizzata può agevolare il processo di Inbound Marketing. Può generare l’azione che desideri, dal click sul contenuto visivo, al play di un video, al click ad un link del sito. Puoi ambire ad aumentare i Mi Piace alla pagine o ad innescare la lead generation pianificata e acquisire un prospect di qualità.

Non è sempre amore a primo click, ma...

Certe volte però – la maggior parte delle volte in realtà – la conversione del contatto in cliente non avviene con “colpo di fulmine”, ma si sviluppa a distanza di qualche giorno, a freddo o semplicemente dopo che l’utente si è debitamente informato sul tuo conto.

Dunque da una parte la tua inserzione può generare un’azione immediata, altre volte può lasciare un seme nella testa dell’utente e indurlo a completare l’acquisto in seguito. In entrambi i casi la tua inserzione avrà funzionato, tuttavia avrai percezione solo del primo caso descritto, ovvero l’azione immediata.

O FORSE NO…

...FACEBOOK ATTRIBUTION diventa tuo alleato!

Potresti conoscere anche gli effetti nel tempo se utilizzassi Facebook Attribution.

In Gestione delle Inserzioni, studiando i dati relativi ad un post sponsorizzato, potresti ottenere dati come impression, reazioni al post, visualizzazioni del video o condivisioni, a puro titolo di esempio.

Non potrai invece analizzate ad esempio un acquisto sul sito a distanza di 5-10 giorni, se non utilizzando Attribution nelle funzioni Report e Misurazioni.

Un tool davvero interessante che monitora il comportamento successivo di chi ha interagito con la tua inserzione. Potresti arrivare a conoscerne le azioni fino ai 28 giorni successivi.

Clicca sull’immagine per ingrandirla

E se ti dicessi che potresti  conoscere ancora meglio il tuo pubblico?

Rimane sottinteso che se vuoi rendere davvero efficaci le tue sponsorizzate non puoi fare a meno dell’uso del Pixel di Facebook se il tuo obiettivo e portare gli utenti del social sul tuo sito.

Grazie al Pixel infatti, potrai cominciare a conoscere approfonditamente il tuo pubblico ricorrente, replicarlo, ampliarlo sulla base delle caratteristiche predominanti, o semplicemente puntarlo per aumentare la tua brand awerness nei loro confronti.

Ricorda: oggi i dati valgono quanto o più del denaro. E la conversione da contatto a cliente è solo l’ultimo passaggio del processo che parte con la conoscenza e la percezione del brand, la cosiddetta awareness.

Se lavori attraverso più campagne, settate sul medesimo pubblico, potresti avere ottimi risultati su una campagna specifica, pur generati dal fatto che uno stesso utente potrebbe aver interagito con più campagne prima di decidersi a comprare o compiere l’azione desiderata.
In altre parole, la conversione generata da una campagna potrebbe essere condizionata in positivo dall’efficacia delle altre, apparentemente meno performanti.

Un’altra cosa che in pochissimi sanno – adesso sei uno di “noi altri pochissimi” – è che Facebook premia le sponsorizzate a medio-lungo termine piuttosto che le one shot con budget concentrato in pochi giorni.

Spesso si boccia una campagna, o si investe il budget su altri canali, semplicemente osservando le metriche dei risultati del singolo post.

È come attribuire il merito di un piatto ben riuscito alla spolverata di pepe conclusiva, senza considerare chi lo ha preparato e la ricetta utilizzata o le cotture adottate.

Il BB pensiero.

Secondo la nostra esperienza, il successo di una campagna è data sia dai contenuti organici e dall’engagement generato, sia da post sponsorizzati non necessariamente finalizzati a compiere un’azione ma a fornire un contenuto utile e di valore, sia da post sponsorizzati con una call to action chiara.

Il tutto pianificato in un calendario editoriale, indispensabile per la gestione efficace di una pagina e per aumentare il successo delle campagne.


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Inbound Marketing Strategy

INBOUND MARKETING STRATEGY: COME TRASFORMARE UN ESTRANEO IN CLIENTE

Chiamatelo marketing, o inbound marketing, ma è il sale della vostra vita da imprenditori.

Trasformare un semplice passante, un distratto viandante sul marciapiede, in cliente, inducendolo ad entrare nel vostro bel negozio nell’esatto momento in cui grazie a voi risolve un’esigenza specifica (sonno,fame,salute,sicurezza) deve essere il vostro primo passo strategico e pensato.
Alzare la saracinesca e sedersi al bancone non basta. Sappiatelo!
A meno che non siate gli unici a vendere un certo prodotto in un certo luogo.

Se non state facendo questo, se non state lavorando in questa direzione, se non ci state quantomeno pensando, non state lavorando sulle cose importanti.

Se continuate a guardare la qualità del vostro prodotto, la vastità dei servizi che offrite e non capite perché la gente sceglie i vostri concorrenti che nel frattempo evadono il fisco, non pagano i dipendenti e vendono le cose scadenti, offrendo più di voi ad un prezzo più basso…continuerete a domandarvelo in eterno.

Di cosa ho bisogno quindi?

Per trasformare un estraneo in cliente dovete produrre e condividere con lui contenuti.

E intendo contenuti utili. Non che piacciano a voi. Ma che servano a lui.
Quello che si fa online ha un senso se pianificato considerato l’essere umano come fruitore – possibilmente un essere umano profilato che risponda all’identikit del vostro cliente ideale – che ha dei bisogni ed è alla ricerca di qualcuno che possa soddisfarli (voi, o chi più furbo di voi).

L’utente medio ogni volta che effettua una ricerca di un contenuto, che sia sui social o sui motori di ricerca, compie un percorso attraverso una serie di azioni ben precise.

Se lasciate al caso questo percorso, lasciate al caso la possibilità di acquisire centinaia di clienti.

Se invece quel percorso lo create proprio voi, basterà mettere n. entrate ma una sola uscita: la porta del vostro business.

Questo è l’obiettivo dell’Inbound Marketing.

” Il marketing inbound è focalizzato sull’attrazione dei clienti attraverso contenuti pertinenti e utili e sull’aggiunta di valore in ogni fase del percorso di acquisto del cliente. Con il marketing in entrata, i potenziali clienti ti trovano attraverso canali come blog, motori di ricerca e social media.
A differenza del marketing in uscita, il marketing in entrata non ha bisogno di lottare per l’attenzione dei potenziali clienti.
Creando contenuti pensati per affrontare i problemi e le esigenze dei tuoi clienti ideali, attirerai potenziali clienti qualificati e creerai fiducia e credibilità per la tua attività”.

Una vera e propria selezione naturale, così da investire il budget pubblicitario SOLO su chi davvero può diventare cliente.

Se ad esempio vendessi un rivoluzionario sistema che lucida scarpe in vera pelle in pochi istanti, da tenere in tasca, sarebbe preferibile mettere un 6×3 per le vie principali della città? O ancora è meglio un volantino porta a porta o un semplice post su Facebook in cui posso inserire interessi e abitudini per filtrare il pubblico che lo visualizzerà?
Distribuire campioni prova fuori dalle scuole elementari o all’ingresso di una banca?

L’inbound Marketing non è astratto, ma concreto.

Ecco come impostare la tua inbound marketing strategy

ATTRAI

  • Produci una serie di contenuti interessanti, ad esempio post o articoli di blog su come riconoscere la vera pelle, quali sono i negozi di scarpe più accreditati per evitare truffe, quali sono i giusti prezzi o modelli per le diverse soluzioni…)
  • Metti in luce i vantaggi che si ottengono ad avere il lucida scarpe tascabile (scarpe sempre pulite alle riunioni di lavoro, mani splendenti dopo aver lucidato le scarpe anche in autobus, maggiore appeal e autorevolezza negli appuntamenti di lavoro….)

A proposito di contenuti potrebbe essere interessante realizzare un video dimostrativo e i benefici che il prodotto apporta al fruitore.

CONVERTI

Strutturando le dovute landing page, o un e-shop con tanti canali d’ingresso, o il download di un coupon da sfruttare in store, fai in modo di portare il potenziale cliente davanti ad un trigger caldo (compra adesso e approfitta dell’occasione). Sul web è ancora più facile utilizzando ad esempio il pixel di facebook che memorizza il vostro pubblico ideale basandosi sulle abitudini di navigazione di chi interagisce con i vostri post. Fiiiico.

CHIUDI

Fai in modo che l’occasione di acquisto sia facilmente accessibile, richieda meno sforzo possibile, meno tentennamenti, meno dubbi sulla validità dei soldi spesi.

COMPIACITI

Beh, se riesci a fare bene inbound marketing e puoi monitorare numericamente i risultati, capire dove intervenire per fare ancora meglio… mi sembra il minimo che tu ti compiaccia del risultato.

Bene!
Siamo felici di averti fornito le informazioni necessarie per valutare attentamente la tua prossima strategia di inbound marketing.

Adesso hai la possibilità di scaricare GRATUITAMENTE  l’infografica riassuntiva dell’articolo. Puoi salvarla sul tuo dispositivo e utilizzarla ogni volta che ne avrai bisogno!

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Ferragni, Evian e il marketing del desiderio

CHIARA FERRAGNI, EVIAN E IL MARKETING DEL DESIDERIO

Chiara Ferragni, influencer numero uno in Italia, torna a far discutere di sé.
La trovata commerciale di Evian, nota azienda produttrice di acqua minerale, ha suscitato scalpore, rendendo virale una notizia che ha acceso gli animi sul web, dando vita alla solita battaglia tra difensori e detrattori.

Proviamo ad analizzare il caso, le motivazioni e i risultati di una manovra eccentrica ma efficace.

Proviamo a mettere ordine sul caso mediatico che sta dividendo il web.

Premettiamo – è doveroso – che a Chiara Ferragni vanno riconosciute indubbie capacità di “fare” marketing, ovvero di muovere il mercato e deciderne la direzione.
La coppia Ferragnez – neologismo creato in occasione delle recenti nozze tra Ferragni e Fedez – oggi divide in due il nostro paese.
Non siamo consumatori di acqua Evian, anche se ne apprezziamo gli spot che in passato hanno divertito migliaia di utenti sul web.

Fatte le dovute premesse, ecco cosa pensiamo della manovra che ha portato il marchio francese e l’influencer, regina delle storie di Instagram, a immettere sul mercato una bottiglia di acqua minerale Limited Edition dal costo unitario di 8 €.

Cosa ne pensiamo?

È UNA FIGATA PAZZESCA

Non siamo impazziti, no.
Ma da addetti ai lavori non possiamo non cogliere il carico di significati che questa azione rappresenta, avvalorando ancora una volta il potere della comunicazione rispetto alle qualità intrinseche di un prodotto o servizio. Ecco perché secondo noi Evian e Ferragni hanno fatto di nuovo bingo.

Anche l’acqua ha il suo mercato luxury

Se non lo sapevate, eccovi una notizia bomba.
Non solo orologi, auto e abiti. Anche l’acqua minerale ha il suo mercato di lusso.
Negli ultimi anni il segmento delle acque premium ha conquistato una fetta di mercato rilevante tra i beni di lusso.
È proprio un recente rapporto dello Zenith International a decretare che il mercato globale delle acque di lusso incide per circa il 12% sul totale del mercato mondiale delle acque confezionate.

In soldoni? Un fatturato di 15 miliardi di dollari all’anno.

La compagine dei clienti ideali di questo mercato è degnamente rappresentata da consumatori asiatici e americani, paesi in cui l’incremento dei ricchi da una parte e la scarsità di acqua potabile dall’altra, hanno portato ad un immediato aumento della domanda di acqua di lusso.

È proprio in Asia che Evian sta registrando numeri da record in seguito al lancio della campagna limited edition di Chiara Ferragni.
Non ci credete?
Ehi! Non diciamo mai bugie, ma se proprio volete dare un’occhiata, eccovi un sito dove approfondire la questione www.acquedilusso.it

Evian-Ferragni non è un caso isolato né nuovo

La maggior parte dei lettori che in poche ore hanno gridato allo scandalo non sanno che l’acqua limited edition rappresenta una strategia di marketing ricorrente per la società francese.
Altri nomi illustri sono stati accostati ad Evian molto prima della bella influencer cremonese, con risultati eccezionali per l’azienda.
Era il 2007 quando Christian Lacroix inaugurava la saga di collaborazioni tra Evian e grandi stilisti.
Seguirono Kenzo, Jean Paul Gaultier, Paul Smith, Elie Saab, Alexander Wang.

Calendario alla mano, da undici anni ormai la strategia è sempre la stessa: trasformare in superlusso un’acqua già considerata cara, accostandola ai nomi più pregiati della moda.
Le bottiglie “iconizzate” sono sempre state vendute al prezzo di 8 euro ciascuna, eccezion fatta per quelle firmate da Jean Paul Gaultier che hanno sfiorato i 14 dollari ciascuna.

Prezzo troppo alto?

Il mercato delle acque di lusso registra prezzi di vendita inimmaginabili. Navigando un po’ sul web scopriresti anche tu come si posizionano alcuni brand: Perlage (37 euro per 12 bottiglie) , St George e Apollinaris (42,50 euro per 12 bottiglie), Vichy Catalan (57,50 euro per 24 bottiglie).
Sappiamo bene che per dissetarsi, 8 euro rappresenti un un prezzo esorbitante. Tuttavia il marchio rappresenta uno status, e se un brand intende posizionarsi in modo chiaro sul mercato deve adottare una strategia di pricing che non passi inosservata. In altre parole, 8 euro sono troppi per una bottiglia di acqua, ma decisamente congrui per una bottiglia di Evian.

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In Conclusione, il desierio

L’obiettivo di Evian è chiaro: far crescere la reputazione del brand rendendo inaccessibili i suoi prodotti alla più grande parte del pubblico.
A tal proposito siamo rimasti affascinati da un articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore (clicca qui per leggere l’intero articolo), all’interno del quale Mauro Ferraresi, docente di sociologia dei consumi dello Iulm di Milano, spiega come

“Il marketing del limited edition, come pure il marketing delle versioni personalizzate del prodotto, quello dell’attesa e quello della privazione sono tutti generi ascrivibili alla categoria più ampia del marketing dell’assenza. Il senso è stimolare il desiderio, non vendendo il prodotto ma la marca che ne rappresenta l’identità”

Tirando le somme Evian ha centrato il suo obiettivo di marketing.
È grazie proprio al polverone mediatico che nel giro di qualche ora le bottiglie Evian by Ferragni sono andate tutte esaurite.
Non in Asia o in America.
Dove? Beh, proprio nel paese che maggiormente si è indignato, quello in cui Evian ha meno mercato: in Italia.

Nel dubbio, sappiate che nei nostri uffici continueremo ad accogliervi offrendovi della fantastica acqua minerale, acquistata al mini-market all’angolo, rigorosamente attendendo l’offerta da volantino!


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Perché un'azienda dovrebbe comunicare attraverso i video

Perché un'azienda dovrebbe comunicare attraverso i video

Chi sceglie di puntare sui video per comunicare sul web è consapevole delle enormi potenzialità che questo strumento offre.

 

Comunicare il proprio brand, i valori, il prodotto e i vantaggi che un’azienda può offrire non è affatto un gioco da ragazzi.

  • Gli ingredienti di un video
  • Case Study: la sfida di David

L’imprenditore comune crede…

Spesso chi si occupa della pubblicità e del marketing crede – o spera – di non aver bisogno di una strategia definita di azioni sul web. Tutto si riduce a postare quando possibile qualche foto, le comunicazioni momentanee e qualche recensione dei clienti affezionati.

Il focus è sui “mi piace” e il desiderio è di averne tanti sulla propria pagina.
Ah! se i mi piace si potessero utilizzare per pagare i fornitori.

Qual’è la verità?

In verità è necessario produrre contenuti di qualità, soprattutto nei formati che maggiormente coinvolgono il pubblico potenziale.

Si stima che l’80% delle informazioni sul web entro il 2019 passerà solo ed esclusivamente attraverso i video.

I Social già da anni si sono orientati verso le dirette, sliders animati di fotografie, gif, storie. Insomma, il contenuto dinamico vince sul web.

Ecco dunque su cosa ragionare prima di produrre un video che promuova il tuo brand.

GLI INGREDIENTI DEL VIDEO

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Il risultato finale sarà generato dalle riprese, quindi la qualità delle macchine utilizzate, le luci, i tagli e tanti altri elementi di design e videomaking.
Un ruolo importante lo ricopre la storia, ovvero la trama attraverso la quale si sviluppa il video. Infine la musica può cambiare le sorti di un video, perché contribuisce a creare le giuste sensazioni e a coinvolgere emotivamente lo spettatore.

  • QUAL È L’OBIETTIVO DEL VIDEO?

Vuoi evidenziare una qualità specifica del tuo prodotto? Vuoi generare nuovi clienti? Vuoi lanciare un nuovo servizio? Vuoi trasmettere un valore?

Scegli.
Tutto non si può.
Le regole del web sono spietate e il tuo contenuto dovrà durare relativamente poco per ottenere più engagement possibile

  • A CHI È RIVOLTO PRINCIPALMENTE IL VIDEO?

Ti prego, non pensare che debba piacere a tutti. Esiste sempre un target e più è specifico, più sono efficaci le tue attività. Stila un identikit del tuo cliente ideale e crea il video solo per lui.

  • COSA ESATTAMENTE DEVE COMUNICARE IL VIDEO?

Il messaggio non va confuso con l’obiettivo. Scegli bene il testo, l’immagine che vuoi offrire, le informazioni che vuoi trasmettere. Se l’obiettivo è il perché, il messaggio equivale al come.

  • PERCHÈ IL TUO VIDEO DOVREBBE INTERESSARE A QUALCUNO?

Stai offrendo una soluzione ad un bisogno specifico?
Ricorda che la gente non sta sul web per apprendere, ma per…cazzeggiare. Questo ti aiuterà a realizzare un video che sia quanto più piacevole, leggero e fresco possibile.

  • QUANTO È NECESSARIO CHE SIA LUNGO?

Abbiamo visto video da 10 minuti. In realtà non li abbiamo visti, abbiamo desistito prima.
Sul web i contenuti devono essere immediati. Su Instagram ad esempio i video non possono durare più di 75 secondi. Le storie non oltre i 15. Lascia perdere il superfluo, vai all’essenziale. Un solo messaggio.

  • DOVE ANDRÁ DISTRIBUITO?

Un video per la tv è molto diverso da un video per il web. Allo stesso tempo un contenuto su YouTube segue schemi differenti che su Facebook, Instagram o altri social network. Se produci un video per un canale specifico dovrai rispettare solo i criteri di quel canale.

  • COSA VUOI CHE FACCIA CHI GUARDA IL VIDEO?

Saperlo ti aiuterà a calare il video in una corretta strategia più ampia. Ad esempio molti video sono creati per generare contatti, per cui il video servirà a convincere le persone a lasciare il proprio indirizzo mail o numero telefonico. Altri video invece sono concepiti per aumentare il traffico ad un sito internet, per cui l’azione stimolata sarà quella di andare a visitare il sito ufficiale dell’azienda.

  • COME MISURERAI IL RISULTATO DEL VIDEO?

Molte aziende con cui siamo entrati in contatto hanno prodotto video ma non ne hanno misurato efficacia ed utilità.

Creare un video a volte costituisce un’investimento di molte migliaia di euro. È importante sapere quanti contatti, clienti, ricavi quel video ha generato a sua volta, così da comprendere se il costo affrontato può essere ritenuto un investimento o una cattiva decisione.

Ecco, adesso lo sai. Prima di produrre un video analizza questi aspetti e compi un’azione consapevole e produttiva per il tuo business.
Negli ultimi 4 anni i video hanno generato il 90% del traffico web ai siti. Sono uno strumento davvero formidabile. Ti basti pensare che YouTube ad esempio riceve un miliardo di visitatori al mese e vi trascorrono più di 4 ore totali!

CASE STUDY

Di seguito proponiamo una nostra produzione in cui abbiamo attuato tutti i consigli sopra descritti.

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Happygym è un centro sportivo di Palermo, la cui attività istituzionale è promuovere lo sport, trasformando l’allenamento in un’esperienza memorabile.
“Dicono ci vogliano circa 60 giorni per creare una nuova abitudine.
Noi abbiamo provato a cambiare uno stile di vita nella metà del tempo.”
Abbiamo seguito David nei suoi 30 giorni di esperimento, per un nuovo modo di concepire sport e alimentazione.

LA SFIDA DI DAVID

RACCONTACI DEL TUO PROSSIMO PROGETTO

Saremo felici di elaborare insieme a te la tua idea e trasformarla in un potente strumento di comunicazione