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Curare la propria community. È davvero il Social Network il luogo ideale?

Una community ben fidelizzata e attiva è come il terreno per il contadino. 
Se ben arato, dopo la semina i frutti saranno pronti per essere raccolti. Ed ecco che gli utenti si trasformeranno in clienti, a patto che tu abbia seminato.

Ero ancora un bambino quando mio padre decise di acquistare il primo computer di casa. Ricordo ancora chiaramente la schermata di apertura del sistema operativo Windows 95.
Dopo qualche mese fu il momento di diventare modernissimi e diventare anche noi pionieri di quel mondo di cui tanto si parlava.

Il Web

Così anche in casa nostra iniziò a riecheggiare quel suono piacevolmente analogico, fatto di stridenti suoni robotici e lunghi suoni sordi e acuti che sembravano interminabili. Il 56k ci catapultava in un mondo capitanato da portali e motori di ricerca ora scomparsi, o un mondo senza social network, senza Google, ancora decisamente lento e ricco di gif colorate e scintillanti.
Ci si collegava solo in alcune ore del giorno, la sera o la mattina presto, per evitare che papà piangesse all’arrivo della fattura telefonica.

Poi è arrivato il 2000

Connessione sempre più prestante e stabile, tariffe accessibili a molte più famiglie, strumenti decisamente più silenziosi.
l’ADSL prima, gli smartphone poi e la crescente tecnologia del Wi-Fi hanno messo tutti noi nelle condizioni non solo di essere connessi 24 ore su 24, ma di vivere connessi, integrando internet in numerose azioni quotidiane come pagare, consultare il meteo, leggere il giornale, condividere appuntamenti di lavoro.
Una connessione stabile e accessibile ha segnato la nascita e l’esplosione delle prime chat room e in forma embrionale i primi social network, i blog e sempre più siti vetrina.

Dove c’è folla c’è community

Folle di utenti, sempre più giovani, hanno iniziato a popolare il web e, con i blog prima, con i social dopo, hanno iniziato a fare community. Con le app questo senso di appartenenza si è solidificato grazie alla possibilità di portare il dialogo fino anche al momento prima di chiudere gli occhi la sera, sotto le proprie coperte.
Centinaia di migliaia di utenti iper-connessi, desiderosi inconsciamente di sentirsi parte di qualcosa. Così le aziende hanno colto il segnale e hanno sviluppato luoghi digitali in cui condividere informazioni, contenuti, passioni.
C’è chi si è lasciato attirare dalla gratuità e dall’unanime adorazione per i social network, chi invece si è costruito la propria isola felice. Un blog proprietario in cui coltivare il dialogo con gli utenti senza sottomettersi all’arida e cinica “dittatura algoritmica”.

Chi ha avuto ragione

Dopo oltre 10 anni di dominio dei social network, possiamo permetterci qualche considerazione.
Avere il contatto diretto con i propri fan è un asset indispensabile per le aziende e i professionisti che fanno direct marketing.

I social offrono sì luoghi adatti per produrre dialogo, tuttavia impongono costi pubblicitari considerevoli e non sempre premiano la qualità o gli sforzi programmatici. Sui social l’utente è bombardato da più contenuti provenienti da fonti diverse, che vengono visualizzati non in in funzione della loro qualità, ma della portata che riescono ad acquisire con le campagne pubblicitarie.

Un blog invece è una scatola chiusa, un luogo in cui solo il proprietario decide quali messaggi pubblicitari lasciar passare (propri o altrui) e pianificare la propria strategia di Inbound Marketing.
Un luogo in cui un utente può godersi un contenuto, testuale o video, senza necessariamente essere aggredito da sponsorizzate o contenuti fuorvianti rispetto all’argomento ricercato.

È vero che i social network, su tutti Facebook, abbia negli anni adattato le funzioni dell’algoritmo per premiare i contenuti delle persone a discapito di quelli prodotti e diffusi dalle aziende, nel tentativo di limitare i messaggi pubblicitari e generando l’illusione che la piattaforma fosse user friendly.
Una scelta che tuttavia non impedisce alle aziende di ideare campagne sempre più elusive, fondate sull’invito a condividere, bypassando la sorveglianza dell’algoritmo, o meglio ancora pensate sugli user generated contents (UGC). Coinvolgere gli utenti a produrre e far girare contenuti il cui unico obiettivo è quello di promuovere un brand, direttamente o meno.

È meglio ricorrere ad un blog per nutrire la propria community?

I vantaggi sono palesi.

Nessuno può importi delle regole. Tu decidi quali contenuti produrre, con quale frequenza e per chi.
Decidi tu quali parole chiave indicare ai motori di ricerca perché i tuoi articoli siano organicamente distribuiti nei risultati di ricerca.
Senza contare la longevità dei contenuti stessi.
A differenza di un post sui social, che nella migliore delle ipotesi e con ingenti investimenti può sopravvivere in distribuzione per qualche giorno/settimana, un pezzo ben scritto o un video davvero interessante, possono essere tra i primi risultati di una ricerca su Google anche a distanza di anni. Anzi, questi contenuti beneficiano del tempo proprio come un buon vino lasciato a maturare. Ogni visita, ogni visualizzazione, ogni condivisione del link, ne aumenta e ne solidifica la credibilità per i motori di ricerca.

L’infografica sottostante è stata realizzata da Value4Brand, e sintetizza quanto durano i nostri contenuti sulle diverse piattaforme.
Comprendiamo immediatamente quanto è fondamentale avere un proprio blog, che raccolga tutti i propri contenuti creati e che dia la possibilità di approfondire i diversi temi.

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E i social?

I social non sono brutti né cattivi.
Solo non sono i luoghi ideali in cui coltivare la propria community.
Sono eccezionali strumenti per intercettare gli utenti e mostrare loro contenuti interessanti. L’obiettivo però deve essere quello di spostare la loro esperienza su un sito proprietario, che sia un blog o uno shop.
Il perché è uno solo e lo scriverò in grassetto perché ti rimanga in mente.

La community non è tua se i dati ce li ha qualcun altro.

Proprio così! Se pensi di avere una gran bella community perché hai tanti follower sui tuoi profili, entra nell’ordine di idee che quella community non ti appartiene. Ti è messa a disposizione dal social che la ospita ma tu non ne hai potere. E Ogni volta che vorrai produrre una reazione dovrai affidarti alle logiche del social network. 

Se al contrario, sarai tu a conservare i dati dei tuoi utenti – email, numeri di telefoni o iscrizioni a servizi specifici – e sarai nelle condizioni di raggiungerli in qualsiasi momento anche in forma individuale (ricordi quando ti ho parlato di direct marketing?), allora potrai dire al mondo di avere una community.
Una community tanto più fidelizzata quanto più disposta a “sostenerti”. Perchè un utente che mette i big like ai tuoi post non ti sostiene. Uno che acquista il tuo servizio o si abbona al tuo servizio di news, invece ti sta comunicando fiducia e senso di appartenenza.
Quell’utente va premiato, con la tua costanza e il tuo desiderio di condividere con lui il tuo lavoro, le tue passioni.
Fallo nel luogo giusto, non a casa di altri.

Ciao, sono Nazareno, uno dei BBrothers.
La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.


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WhatsApp Pay esordisce. Il servizio parte in Brasile, con vista all'Europa

Tra addetti ai lavori ce lo siamo chiesti spesso, perché l’arrivo delle funzioni di pagamento di Whatsapp, parte integrante dell’universo Facebook, cambierà ancora le sorti delle campagne social volte ad acquisire lead.

Chissà perchè hanno scelto il Brasile a Menlo Park.
Avranno estratto da un’ampolla di vetro, in stile sorteggi di Champions League?
Non lo so, quel che è certo però e che non ci vorrà molto prima di vedere Whatsapp Pay anche in Italia. Il lancio dell’esperimento è stato annunciato da Mark in persona, come di consueto, dal suo profilo personale.
In realtà l’annuncio dei pagamenti inglobati nel sistema di chat istantanea era già avvenuto lo scorso Gennaio, e la cosa in tutta onestà aveva eccitato gli addetti ai lavori che hanno già integrato le funzioni – eccellenti – di Whatsapp Business alle loro strategie di lead generation.
Perché tanta febbrile eccitazione? Te lo spiego subito.

Come funziona WhatsApp Pay

Whatsapp Pay avrà due modelli di applicazione. Quello tra privati e quello tra acquirente e azienda.

Tra privati

Nel primo caso Whatsapp Pay si collocherà al fianco di due servizi oggi pienamente affermati. Bancomat Pay, la tecnologia adottata dalle banche che consente l’invio di piccole somme conoscendo il numero di telefono del destinatario, e PayPal, il colosso che invece permette lo scambio di denaro attraverso l’indirizzo mail.
Nel caso di scambio di denaro tra privati, non è prevista nessuna commissione sulla transazione, per nessuno degli utenti coinvolti. 

Tutto questo non ti fa sembrare esageratamente arcaico il codice Iban?

B2C

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Sarà un metodo di pagamento fra azienda e acquirente e potrebbe integrare il fine di customer care che spesso Whatsapp Business ricopre sugli eCommerce.
Sulla versione Business dell’app infatti, sono già attive sezioni davvero utili e interessanti, come la descrizione, gli orari di apertura e su tutti il catalogo prodotti, in cui è possibile inserire foto, nome e caratteristiche di ogni servizio o prodotto offerto. Naturalmente la possibilità di pagare in chat migliorerà le performance del catalogo stesso.

Perché i social media ameranno WhatsApp Pay

Perché amano già Whatsapp Business!
È infatti possibile collegare il servizio di chat alla pagina Facebook (che a sua volta va collegata al profilo Instagram) e includere l’opzione di invio messaggi come CTA di una campagna di Facebook Ads.
Per una piccola attività, come un forno, un negozio di abbigliamento, una pizzeria, questo vuol dire promuovere il prodotto sui social e generare immediatamente traffico all’app e dialogo con il banco, il cui unico compito sarà rendere l’assistenza all’acquisto gradevole e puntuale.

Cosa dice WhatsApp

«Rendere semplici i pagamenti può aiutare a portare più aziende nell’economia digitale, aprendo nuove opportunità di crescita. Inoltre, stiamo rendendo l’invio di denaro ai propri cari facile come l’invio di un messaggio. Poiché i pagamenti su WhatsApp sono abilitati da Facebook Pay, in futuro vogliamo rendere possibile alle persone e alle aziende di utilizzare le stesse informazioni di pagamento in tutta la famiglia di applicazioni di Facebook»

Per evitare transazioni non autorizzate Whatsapp ha previsto l’inserimento di un Pin o l’uso dell’impronta digitale o del riconoscimento facciale per gli smartphone di ultima generazione.

Il futuro

Quando nacque Facebook tutti eravamo convinti – incluso Mark – che sarebbe stato il luogo ideale in cui postare foto e tenere vive relazioni a distanza.
Non facciamo lo stesso errore con la nuova vita di Whatsapp. Prima che Facebook Inc. Acquisisse la chat col fumetto verde, la stessa non conosceva nessun altro impiego se non quello di chattare, al pari degli sms degli anni 90, in versione dati.
Oggi Whatsapp si prepara a diventare una piattaforma per fare business, e nel futuro potrebbe diventare uno strumento di pagamento veloce non solo per gli acquisti ma anche per il pagamento di utenze, multe, ticket e chissà cos’altro.

Ciao, sono Nazareno, uno dei BBrothers.
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Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
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