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Tutto è vendita. Tutto è Marketing

Tutto è vendita. Tutto è Marketing

Con il termine Marketing intendiamo tutte quelle azioni da intraprendere per gestire le relazioni con il mercato e facilitare la commercializzazione di beni e servizi. È solo questo?

La firma della tua mail, come rispondi al telefono, il tempo che dedichi ai clienti, la risposta data di fretta, i contenuti dei tuoi canali web, i profili social, le cose che condividi e gli ideali che esprimi attraverso le tue azioni pubbliche.
Tutto è vendita.
Per questo non è necessario che ogni cosa che fai contenga una chiamata all’azione di acquisto.

Ma…c’è un “ma”

Se la tua comunicazione fosse un continuum di spot pubblicitari, se ogni tua frase si concludesse con un “chiama subito” o “approfitta dell’offerta” o ancora “contattaci per un preventivo”, rimarresti in poco tempo completamente solo.
Nessuno vuole trascorrere il suo tempo con chi cerca continuamente di vendere e promuovere.

Vendere è un’attività complessa e stratificata.

La trattativa è un momento specifico della vendita, non l’ingrediente onnipresente.

Impara ad usare al meglio il marketing per migliorare la vendita.

COSA SIGNIFICA DAVVERO MARKETING

Il marketing ha come scopo quello di individuare i bisogni umani individuali e sociali.
Attraverso questa analisi potrà poi identificare i vantaggi che il prodotto offre all’uomo, che problemi risolve o che obiettivi aiuta a raggiungere.

In ultima analisi potrà elaborare i modi migliori per comunicare le prerogative del prodotto/servizio per “educare” i possibili clienti e aumentare il loro grado di consapevolezza rispetto all’utilità del prodotto.

Inutile sarebbe vendere cappotti in spiaggia ad Agosto.

Il marketing ha proprio il compito di capire cosa serve a chi e quando, con quale urgenza e intensità, attraverso quali canali è più efficace elencare le caratteristiche e i vantaggi offerti.

LE PERCEZIONI

“Nel marketing le percezioni sono più importanti della realtà, perché influenzano il comportamento d’acquisto dei consumatori”.

Questa frase di Philip Kotler  (se non sai chi sia clicca qui) indica chiaramente quanto sia importante creare un immagine intorno al brand così che le persone inizino ad apprezzare il prodotto per ciò che percepisce dalla comunicazione generale prima ancora di acquistarlo.
Slogan, contenuti social, recensioni, packaging. Ogni cosa concorre a migliorare le percezioni del consumatore.

I CONTENUTI

Per questo un buon brand deve produrre contenuti diversi per raggiungere l’obiettivo finale, la vendita appunto.

  1. Contenuti di intrattenimento o per usare un termine tecnico… di cazzeggio.
  2. Contenuti acchiappa reach, ovvero contenuti leggeri ma condivisibili “senza impegno”, come aforismi, citazioni o accade oggi.
  3. Contenuti di informazione, di approfondimento rispetto a temi affini al prodotto e quindi alle esigenze del lead.

Le persone usano il web con leggerezza, vogliono contenuti leggeri da condividere con i propri amici.
Alcuni usano il web per saperne di più riguardo a qualcosa.
Approfondisci per loro.
La restante parte desidera comprare (preferibilmente da chi gli ha donato qualcosa prima). Vendi.

COME I CONTENUTI GENERANO CLIENTI

I contenuti hanno lo scopo di generare nuovi contatti prima, mantenere l’attenzione al prodotto in un secondo momento (puoi approfondire l’argomento leggendo l’articolo che parla di Inbound Marketing Strategy).
Una volta generato un lead, ovvero un utente che in qualche misura ha compiuto un gesto di interesse verso il brand (mi piace, condivisione, commento, visita al sito…) è importante pianificare un sistema di “nutrimento”, ovvero la diffusione di contenuti utili e spendibili che nutrano il nuovo rapporto tra il brand e il lead.
Fiducia, gratitudine, divertimento, emozione sono gli ingredienti più efficaci per “riscaldare” il lead e trasformarlo in un prospect, ovvero un utente che mostri palesemente interesse verso il prodotto e ne faccia esplicita richiesta (preventivo on-line, richiesta appuntamento o consulenza).

A questo punto tutte le qualità dell’azienda devono venir fuori per trasformare il prospect in cliente.
Ricordi tutti gli elementi citati all’inizio dell’articolo?
Ogni conversazione, mail, messaggio, automazione, tempo di risposta, concorre alla vendita e ad allungare la “vita” del cliente.
Un cliente molto soddisfatto è un cliente che tornerà ad acquistare presto o tardi.

Tutto è Vendita. Tutto è Marketing

Adesso però sai che non ha alcun senso “sparare” promozioni sulla folla.
È più produttivo e – credimi – meno faticoso identificare pubblico affine e interessato e “accompagnarlo” alla cassa quando sarà pronto per acquistare.

Perché se il tuo prodotto è davvero di qualità, utile, risolutivo, allora prima o poi qualcuno ne avrà davvero bisogno.
Deve solo sapere che ci sei e sei la prima scelta possibile.

Nazareno Brancatello

Sono uno dei BBrothers.
La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.


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Dolce come lo scivolone Barilla - Quando il target non è un luogo comune

Dolce come lo scivolone Barilla
Quando il target non è un luogo comune

In molti dei nostri articoli potresti trovare riferimenti sull’importanza di definire un target per qualsiasi azione di marketing.
Non è una fissa tipica di bbadv, sia chiaro.
È il mantra inespresso di qualsiasi marketer e addetto ai lavori pubblicitari.

Sembrerà un’affermazione banale ma non puoi comunicare qualcosa se non sai a chi.
Se la tua promozione avesse per destinatario il turista tedesco, sono certo avresti cura di tradurre in lingua il claim della tua pubblicità. Giusto?

Giusto!

È proprio sulla lingua che Barilla è caduta – a mio modestissimo avviso – seppur nel caso specifico il problema non sia l’italiano ma… il siciliano!

Il siciliano è una bruttissima bestia! Sia chiaro, lo dico da siciliano doc.

PROBLEMI DI LINGUA

Conosci quella storiella degli eschimesi riguardo a quanti termini utilizzino per indicare la neve?

È una mezza leggenda metropolitana – mezza perché ha un fondo di verità ma nelle aule viene ingigantita per consolidare le argomentazioni – ma fa al caso nostro e te ne offrirò un riassunto veloce.

L’eschimese è una lingua che in realtà è il risultato di più dialetti, Inuit e Yupik tra i i principali. È l’idioma di popolazioni presenti in Alaska, Canada, Groenlandia e Siberia, territori anche molto distanti tra loro e influenzati in modi diversi.

Il risultato è che in diverse sfaccettature, l’eschimese preveda decine (qualcuno dice centinaia) di modi diversi di definire la neve, che in italiano invece si indica con un solo termine.
Neve, appunto.

Ciò che per noi è neve, per gli eschimese è qanik, ovvero neve nell’aria, o aput, quindi neve già caduta sul terreno. Da queste due semplici radici si ricavano parole diverse, come qanipalaat (neve soffice a fiocchi nell’aria) o apusiniq (cumulo di neve sul terreno)

Non si può utilizzare un termine al posto di un altro. Se vuoi che un eschimese ti comprenda devi tenere conto di queste sfumature.

QUALCUNO LO DICA A BARILLA!

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L’errore grossolano di Barilla non è diverso.

Per una colorata (rimanendo in tema) campagna di branding, la nota marca Italiana ha deciso in Sicilia – rispettivamente Palermo, Catania e Messina – di far leva su un linguaggio “autoctono” e su stereotipi della “saudade sicula”.

La scelta di un copy così territoriale va ricercato nel tentativo di avvicinarsi al pubblico target, di far passare il prodotto Barilla come un made in Italy 100% che racchiude i valori, le tradizioni e le bellezze del Bel Paese e per questo da preferire ad altri competitor.

In questa sede sorvoleremo sul fatto che proprio Barilla è stata ed è tutt’ora al centro di una fastidiosa bagarre riguardo al fatto che il grano utilizzato per pasta e preparati non sia italiano al 100% ma mescolato ad altri grani provenienti da paesi appartenenti e non all’Unione Europea.

Insomma, non proprio una politica nazionalistica.

Il claim per le 3 città siciliane ha la stessa radice, “dolce come….”.

La declinazione cambia per ognuna delle tre città.

Come i colori della Vucciria” nel caso di Palermo, “come la mattina del 5 Febbraio” cara ai catanesi perché festa di Sant’Agata patrona, “come rivedere casa al mare” per i messinesi, spesso costretti a trascorrere da pendolari molte ore sul traghetto.

Il claim in tutti i casi è stato disposto su un letto di pomodorini datterino (da siciliano mi auguro siano di Pachino) e un bel barattolone di salsa Barilla.

“Che c’è di male” starai pensando…?

Se sei di Milano – come ci sei finito nel nostro blog? – assolutamente nulla.
Se invece hai sangue arabo-normanno nelle vene sai benissimo che la frase sviluppata non ha davvero alcun senso.

ANALIZZANDO PER BENE…

Nella lingua italiana l’aggettivo dolce si attribuisce a tutti i prodotti alimentari che contengano zucchero, miele o qualsiasi altro ingrediente conferisca dolcezza, e per estensioni i dessert in genere.

Dolce può essere un pomodorino datterino, ma di sicuro non un mercato storico o una data del calendario o un’immagine evocativa.

Se stai pensando che è una semplice sinestesia, puoi fermarti e non leggere oltre. Rimane una sinestesia non riuscita, proprio perchè in Sicilia l’uso del termine assume altri significati.

La spiegazione di un uso scorretto del termine va ricercata nella licenza poetica che il siciliano avrebbe potuto offrire, dialetto che attribuisce a “duci” significati più numerosi che vanno ricercati anche nell’ambito della bellezza e dell’estetica.

Un sorriso può essere duci, una persona o un cucciolo, un comportamento particolarmente affabile e – perché no – un colore particolarmente gradevole.

Tuttavia nessun palermitano – sui catanesi non posso garantire – utilizzerebbe duci per descrivere un mercato popolare.

  • Perché utilizzare il termine in italiano che è di per sé un grossolano errore.
  • Se l’origine della scelta era la forma dialettale duci, perché “italianizzarla” privandola appunto di quelle sfumature tipiche del dialetto isolano, sfumature che molto probabilmente avevano dato origine allo slogan stesso?
  • Se invece l’intenzione era quella di dar vita ad una figura retorica, come mai proprio in Sicilia, terra in cui una frase del genere non avrebbe mai potuto funzionare per via dell’influenza dialettale?

Avremmo potuto accettare la sinestesia se il claim fosse stato uno e univoco per l’intero territorio nazionale. Il fatto che lo slogan sia stato utilizzato solo sull’isola, lascia poco spazio al dubbio.

Quella frase è un tentativo maldestro di far credere a noi siciliani che dentro quel barattolo di sugo ci fosse un po’ della nostra terra.

DOLCE COME LE MIE CONCLUSIONI

Avrei davvero voluto essere presente al brainstorming creativo che ha dato origine ad una scelta così azzardata e, ahimè, scellerata.
Dubito che in quella sala riunione fosse presente un palermitano, o un catanese a guidare i colleghi in una considerazione così banale eppure così spinosa.

Si potrebbe dire che discutere della validità della pubblicità sia a sua volta pubblicità.
Bene o male purché se ne parli.

Touchè.

La polemica intorno ad un messaggio può essere una cassa di risonanza eccezionale, ancor più se accesa ed aspra.

Ce lo insegnano Pandora con il discusso claim di San Valentino, o ancora Buondì Motta che deve il suo successo social proprio agli haters che ne sono diventati ironici testimonials.

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In ogni caso ditelo ai signori di Barilla.

La Vucciria di Palermo può essere chiassosa, è certamente affascinante, può essere definita storica o pittoresca.
Un turista potrebbe definirla “wunderbar”, ma mai e dico mai sentirete dire che è dolce né tantomeno “duci”.

Dalle nostre parti quando un pomodoro viene calpestato si dice che sia stato “scafazzato”.

Un termine onomatopeico che utilizziamo anche per connotare un’idea finita male, uno scivolone, una figuraccia in pubblico.

Insomma, Barilla a questo giro in Sicilia l’hai decisamente “scafazzata”, e non per colpa dei pomodori!


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I migliori 8 video di marketing di sempre

I migliori 8 video di marketing di sempre

Ogni giorno vengono visionati filmati su YouTube per oltre 500 milioni di ore.

Non rende l’idea, vero?
Allora mettiamola in questo modo.

Avresti bisogno di cinquantasettemila anni per vedere tu da solo la quantità di ore/video che in un solo giorno vengono consumate su YouTube.

Sia chiaro, dovrai trattenere la pipì.

Penso non sia necessario aggiungere altro per farti comprendere che

  • Se stai comunicando già il tuo brand attraverso i video pollice in su
  • Se non lo fai ancora tanti pollici in giù e ammonizione ufficiale.

Soprattutto i settori beauty, design e live stream sono dipendenti dai contenuti video.

Molte aziende cominciano a comprendere il perché è corretto comunicare attraverso i video; la percentuale di aziende che fanno ricorso ai video, infatti, aumenta di anno in anno, di settore in settore.

Si stima che l’anno prossimo l’85% della comunicazione web passerà attraverso contenuti video.
Il cervello umano elabora le immagini con una velocità esponenzialmente maggiore rispetto all’elaborazione di un testo.

D’altra parte il videomarketing è una branca ben definita del marketing, che si muove con regole sue e strategie uniche.

I Social Network consentono la messa in opera di una video strategy vincente con budget pubblicitari non necessariamente esosi. Un ottimo video e un’ottima targetizzazione del pubblico potrebbero rendere virale un contenuto in poche ore.

Cosa serve?

Per produrre un buon video occorre organizzare un efficace brainstorming, elaborare idee creative e accattivanti, un team che lavori alla parte tecnica, ai testi, al “messaggio” che si vuole far passare e alla diffusione in ultima battuta.

Se stai pensando a quei classici video molto vintage dove vengono ripresi gli ambienti dell’azienda, con gli operai al lavoro sorridenti, e il presidente della società in giacca e cravatta che si auto-loda, attribuendosi una lunga sfilza di inimitabili qualità… stai pensando nel modo sbagliato.

Oggi fare video content passa necessariamente da uno step creativo se si vuole essere efficaci.

A corto di idee?
Guarda quali livelli di follia e genio puoi raggiungere con un pizzico di fantasia e – innegabilmente – stanziando un budget ben definito ai contenuti video.

1. SQUATTY POTTY – Pooping will never be the same

Come pubblicizzare un prodotto che per sua natura stimola – che ridere! –
l’ironia e rischia di trasformarsi in una buffonata?

Attraverso l’ironia e rendendolo una buffonata!

Grazie all’ironia appunto, il marketing può affrontare un tema assolutamente tabù e scivoloso – oddio, basta doppi sensi! – e utilizzare il video per educare il consumatore sull’uso corretto (e necessario) del prodotto.
Inutile porre il focus sull’aspetto salutare, meglio puntare sul raptus “like & share for cazzeggio con gli amici” per aumentare la visibilità del video e raggiungere quante più persone possibili.

2. Android – Friends Forever (2015)

Ci sono tre cose che devi assolutamente sapere per apprezzare al massimo questo video:

  • La prima è che le storie più efficaci sono quelle in cui i protagonisti sono animali. Pensa ai grandi classici Disney o le favole di Esopo.
  • La seconda è che circa l’80% delle persone si dichiara amante degli animali in genere, circa il 30% in particolare modo dei gatti.
  • La terza che è scientificamente provato che guardare video di animali aumenti la produzione di serotonina influenzando un benessere psichico e una riduzione dello stress percepito.

Si completano le valutazioni sull’efficacia del video con un uno slogan ben riuscito che spinge a stare insieme senza perdere la propria particolarità e senza uniformarsi.

Riassumendo, Scegli Android, sii felice e inimitabile.

3. Coca Cola – La macchinetta della felicità

Un distributore di Coca-Cola si trasforma in un distributore di buon umore.
C’è bisogno che ti spieghi che associazioni fa il nostro cervello?

L’effetto sorpresa, ma soprattutto l’omaggio inaspettato, creano un profondo senso di gratitudine nel consumatore che aumenta il suo legame con il prodotto. Se devo bere una bibita, sceglierò sempre quella che mi ha dato di più.

Naturalmente un video come questo, oltre a raccontare una bellissima operazione di “unconventional marketing” spinge l’utente a condividere la propria approvazione.

Quanti soldi servono per produrre un video del genere? Pensaci, qualche telecamera nascosta, e una macchinetta modificata.
Non hanno mica ingaggiato George Clooney!

4. Reebok – 25,915 giorni

Reebok cala l’asso con un video davvero ben fatto.
Anziché produrre un video sulle qualità di un prodotto, l’azienda ha pensato bene di raccontare i benefici dell’attività fisica, fatta a prescindere dall’eta e dall’equipaggiamento utilizzato.

La durata media della vita umana è di 25.915 giorni e Reebok sfida ognuno a viverla pienamente attraverso lo sport (per il quale va da sé è necessario acquistare abbigliamento tecnico).

Una vita atletica infatti “sovvertirebbe” il naturale invecchiamento, rendendoci sempre più forti e giovani nonostante l’avanzare degli anni.
La musica e un videomaking incalzante e ritmato trasferiscono emozioni affini al coraggio, alla sfrontatezza e alla vittoria.

Chi di noi non vorrebbe sentirsi un vincente?

Anche il BB Team crede nei benefici dell'attività fisica.

Non ci credi? Guarda come abbiamo raccontato la sfida di Davìd.

5. Dove Real Beauty Sketches – Sei più bello di quanto pensi

Anche la donna più sicura di sé nutre dubbi sul proprio aspetto fisico. Un’azienda come Dove, che produce prodotti per la cura del corpo, non può non tenere presenti le esigenze, i disagi più intimi, le sensazioni e le speranze del suo principale target. Le donne.

Con questo video Dove mette in luce la differenza che c’è tra l’immagine che abbiamo di noi stessi e il modo in cui gli altri ci percepiscono. Il risultato è che siamo migliori di quanto noi stessi pensiamo, più belli, più positivi.
La musica, la location scelta e le luci catturate durante le riprese completano una realizzazione davvero eccellente, nonostante gli oltre 6 minuti di video, in totale controtendenza con le abitudini social.

6. Allego – cosa stai cercando a Natale?

Allegro è un e-commerce polacco.
Con questo video il sito non vuole decantare le qualità dei prodotti che vende (sarebbero così tanti) ma far comprendere che dietro un acquisto ben fatto si nascondono grandi motivazioni e grandissimi benefici.

La gente non acquista ciò che gli serve davvero, ma ciò che gli trasmette emozioni eccezionali.
Per questo il video si conclude con un colpo di scena intenso e ricco di significati toccanti.

7. GoPro – Un Vigile del Fuoco salva un gattino

La comunicazione GoPro è sempre stata accompagnata dallo slogan “Be a Hero” dove con il termine Hero si fa riferimento tanto all’eroe moderno quanto alla action camera prodotta dall’azienda.

L’eroe moderno per un prodotto del genere è l’atleta estremo. Paracadutisti, skaters e bikers hanno sempre fatto da testimonial per il brand. Con questo video però l’attenzione si sposta su altro tipo di eroi, e su un nuovo modo di utilizzare i prodotti GoPro

Costi di produzione? Pensa che è stata utilizzata semplicemente una Hero4 per le riprese!

8. Modi stupidi di morire

Sai a cosa la gente presta meno attenzione in assoluto?
Agli avvertimenti sulla sicurezza.
Nessun vuole sentirsi dire cosa deve fare per non correre rischi.

In che modo il classico “Stai Attento!” Può diventare efficace e virale allo stesso tempo?
Dai, arrivati in fondo a questo articolo la risposta dovresti già conoscerla.

Un bel video.
Oltre 2 minuti di animazione elementare e semplice, una canzoncina ripetitiva come le filastrocche per bambini e un titolo da premio Nobel.
Modi stupidi di morire. Modi incredibili per ottenere oltre 170 milioni di visualizzazioni e generare un valore di oltre 50 milioni di dollari.

Ah, gli incidenti in metro a Melbourne (dove è stato lanciato e prodotto il video) sono calati del 30% e dopo appena 6 mesi dalla distribuzione del video, l’azienda ha prodotto anche un videogame su app per smartphone.


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Si può decidere di essere piccoli?

Si può decidere di essere piccoli?

La conosci la storia di Peter Pan?
Vabbè, si lo so, la conosci benissimo. Era per rompere il ghiaccio.

Tornando a Peter Pan, il nostro bulletto dell’Isola che non c’è proprio non voleva crescere.
Gettarsi nel mondo degli adulti, doversi sottomettere a così tante regole e formalità, dover vivere lo stress di imparare, di andare oltre le proprie conoscenze e tenere il passo in un mondo iper-competitivo e cinico.

Stiamo ancora parlando di Peter Pan? Si.
Ma anche no.

Non voglio confonderti. Anzi, rifletti insieme a me su questa domanda:

La tua azienda è piccola o grande?

Sappiamo benissimo che il mercato lo fanno le grandissime aziende, i colossi internazionali.

Tuttavia in quello stesso mercato sono decisamente più numerose le piccole e medie imprese.

In realtà, se proprio vogliamo andare a fondo a questo luogo comune, la maggior parte del mercato è composto da piccolissime aziende, con meno di 10 dipendenti, artigiani, professionisti.

Allora è più corretto dire che la maggior parte del profitto sta alle grandissime aziende, le piccole si dividono la restante parte.
Questa non è una cattiva notizia in fondo.

È chiaro che una piccola azienda – per piccola intendiamo attività locali, artigiani – non può sovrastare il messaggio pubblicitario di un colosso che fa del marketing di massa la sua arma più potente.

È proprio per questo che le piccole aziende dovrebbero smettere di provare a vendere a tutti, e cominciare a selezionare minuziosamente i clienti.

Hai sentito bene. Se stai pensando che in tempo di crisi – a ridaje co’ sta crisi – non possiamo permetterci di fare gli schizzinosi, sappi che… non è quello che sto dicendo.

La verità è che le piccole aziende fanno una fatica – economica e fisica – sproporzionata nel cercare di mostrarsi ad un pubblico quanto più ampio possibile.
Al contrario, sono proprio le attività familiari, i piccoli artigiani, i produttori locali che hanno più bisogno di identificare correttamente i propri clienti.

Una volta definito il profilo ideale sarà più facile, anche grazie ai moderni strumenti di promozione, spendere in modo oculato anche piccoli budget pubblicitari veicolandoli sul target giusto.

Identificare il cliente ideale, chiarire il sistema di valori, costruire un’immagine chiara e coerente, sfruttare il direct marketing e programmare una strategia di Inbound Marketing è più urgente per una piccola impresa che non per un brand affermato.

NON BISOGNA CRESCERE PER FORZA

Non tutte le piccole aziende mirano a diventare grandi.
Non tutti i ristoratori vogliono aprire catene in franchising e non tutte le sartorie vogliono ateliers nelle capitali europee.

È legittimo che ognuno abbia ambizioni diverse.

Sia chiaro, quando diciamo “piccola” non intendiamo approssimativa o #FattoInCasaConPassione.

Un’azienda può esprimere un prodotto/servizio di primissima qualità lavorando con piccole produzioni o mantenendo le tradizionali lavorazioni a mano che naturalmente richiedono più tempo.

Ad esempio un forno locale può perseguire l’uso di grani antichi, lievitazioni lente e naturali. Può rigettare l’uso di prodotti chimici o surrogati.
Può farlo mantenendo lo stesso staff di sempre, un unico punto vendita e applicando costi che sostengano l’intero business senza la ricerca spasmodica di una fetta di mercato più ampia. A quel punto gli basterà identificare una value proposition chiara e diretta per posizionarsi senza ambiguità sul mercato.

Un calzaturificio a conduzione familiare potrebbe concentrarsi su scarpe di vera pelle, prodotto perfetto per professionisti affermati.
Potrebbe poi completare la proposta commerciale con un prodotto per la pulizia efficace delle scarpe, rimanere a conduzione familiare per mantenere alte attenzione e competenza sulla produzione, e concentrarsi sul livello di fidelizzazione con i propri clienti prima ancora che pensare di trovarne di nuovi.

LAVORARIAMO CON I PICCOLI E NE SIAMO FIERI

Noi siamo piccoli!

Fai un giro sul nostro sito. Siamo pochi ma buoni, abbiamo entusiasmo e ci divertiamo parecchio nei momenti creativi. Il nostro ufficio è maledettamente piccolo, ma è vero che se fosse più grande ci parleremmo meno.

Piccolo non vuol dire sfigato.

Nel settore del marketing, le agenzie tendono a ricercare clienti “grandi”, brand prestigiosi che possano conferire parte di quel prestigio. La fama di un’agenzia di comunicazione è direttamente proporzionale alla fama dei marchi che tratta. Almeno così si dice in giro.

Eppure noi troviamo ugualmente appagante lavorare con piccole o grandi aziende a patto che vi sia una visione, un intento preciso e tanto entusiasmo. Nel nostro portfolio coesistono piccoli e grandi marchi, non facciamo distinzione.

Spesso ci sediamo a tavolino con aziende locali e riscopriamo valori meravigliosi da comunicare. Appartenenza territoriale, produzioni storiche, folklore e tradizioni, storie di famiglia attraverso generazioni di sacrifici.

Alle volte ci soffermiamo ad analizzare il marketing di marchi più blasonati che sembrano però parlare a tutti e a nessuno. Tavoli su cui fatturato, ricavo, investimento sovrastano qualsiasi altra considerazione.

Si può essere piccoli per scelta o per sorte, ma la cultura d’impresa va al di là della grandezza del brand.

Il panificio, la farmacia, il mini market, la gelateria artigianale.
Il “chioschetto” notturno o la pasticceria storica, possono sviluppare un marketing mirato e diretto al loro cliente tipo, dimenticando promozioni su “maxi formato” o ”larga scala” o peggio “massima diffusione”.

Se i piccoli imprenditori capissero che è più facile, meno dispendioso e più profittevole parlare da piccola azienda soltanto ai clienti in target, probabilmente avremmo più clienti.

E a quel punto, diventeremmo grandi?


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Effetto Alone, quando bello diventa bravo

Effetto Alone, quando bello diventa bravo

È un errore universale, appartiene infatti a tutto il genere umano e accade ogni giorno, più volte al giorno e in più ambiti.

Qualcuno lo definisce semplicemente errore di giudizio.
L’effetto alone è un processo mentale che nella comunicazione viene ampiamente sfruttato dalle aziende.

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Spot Nespresso – Anno 2015

Cos’è l’effetto alone

Ti è mai capitato di voler acquistare online un prodotto di cui non avevi mai sentito parlare prima solo dopo averne visto una presentazione video che ne esaltasse la bellezza e il design?

Hai mai acquistato un prodotto da scaffale perché il packaging era davvero fighissimo o perché presentato in pubblicità da una star decisamente attraente?

Hai mai ritenuto una persona estremamente bella e affascinante, anche capace di cose che poi nella realtà dei fatti non era in grado di svolgere al meglio?

Immagina un laureando in medicina che presenti la sua tesi di laurea in jeans e canottiera di fronte alla commissione.
O un avvocato che sviluppi la sua difesa in bermuda e infradito in piedi dinanzi al giudice.

Sfortunatamente il nostro cervello utilizza il dato della bellezza per sviluppare tutte le altre percezioni.
La vista è infatti uno dei sensi più determinanti per lo sviluppo delle sensazioni sensoriali.

Immagina di toccare un oggetto disgustoso con gli occhi bendati. Probabilmente la sensazione di disgusto reale la svilupperesti solo dopo aver tolto la benda, avendo semplicemente fino a quel momento compreso di avere tra le dita una sostanza scivolosa o umida.

È questo che facciamo, attribuiamo delle qualità positive a tutto ciò che appare bello esteticamente.
Creiamo pregiudizi negativi verso ciò che non si mostra sufficientemente affascinante, e viceversa riserviamo molta fiducia in coloro che si presentano molto bene.
Non è certo una cosa nuova. Pensa ai rappresentanti, gli assicuratori, i bancari di un tempo. Se l’obiettivo era ottenere la fiducia del cliente, il look e la cura del proprio aspetto erano il primo fondamentale passo.

Riassumendo dunque, l’effetto alone è il processo mentale che ci induce ad attribuire una certa caratteristica a qualcosa o qualcuno partendo da un’altra sua caratteristica.

La conseguenza sulle risorse umane

Un eccellente talent scout o chiunque lavori nel settore del reclutamento e delle risorse umane dovrebbe essere immune dall’influenza dell’effetto alone.

Se si vuole cercare un collaboratore davvero affidabile e che sappia farsi carico delle sue mansioni con impegno e diligenza, è necessario imparare a non cadere nel tranello che l’aspetto fisico potrebbe rappresentare.
Un collaboratore ordinato e ben vestito, che si esprime correttamente potrebbe anche non essere il miglior candidato possibile.

Per questo motivo le aziende più strutturate costruiscono un percorso selettivo in cui il candidato è costretto a misurarsi con alcune prove pratiche effettuate da selezionatori diversi.
La combinazione dei diversi risultati e l’opinione di più esaminatori costruiscono un profilo più accurato del candidato.

Si è registrata l’influenza dell’effetto alone anche in ambito giudiziario, laddove il giudice si è dimostrato maggiormente benevolo nei confronti di imputati di bell’aspetto nel deciderne la sentenza e gli anni di detenzione.

L’effetto alone nel marketing

Ciò che appare bello è desiderabile.

Questo è il principio che indirizza la comunicazione pubblicitaria. Per questo motivo non si può lasciare al caso l’aspetto pubblicitario dei nostri prodotti o servizi.
In questo ambito acquisiscono maggior valore il design e il packaging.
Quando però parliamo dell’aspetto pubblicitario di un prodotto non intendiamo il modo in cui fisicamente appare ai possibili clienti, ma tutte le attività digitali e non finalizzate alla promozione del servizio stesso.
La qualità delle fotografie utilizzate nei cataloghi, la struttura grafica di un depliant, la consistenza della carta di un menu al ristorante, la facilità di navigazione di un sito internet da più device, il coinvolgimento dei contenuti social.

Qualsiasi azione di marketing che riesca a suscitare un’interazione con il pubblico deve essere curata e di alta qualità.
Ogni azione, ogni contenuto, contribuisce alla costruzione dello status di un prodotto.

La cosa davvero interessante è che l’uomo non è in grado di comprendere quando l’effetto alone ha avuto inizio e in quali valutazioni ha giocato un ruolo importante.

Questo significa, banalmente, che se riusciamo a fare un’ottima prima impressione sul nostro cliente, ci saremo guadagnati una silenziosa voglia di giustificare anche le piccole sbavature, o addirittura che quest’ultime passino come qualità positive.

Non è diverso da ciò che accade tra innamorati che nei primissimi mesi di innamoramento riescono a perdonarsi difetti e sviste che una coppia sposata da anni invece affronta con nervosismo e rabbia.

Hai mai visto come le aziende utilizzano l’effetto alone per promuovere il proprio prodotto?

Quante volte ti sei soffermato ad ammirare la perfezione dei panini di McDonald’s? Goditi il “McAlone”

Il BB pensiero

A tal proposito vogliamo citare una frase davvero significativa di Franck Pick, l’ideatore del celebre logo della metropolitana londinese ed esperto di design urbano e industriale, una frase che campeggia sui supporti cartacei che utilizziamo durante le nostre consulenze, a ricordarci il motivo per cui è importante il valore del nostro lavoro a supporto di aziende e professionisti.

Good Design is a Good Business.

A buon intenditor…


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Sei sicuro che le tue campagne Facebook (NON) funzionino?

SEI SICURO CHE LE TUE CAMPAGNE FACEBOOK (NON) FUNZIONINO ?

Funziona pressappoco così

Sei un professionista, un imprenditore.

Gestisci una o più pagine Facebook e hai finalmente compreso che una pagina depositata sul social network blu non può prescindere da un budget destinato alle sponsorizzate.

L’algoritmo è implacabile.

Quindi ti butti nella giungla chiamata Facebook Ads e nel giro di qualche ora riesci a capire il funzionamento di base dell’area promozioni della pagina.

Costruisci il tuo pubblico – ho fiducia in te e sento che è quello giusto – e stanzi un budget specifico per un certo periodo di tempo.

Ora attendi paziente alla finestra aspettando che arrivino i clienti a comprare il tuo prodotto.

Un prodotto di qualità eccelsa, naturalmente.

Finito il periodo della campagna decidi di dare un’occhiata ai click, alle persone raggiunte, alle interazioni con la sponsorizzata.

Ed è qui che arriva quella fastidiosa sensazione di sconforto.

Basta! Le Ads di Facebook non funzionano!  Richiami l’amico tuo che ti offre i 6×3 in centro e i 120×70 sugli autobus per quindici giorni. L’hanno scorso hanno funzionato.

Se ancora non è successo, succederà

Ora riavvolgiamo il nastro.

Perchè questo è ciò che accade a moltissimi inserzionisti di Facebook. Forse non a te, forse non ancora, ma è una tappa per tutti, lo è stata anche per noi.
Finché non abbiamo capito che una campagna Facebook va valutata non solo per i suoi risultati diretti, ma anche e soprattutto per i suoi effetti secondari, nel tempo.

Una sponsorizzata può agevolare il processo di Inbound Marketing. Può generare l’azione che desideri, dal click sul contenuto visivo, al play di un video, al click ad un link del sito. Puoi ambire ad aumentare i Mi Piace alla pagine o ad innescare la lead generation pianificata e acquisire un prospect di qualità.

Non è sempre amore a primo click, ma...

Certe volte però – la maggior parte delle volte in realtà – la conversione del contatto in cliente non avviene con “colpo di fulmine”, ma si sviluppa a distanza di qualche giorno, a freddo o semplicemente dopo che l’utente si è debitamente informato sul tuo conto.

Dunque da una parte la tua inserzione può generare un’azione immediata, altre volte può lasciare un seme nella testa dell’utente e indurlo a completare l’acquisto in seguito. In entrambi i casi la tua inserzione avrà funzionato, tuttavia avrai percezione solo del primo caso descritto, ovvero l’azione immediata.

O FORSE NO…

...FACEBOOK ATTRIBUTION diventa tuo alleato!

Potresti conoscere anche gli effetti nel tempo se utilizzassi Facebook Attribution.

In Gestione delle Inserzioni, studiando i dati relativi ad un post sponsorizzato, potresti ottenere dati come impression, reazioni al post, visualizzazioni del video o condivisioni, a puro titolo di esempio.

Non potrai invece analizzate ad esempio un acquisto sul sito a distanza di 5-10 giorni, se non utilizzando Attribution nelle funzioni Report e Misurazioni.

Un tool davvero interessante che monitora il comportamento successivo di chi ha interagito con la tua inserzione. Potresti arrivare a conoscerne le azioni fino ai 28 giorni successivi.

Clicca sull’immagine per ingrandirla

E se ti dicessi che potresti  conoscere ancora meglio il tuo pubblico?

Rimane sottinteso che se vuoi rendere davvero efficaci le tue sponsorizzate non puoi fare a meno dell’uso del Pixel di Facebook se il tuo obiettivo e portare gli utenti del social sul tuo sito.

Grazie al Pixel infatti, potrai cominciare a conoscere approfonditamente il tuo pubblico ricorrente, replicarlo, ampliarlo sulla base delle caratteristiche predominanti, o semplicemente puntarlo per aumentare la tua brand awerness nei loro confronti.

Ricorda: oggi i dati valgono quanto o più del denaro. E la conversione da contatto a cliente è solo l’ultimo passaggio del processo che parte con la conoscenza e la percezione del brand, la cosiddetta awareness.

Se lavori attraverso più campagne, settate sul medesimo pubblico, potresti avere ottimi risultati su una campagna specifica, pur generati dal fatto che uno stesso utente potrebbe aver interagito con più campagne prima di decidersi a comprare o compiere l’azione desiderata.
In altre parole, la conversione generata da una campagna potrebbe essere condizionata in positivo dall’efficacia delle altre, apparentemente meno performanti.

Un’altra cosa che in pochissimi sanno – adesso sei uno di “noi altri pochissimi” – è che Facebook premia le sponsorizzate a medio-lungo termine piuttosto che le one shot con budget concentrato in pochi giorni.

Spesso si boccia una campagna, o si investe il budget su altri canali, semplicemente osservando le metriche dei risultati del singolo post.

È come attribuire il merito di un piatto ben riuscito alla spolverata di pepe conclusiva, senza considerare chi lo ha preparato e la ricetta utilizzata o le cotture adottate.

Il BB pensiero.

Secondo la nostra esperienza, il successo di una campagna è data sia dai contenuti organici e dall’engagement generato, sia da post sponsorizzati non necessariamente finalizzati a compiere un’azione ma a fornire un contenuto utile e di valore, sia da post sponsorizzati con una call to action chiara.

Il tutto pianificato in un calendario editoriale, indispensabile per la gestione efficace di una pagina e per aumentare il successo delle campagne.


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Inbound Marketing Strategy

INBOUND MARKETING STRATEGY: COME TRASFORMARE UN ESTRANEO IN CLIENTE

Chiamatelo marketing, o inbound marketing, ma è il sale della vostra vita da imprenditori.

Trasformare un semplice passante, un distratto viandante sul marciapiede, in cliente, inducendolo ad entrare nel vostro bel negozio nell’esatto momento in cui grazie a voi risolve un’esigenza specifica (sonno,fame,salute,sicurezza) deve essere il vostro primo passo strategico e pensato.
Alzare la saracinesca e sedersi al bancone non basta. Sappiatelo!
A meno che non siate gli unici a vendere un certo prodotto in un certo luogo.

Se non state facendo questo, se non state lavorando in questa direzione, se non ci state quantomeno pensando, non state lavorando sulle cose importanti.

Se continuate a guardare la qualità del vostro prodotto, la vastità dei servizi che offrite e non capite perché la gente sceglie i vostri concorrenti che nel frattempo evadono il fisco, non pagano i dipendenti e vendono le cose scadenti, offrendo più di voi ad un prezzo più basso…continuerete a domandarvelo in eterno.

Di cosa ho bisogno quindi?

Per trasformare un estraneo in cliente dovete produrre e condividere con lui contenuti.

E intendo contenuti utili. Non che piacciano a voi. Ma che servano a lui.
Quello che si fa online ha un senso se pianificato considerato l’essere umano come fruitore – possibilmente un essere umano profilato che risponda all’identikit del vostro cliente ideale – che ha dei bisogni ed è alla ricerca di qualcuno che possa soddisfarli (voi, o chi più furbo di voi).

L’utente medio ogni volta che effettua una ricerca di un contenuto, che sia sui social o sui motori di ricerca, compie un percorso attraverso una serie di azioni ben precise.

Se lasciate al caso questo percorso, lasciate al caso la possibilità di acquisire centinaia di clienti.

Se invece quel percorso lo create proprio voi, basterà mettere n. entrate ma una sola uscita: la porta del vostro business.

Questo è l’obiettivo dell’Inbound Marketing.

” Il marketing inbound è focalizzato sull’attrazione dei clienti attraverso contenuti pertinenti e utili e sull’aggiunta di valore in ogni fase del percorso di acquisto del cliente. Con il marketing in entrata, i potenziali clienti ti trovano attraverso canali come blog, motori di ricerca e social media.
A differenza del marketing in uscita, il marketing in entrata non ha bisogno di lottare per l’attenzione dei potenziali clienti.
Creando contenuti pensati per affrontare i problemi e le esigenze dei tuoi clienti ideali, attirerai potenziali clienti qualificati e creerai fiducia e credibilità per la tua attività”.

Una vera e propria selezione naturale, così da investire il budget pubblicitario SOLO su chi davvero può diventare cliente.

Se ad esempio vendessi un rivoluzionario sistema che lucida scarpe in vera pelle in pochi istanti, da tenere in tasca, sarebbe preferibile mettere un 6×3 per le vie principali della città? O ancora è meglio un volantino porta a porta o un semplice post su Facebook in cui posso inserire interessi e abitudini per filtrare il pubblico che lo visualizzerà?
Distribuire campioni prova fuori dalle scuole elementari o all’ingresso di una banca?

L’inbound Marketing non è astratto, ma concreto.

Ecco come impostare la tua inbound marketing strategy

ATTRAI

  • Produci una serie di contenuti interessanti, ad esempio post o articoli di blog su come riconoscere la vera pelle, quali sono i negozi di scarpe più accreditati per evitare truffe, quali sono i giusti prezzi o modelli per le diverse soluzioni…)
  • Metti in luce i vantaggi che si ottengono ad avere il lucida scarpe tascabile (scarpe sempre pulite alle riunioni di lavoro, mani splendenti dopo aver lucidato le scarpe anche in autobus, maggiore appeal e autorevolezza negli appuntamenti di lavoro….)

A proposito di contenuti potrebbe essere interessante realizzare un video dimostrativo e i benefici che il prodotto apporta al fruitore.

CONVERTI

Strutturando le dovute landing page, o un e-shop con tanti canali d’ingresso, o il download di un coupon da sfruttare in store, fai in modo di portare il potenziale cliente davanti ad un trigger caldo (compra adesso e approfitta dell’occasione). Sul web è ancora più facile utilizzando ad esempio il pixel di facebook che memorizza il vostro pubblico ideale basandosi sulle abitudini di navigazione di chi interagisce con i vostri post. Fiiiico.

CHIUDI

Fai in modo che l’occasione di acquisto sia facilmente accessibile, richieda meno sforzo possibile, meno tentennamenti, meno dubbi sulla validità dei soldi spesi.

COMPIACITI

Beh, se riesci a fare bene inbound marketing e puoi monitorare numericamente i risultati, capire dove intervenire per fare ancora meglio… mi sembra il minimo che tu ti compiaccia del risultato.

Bene!
Siamo felici di averti fornito le informazioni necessarie per valutare attentamente la tua prossima strategia di inbound marketing.

Adesso hai la possibilità di scaricare GRATUITAMENTE  l’infografica riassuntiva dell’articolo. Puoi salvarla sul tuo dispositivo e utilizzarla ogni volta che ne avrai bisogno!

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Ferragni, Evian e il marketing del desiderio

CHIARA FERRAGNI, EVIAN E IL MARKETING DEL DESIDERIO

Chiara Ferragni, influencer numero uno in Italia, torna a far discutere di sé.
La trovata commerciale di Evian, nota azienda produttrice di acqua minerale, ha suscitato scalpore, rendendo virale una notizia che ha acceso gli animi sul web, dando vita alla solita battaglia tra difensori e detrattori.

Proviamo ad analizzare il caso, le motivazioni e i risultati di una manovra eccentrica ma efficace.

Proviamo a mettere ordine sul caso mediatico che sta dividendo il web.

Premettiamo – è doveroso – che a Chiara Ferragni vanno riconosciute indubbie capacità di “fare” marketing, ovvero di muovere il mercato e deciderne la direzione.
La coppia Ferragnez – neologismo creato in occasione delle recenti nozze tra Ferragni e Fedez – oggi divide in due il nostro paese.
Non siamo consumatori di acqua Evian, anche se ne apprezziamo gli spot che in passato hanno divertito migliaia di utenti sul web.

Fatte le dovute premesse, ecco cosa pensiamo della manovra che ha portato il marchio francese e l’influencer, regina delle storie di Instagram, a immettere sul mercato una bottiglia di acqua minerale Limited Edition dal costo unitario di 8 €.

Cosa ne pensiamo?

È UNA FIGATA PAZZESCA

Non siamo impazziti, no.
Ma da addetti ai lavori non possiamo non cogliere il carico di significati che questa azione rappresenta, avvalorando ancora una volta il potere della comunicazione rispetto alle qualità intrinseche di un prodotto o servizio. Ecco perché secondo noi Evian e Ferragni hanno fatto di nuovo bingo.

Anche l’acqua ha il suo mercato luxury

Se non lo sapevate, eccovi una notizia bomba.
Non solo orologi, auto e abiti. Anche l’acqua minerale ha il suo mercato di lusso.
Negli ultimi anni il segmento delle acque premium ha conquistato una fetta di mercato rilevante tra i beni di lusso.
È proprio un recente rapporto dello Zenith International a decretare che il mercato globale delle acque di lusso incide per circa il 12% sul totale del mercato mondiale delle acque confezionate.

In soldoni? Un fatturato di 15 miliardi di dollari all’anno.

La compagine dei clienti ideali di questo mercato è degnamente rappresentata da consumatori asiatici e americani, paesi in cui l’incremento dei ricchi da una parte e la scarsità di acqua potabile dall’altra, hanno portato ad un immediato aumento della domanda di acqua di lusso.

È proprio in Asia che Evian sta registrando numeri da record in seguito al lancio della campagna limited edition di Chiara Ferragni.
Non ci credete?
Ehi! Non diciamo mai bugie, ma se proprio volete dare un’occhiata, eccovi un sito dove approfondire la questione www.acquedilusso.it

Evian-Ferragni non è un caso isolato né nuovo

La maggior parte dei lettori che in poche ore hanno gridato allo scandalo non sanno che l’acqua limited edition rappresenta una strategia di marketing ricorrente per la società francese.
Altri nomi illustri sono stati accostati ad Evian molto prima della bella influencer cremonese, con risultati eccezionali per l’azienda.
Era il 2007 quando Christian Lacroix inaugurava la saga di collaborazioni tra Evian e grandi stilisti.
Seguirono Kenzo, Jean Paul Gaultier, Paul Smith, Elie Saab, Alexander Wang.

Calendario alla mano, da undici anni ormai la strategia è sempre la stessa: trasformare in superlusso un’acqua già considerata cara, accostandola ai nomi più pregiati della moda.
Le bottiglie “iconizzate” sono sempre state vendute al prezzo di 8 euro ciascuna, eccezion fatta per quelle firmate da Jean Paul Gaultier che hanno sfiorato i 14 dollari ciascuna.

Prezzo troppo alto?

Il mercato delle acque di lusso registra prezzi di vendita inimmaginabili. Navigando un po’ sul web scopriresti anche tu come si posizionano alcuni brand: Perlage (37 euro per 12 bottiglie) , St George e Apollinaris (42,50 euro per 12 bottiglie), Vichy Catalan (57,50 euro per 24 bottiglie).
Sappiamo bene che per dissetarsi, 8 euro rappresenti un un prezzo esorbitante. Tuttavia il marchio rappresenta uno status, e se un brand intende posizionarsi in modo chiaro sul mercato deve adottare una strategia di pricing che non passi inosservata. In altre parole, 8 euro sono troppi per una bottiglia di acqua, ma decisamente congrui per una bottiglia di Evian.

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In Conclusione, il desierio

L’obiettivo di Evian è chiaro: far crescere la reputazione del brand rendendo inaccessibili i suoi prodotti alla più grande parte del pubblico.
A tal proposito siamo rimasti affascinati da un articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore (clicca qui per leggere l’intero articolo), all’interno del quale Mauro Ferraresi, docente di sociologia dei consumi dello Iulm di Milano, spiega come

“Il marketing del limited edition, come pure il marketing delle versioni personalizzate del prodotto, quello dell’attesa e quello della privazione sono tutti generi ascrivibili alla categoria più ampia del marketing dell’assenza. Il senso è stimolare il desiderio, non vendendo il prodotto ma la marca che ne rappresenta l’identità”

Tirando le somme Evian ha centrato il suo obiettivo di marketing.
È grazie proprio al polverone mediatico che nel giro di qualche ora le bottiglie Evian by Ferragni sono andate tutte esaurite.
Non in Asia o in America.
Dove? Beh, proprio nel paese che maggiormente si è indignato, quello in cui Evian ha meno mercato: in Italia.

Nel dubbio, sappiate che nei nostri uffici continueremo ad accogliervi offrendovi della fantastica acqua minerale, acquistata al mini-market all’angolo, rigorosamente attendendo l’offerta da volantino!