Personal Branding

Personal branding: le strategie che cercavi a portata di click

Sii il brand di te stesso. Hai mai pensato al fatto che tu stesso puoi diventare un brand e posizionarti sul mercato?  In un mondo in continua trasformazione, tu sei l’artefice del tuo successo e il tuo miglior testimonial. Devi soltanto capire come costruire una tua marca personale e valorizzarla. 

In questo articolo, oltre a spiegarti l’importanza di puntare sulla tua marca personale, ti darò degli strumenti su cui lavorare. 

Cos’ è il Personal Branding?

Riccardo Scandellari afferma che il Personal Branding consiste nella comprensione e valorizzazione delle capacità e qualità personali, attraverso un’adeguata comunicazione ad un pubblico interessato (Fai di te stesso un brand, ndr).

La marca personale non è altro che un insieme di elementi, una somma di valori. È la marca che ci promette un dato risultato, che garantisce qualità.

Perché fare personal branding? 

Il Personal Branding e la web reputation sono sempre più importanti nella vita professionale di tutti noi. Devi costruire la tua reputazione ma al tempo stesso devi farti percepire come vero e autentico nel caotico mondo del web. 

Potresti frequentare un corso di digital marketing e infarcirti di nozioni teoriche ma a lungo andare non ti servirà a niente. Prima, devi comprendere bene chi sei e cosa puoi offrire al mercato. Cosa ti distingue dagli altri. Perché qualcuno dovrebbe scegliere te e non un altro. 

Il primo passo da compiere è identificare gli aspetti che ti contraddistinguono, come persona prima e come marca personale poi. 

Attenzione, non devi fare un percorso catartico per scoprire la persona che potresti diventare, racchiudendoti in preghiera. Non fare niente di così trascendentale. Devi semplicemente lavorare sulla persona che sei ora.

Come? Scoprendo ed esaltando i tuoi punti forti, individuando il tuo valore, le tue attività, risorse e partner chiave.

Più avanti ti darò qualche strumento di marketing che ti permetterà di farlo. Come ti ho già accennato, infatti, non ricorreremo alla meditazione ma costruiremo il te/marca come si fa con un prodotto da posizionare sul mercato. 

Chi deve fare Personal Branding?

Che tu sia un giovane alle porte del mondo del lavoro, o un manager, o un imprenditore affermato nel tuo mercato di riferimento, non puoi smettere di curare la tua immagine personale e professionale. C’è solo un’occasione di fare una buona prima impressione!

Il colloquio di lavoro o quello con un potenziale cliente sarà anticipato da una ricerca da parte del recruiter/cliente. Vorranno sapere chi sei e per farlo ricorreranno al web. Non è un’ipotesi ma un’assoluta certezza.

Per questo motivo cura i tuoi profili social , rendili credibili ed efficaci allo scopo. Se opportuno, prenditi cura di un blog.

Strategie di personal branding

Per fare personal branding devi lavorare sulle tue mission e vision. Devi avere ben chiare quali sono: 

  • le tue attitudini
  • i tuoi punti di forza
  • le risorse che hai a disposizione
  • le tue debolezze
  • le tue motivazioni
  • il tuo obiettivo.

Questi sono tutti elementi che costituiscono la tua personalità e li devi tenere in considerazione per andare a posizionare correttamente il tuo prodotto personale, così da intercettare uno specifico segmento di mercato. Non troverai le risposte in nessun manuale ma dentro di te. 

Di seguito ti mostro alcune tecniche per fare una corretta analisi del tuo potenziale.

Step 1: Analisi Swot

Per costruire un personal branding efficace bisogna partire da se stessi. Ecco perchè è utile fare un’analisi SWOT della propria carriera. Si tratta di analizzare i propri trascorsi, i punti di forza, quelli di debolezza, il mercato. 

Gli strumenti classici del marketing, come vedi, possono essere utilizzati anche per costruire la tua immagine professionale. 

Prendi carta e penna e inizia!

Analisi SWOT
Analisi SWOT

Step 2: utilizza il Business Model Canvas

Un altro strumento molto utile per buttare giù le idee e strutturarle è il BUSINESS MODEL CANVAS. 

Il modello Canvas è un documento che viene realizzato prima di un business plan. È utile per rendere comprensibile e fortemente visivi gli elementi che compongono la tua organizzazione. 

Business Model Canvas
Business Model Canvas

Prenditi qualche giorno e compilalo. Raccogli bene le informazioni su te stesso. Alla fine ti renderai conto di avere le idee più chiare su te stesso e potrai iniziare a lavorare sul lancio della tua marca personale, oltre che sulla promozione delle peculiarità singolarmente. 

Step 3: Scrivi un obiettivo in chiave SMART

Senza obiettivi non puoi procedere in maniera ordinata e produttiva. Il modo migliore per farlo è seguendo il modello SMART. 

S = Specific (Specifico) 

M = Measurable (Misurabile) 

A = Achievable (Realizzabile) 

R = Relevant (Rilevante) 

T = Time-based

Fare Social Branding

I social media hanno il potere di metterci in contatto con milioni di persone e di amplificare la nostra voce.

Per costruire il nostro personal brand è utile conoscere tutte le possibilità offerte da ciascun social network.

In base agli obiettivi che hai definito, adesso identifica il tuo canale di promozione personale.

È vero che la brand awareness si costruisce attraverso diversi canali, ma l’immagine che il web restituisce all’utente è percepita come univoca, quindi devi essere coerente su ogni profilo.

Facebook e Instagram

Se sei arrivato a questo punto e hai utilizzato gli strumenti che ti ho dato, avrai già preso in considerazione il fatto di modificare l’immagine di te veicolata dai tuoi profili social.

Se hai deciso che questi devono essere il tuo canale di lancio, oltre che un ulteriore palcoscenico dove mettere in mostra il tuo valore, inizia a pensarli come opportunità professionale. 

Devi creare una strategia per posizionarti bene sia su Facebook che su Instagram. 

Devi avere ben chiaro di cosa vuoi parlare, a chi ne vuoi parlare, che tono utilizzare. 

Definisci se comunicare attraverso immagini performanti o testi efficaci. Entrambi, non guasterebbero, ma le regole cambiano su ogni piattaforma che utilizzi.

 Linkedin

Per il professionista o per chi cerca nuove opportunità di lavoro, fare personal branding su LinkedIn è un modo di comunicare se stessi in modo più autorevole. 

Per questo, è importante: tenere aggiornato il profilo, creare un network di professionisti con cui condividere interessi, chiedere e ricambiare feedback, instaurare conversazioni, ecc. 

Inizia con il seguire i profili affini alla tua professione, e collegarti ai professionisti che conosci realmente e con cui hai già avuto relazioni di lavoro. Puoi chiedere loro di supportarti rilasciando una referenza o confermando le tue competenze indicate sul profilo. 

Twitter

Twitter è una sorta di piattaforma di micro-blogging: solo 280 caratteri per raccontarsi, commentare e condividere. Si tratta di un ottimo strumento per monitorare influencer e brand, soprattutto se sono organizzati in liste. L’hashtag (#) assume un ruolo centrale, perchè ti offre la possibilità di calarti velocemente in un argomento o specifico settore, secondo specifiche caratteristiche per le quali vuoi che il tuo profilo professionale sia interessante.

Youtube e Pinterest

Vuoi far leva sui contenuti video o immagini? devi puntare su questi due social. Non sottovalutare la potenza che oggi può avere un video o un’immagine. Punta sempre sulla qualità dei contenuti prima ancora che sul volume.  

Blog

Hai mai pensato di vendere te stesso e le tue idee tramite un blog? Scrivi articoli che facciano emergere le tue competenze e che offrano soluzioni su temi inerenti il tuo lavoro. 

Devi farti conoscere, raccontarti e trasmettere il tuo valore.

Il fulcro oggi sono i contenuti declinati sotto forma di parole, video, immagini, musica. 

Tutto deve essere funzionale al raggiungimento del tuo obiettivo finale, creando valore per essere competitivo rispetto agli altri. 

Costruire se stessi come una marca, non è semplice. Per questo molto probabilmente ricordi il nome di due o tre chef stelle del web, o avvocati, o consulenti di qualsiasi campo. 

Ecco perché se vuoi intercettare clienti online e diventare un brand credibile e accessibile potrebbe essere determinante un professionista del settore che ti guidi. 

Raccontaci chi sei e insieme costruiremo la tua immagine professionale o, se preferisci, il tuo personal brand. 

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  • “Rebranding, cos’è e quando è necessario.”: leggi qui

Antonella Leone

Ciao sono Antonella, e sono un’ eclettica sognatrice.

Alcuni mi definiscono un’eterna indecisa, io invece amo dipingermi come un’anima multipotenziale.
Scrivo da quando ho imparato a mettere insieme le parole. La scrittura mi ha fatto scoprire mondi paralleli dove mi perdo ogniqualvolta ho bisogno di dare pennellate di colore alla mia vita. Sono entrata per caso nel mondo digital e da allora non ne sono più uscita. Il mio motto? Non smettere mai di imparare


Instagram per ristoranti

Instagram e il Food. Come pubblicizzare al meglio cibo e bevande

Non è esagerato parlare di cibomania. Su Instagram si sprecano gli hashtag dedicati al cibo, al vino e a tutto quello che ruota intorno all’universo enogastronomico. 
Come sfruttare Instagram per pubblicizzare un ristorante?

Oltre un miliardo di utenti attivi. Un numero sempre crescente di filtri e posizionamenti, funzioni di collegamento per lo shop veloce e nativo. 

Nel 2020 Instagram è uno dei social network più utilizzati, con oltre 500 milioni di Stories quotidiane e oltre 200 milioni di visite giornaliere a profili aziendali. 

Di sicuro Instagram è un luogo eccezionale per raccogliere feedback sulle preferenze degli utenti/consumatori, soprattutto nel comparto del food.

Grazie al secondo social network più potente di Facebook Inc., è semplice intercettare i food trends e sviluppare le proprie strategie di marketing e commerciali analizzando le community attive. 

Gli hashtag come strumento per migliorare le performance.

Gli hashtag possono rappresentare una risorsa preziosa.

  • #food si piazza al 25° posto nella classifica degli hasthag più utilizzati a livello globale.
  • #foodporn invece è stato utilizzato più di 121 milioni di volte.

Numeri che offrono un’ordine di grandezza di quanto il cibo sia presente trai i contenuti, e quanto consumatori e aziende possono influenzare i trends.

Perchè le aziende possono beneficiare dei contenuti altrui.

Un’analisi anche superficiale dei contenuti – tanto quelli testuali quanto visivi – offre l’opportunità di scovare non solo le preferenze degli utenti in fatto di cibo, ma anche e soprattutto il sentimento o le emozioni legate al momento in cui il cibo viene consumato. 

Nutrirsi non è più semplicemente un bisogno primario della specie, ma uno strumento sociale, un pretesto per coltivare relazioni, una dimensione di sperimentazione e creatività. 

C’è dell’altro. Monitorare orari, testi e “sentiment” può aiutare a comprendere meglio il perchè un pranzo tenda sempre più spesso a trasformarsi in un brunch, o una cena in apericena.
Cosa vuole davvero la gente? Quando si esce tra amici, che tipo di esperienza si ricerca? Instagram – e i social in generale – possono dare una grande mano a migliorare l’offerta di un locale… o quantomeno il registro adottato. 

Geografia dei Trends

Va detto però che qualsiasi analisi deve necessariamente tenere conto di molti parametri. Una visione superficiale di hashtag o di numeri crudi, potrebbe persino rivelarsi fuorviante. 

Potrei ad esempio dirti che l’hashtag #pasta è stato utilizzato più di 11 milioni di volte e che gli spaghetti sono tra i più fotografati in assoluto. Ti sorprenderebbe sapere che il primo paese al mondo in cui viene utilizzato…non è l’Italia? 

Proprio così, il nostro paese segue in seconda posizione gli Stati Uniti, area in cui la cultura enogastronomica italiana raccoglie larghi consensi, uno dei mercati più profittevoli per chi ha intenzione di sviluppare export del made in Italy

Per questo, e per molte altre ragioni, bisogna valutare numerosi aspetti prima di utilizzare un dato a supporto di una strategia. 

Non solo cibo, spazio al vino. 

Il vino piace. Ma non da solo.
Il vino si accompagna sempre o quasi al cibo (i numeri ci dicono che la portata più accoppiata al calice è, pensa un po’, un bel piatto di spaghetti) e altrettanto spesso alle persone. Si, perchè il vino, stando a quanto ci restituiscono i dati, è simbolo di relazione, amicizia, incontri e anniversari. Il vino è un collante, tra portate, persone, culture. 

Raccontare il vino quindi, deve inevitabilmente includere il racconto di sentimenti, occasioni, accostamenti di gusti e profumi. 

In tutta onestà, a quanti piace bere del vino solo a casa senza un buon motivo per festeggiare? 

Contenuti visivi 

Spazio dunque al food storytelling, al racconto del cibo e degli ingredienti attraverso contenuti visivi, reportage, storie, senza dimenticare il linguaggio e le preferenze stilistiche. 

Un ristorante deve necessariamente raccontare le proprie portate, anche in modo astratto, non convenzionale, ma mai slegandolo dalle occasioni, ovvero i momenti per i quali l’utente può sentire il bisogno di consumare quel pasto. 

Le persone? Un vantaggio sempre, perchè le persone “comprano” persone: chefs, produttori, critici. 

Contenuti testuali

E se gli utenti tendono a legare ai propri contenuti dei valori, attraverso citazioni e riflessioni, altrettanto può fare il ristoratore, esplorando i propri valori e quelli del ristorante e trasformandoli in un copy che dia risalto alle qualità o alle origini dei piatti. 

Sempre meglio di tristi slogan e discutibili giochi di parole, o peggio, l’ invito a prenotare prima che finiscano i posti!

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Ciao, sono Gabriele Brancatello.

Mi prendo cura dei miei baffi con amore incondizionato. Sono convinto che mi facciano sembrare più cattivo. Ma in realtà, quando li arriccio sono più creativo.


SEO e SEM

SEO e SEM, cosa sono e perché è importante saperlo per la propria presenza online.

SEO e SEM sono molto semplicemente le due facce della stessa medaglia, perchè in comune hanno il medesimo obiettivo – ovvero la visibilità online – ma lo fanno percorrendo due strade opposte e complementari. 

Mettere on line il proprio sito, che sia uno shop o un blog, è solo il primo di una lunghissima serie di passi necessari e indispensabili per avere performance. L’obiettivo è che il sito appaia sempre nella prima pagina di ricerca su Google, in particolare nelle prime 3-5 posizioni della Serp di Google.

“Il luogo più sicuro dove nascondere un cadavere é la seconda pagina di Google”. Ironica affermazione ben nota nell’ambito della SEO e che gli addetti ai lavori hanno sentito o letto almeno una volta. 

SEO e SEM sono due strumenti strategici che, se padroneggiati, hanno il potere di conquistare visibilità crescente sul web e di conseguenza maggiore traffico al sito. E traffico sta a clienti come crisalide sta a farfalla.

Entrambi indispensabili dunque, SEO e SEM, ma assolutamente diversi.
Prova a usare la query di ricerca “ristorante cinese” su Google. I primissimi risultati saranno accompagnati dalla parola in grassetto Annuncio e sono risultati SEM. Quelli che seguono, i risultati organici, dati da un lavoro certosino di ottimizzazione di precisi parametri del sito, sono invece il frutto di attività SEO. 

Su cosa lavora la SEO.

SEO è l’acronimo di Search Engine Optimization e comprende tutte quelle attività volte a:

  • agevolare la scansione del sito ai motori di ricerca, per comprenderne i contenuti e la struttura 
  • migliorare dati e metadati indispensabili per l’indicizzazione e la scalata alle posizioni dei motori di ricerca, 
  • Posizionare correttamente il sito rispetto agli argomenti che tratta e le soluzioni che offre. 

Seppure l’attività SEO valga per qualsiasi motore di ricerca, va da sé che la maggior parte se non tutta l’attività afferente si faccia in funzione di Google, che è il motore di ricerca più noto, più utilizzato, più incisivo. 

La SEO è indispensabile per i risultati organici, ovvero quelli generati da ricerche per parole chiave. L’utente ottiene un risultato, non perchè l’inserzionista stia pagando per essere visualizzato ogni volta che qualcuno utilizza specifiche parole nella ricerca, ma perchè il sito contiene argomenti e contenuti (articoli, prodotti, approfondimenti) affini quanto più possibile alle parole usate per la ricerca stessa.

L’attività di SEO è davvero complessa e articolata, necessitando di conoscenze trasversali che non sempre si ritrovano in un unico professionista. Si lavora sui Signal, ovvero quei dati che l’algoritmo del motore di ricerca riconosce ed elabora per comprendere ogni contenuto. Anzianità del dominio, backlink, codice di scrittura, frequenza di rimbalzo, dimensione e nome dei file multimediali, performance sui social e ancora, tag, script,  velocità di caricamento, CSS, usabilità, link interni ed esterni, menu di navigazione, title e meta description, snippet, keywords. Se pensi che già così sia davvero tanta roba e poco comprensibile, sappi che abbiamo appena scalfito la superficie e senza uno schema preciso. 

Come interviene la SEM.

Anche SEM è ovviamente un acronimo e sta per Search Engine Marketing. Racchiude tutte le azioni e le strategie per migliorare il posizionamento del sito. In alcuni contesti la sigla SEM include quella SEO – che è a sua volta un’azione strategica del marketing online – ma più comunemente si distinguono per non entrare in confusione tra organico e a pagamento. 

Ancora più utile per la comprensione dell’argomento che stiamo trattando è specificarvi, anche l’esistenza, di quella che viene definita SEA, ovvero Search Engine Advertising. Questa si distingue in keyword advertising e contexual advertising, a seconda che il collegamento a pagamento al sito dell’inserzionista venga pubblicato nella SERP del motore di ricerca oppure all’interno di appositi spazi pubblicitari all’interno di siti affini.

In sostanza, SEM = SEO + SEA.

Grazie ad annunci a pagamento di vario tipo e formato, è possibile ancorare il proprio sito a specifiche parole chiave o a intere frasi (query) che gli utenti utilizzano sul motore di ricerca. Per offrire uno strumento utile agli inserzionisti, Google ha così dato vita a Google Ads (ex Adwords), una dashboard da cui è possibile configurare campagne pubblicitarie search (risultati testuali di ricerca),  display (banner pubblicitari ospitati su altri siti su cui posizionare contenuti visivi quali foto, grafiche o animazioni) o Youtube (brevi video pubblicitari che anticipano l’inizio dei video più visti e obbligatori per almeno 5-7 secondi prima che si attivi il tasto salta l’annuncio).

Una volta messe in atto tutte le accortezze richieste dalla SEO, il SEM può amplificarne l’efficacia e ottenere risultati migliori, sfruttando il potere degli annunci. 

Un Tandem offensivo.

Un sito è ben ottimizzato quando i crawler di Google riescono a scansionare agevolmente dati e contenuti e attribuire un punteggio molto alto al sito. 

Immaginali come le robo-seppie che nel film Matrix scandagliavano i tunnel in cerca dei ribelli, i crawler sono dei software che analizzano contenuti automaticamente, rispondendo ai precisi input dell’algoritmo che, a sua volta, ha come obiettivo scandagliare il web in cerca di dati di valore, da offrire in modo efficace e tempestivo ai suoi clienti: gli utenti che iniziano la ricerca.
Il SEM forza un po’ questo meccanismo che ha luogo costantemente per ogni sito. Pagando, abbiamo la possibilità di evidenziare al motore di ricerca che nel nostro sito si parla specificatamente di un certo argomento e lo forziamo a restituire il nostro sito come primo – o fra i primi tre – risultato delle ricerche pertinenti. 

Per fare una buona attività SEM, oltre ad un cospicuo budget e una buona conoscenza di come funzioni la piattaforma Ads di Google, è necessario comprendere il meccanismo di offerta e asta che caratterizza la pubblicità online, il valore delle parole chiave, i volumi di ricerca e i trends. Inoltre bisogna analizzare le abitudini di ricerca e le caratteristiche degli utenti, almeno quelli in target per i nostri contenuti. Dati demografici, caratteristiche generali, preferenze, peculiarità. 

Infine, ma non meno importante, è opportuno analizzare in quale momento del processo decisionale e d’acquisto, si colloca il nostro annuncio. Il momento esatto in cui vogliamo intercettare a pagamento un utente, il suo grado di consapevolezza del problema e della soluzione/prodotto che sta cercando, determinano in modo significativo le scelte relative al messaggio pubblicitario. Offerta, copy, timing, CTA sono elementi che cambiano molto a seconda di quale azione desideriamo compia l’utente che clicca su un annuncio Google. 

Differenze significative tra SEO e SEM.

Se sono riuscito a non confonderti fin qui e a offrirti una immagine chiara di questi due strumenti, bene! Non potrei essere più soddisfatto. Il tema è spinoso e per nulla semplice da affrontare o comprendere. Che siano due cose distinte ora ti è chiaro. Ci sono però delle differenze che è bene sottolineare. 

Risultati

La SEO raccoglie risultati nel tempo – spesso serve molto tempo, mesi se non anni – mentre il SEM performa dall’attimo stesso in cui si avvia una campagna.  Un articolo di blog ad esempio, scritto in chiave SEO ed eccezionale strumento di indicizzazione per un sito, è come un buon vino, ha bisogno di tempo per fermentare. Quanto tempo? Anche 1000 giorni. Tuttavia un buon pezzo è immortale e può vivere e galleggiare sui motori di ricerca per anni e anni. 

La SEO performa anche dopo che avrai smesso di investire risorse, perchè i risultati di un buon lavoro si raccolgono a posteriori, mentre il SEM smette di performare nel momento in cui esaurisci il budget o disattivi la campagna. 

Costi

La SEO è gratuita, perchè potresti essere abbastanza in gamba da fare tutto da te – perchè no. Il SEM invece, anche se dovessi configurare in autonomia le tue campagne, richiederà sempre un investimento pubblicitario. La verità oltre le apparenze è che entrambe le attività richiedono degli investimenti, in persone, contenuti e budget pubblicitario. 

Targeting e pertinenza

La SEO ti offre visibilità a chiunque stia effettuando ricerche affini al tuo argomento di business. Il SEM, invece, mostra i tuoi annunci solo ad un target prestabilito di persone, escludendone altre, seppure stiano ricercando argomenti affini al tuo. Ad esempio, se hai un’attività locale che non vende servizi al di fuori del proprio comune, è opportuno che il budget venga destinato ai soli utenti che vivono o si trovano all’interno della città. Il rischio è sprecare preziose risorse economiche in pubblico che non potrebbe acquistare il tuo prodotto neanche volendo. È la dura legge del pay per click.

Va detto che il tuo sito, e la sua autorevolezza agli occhi del motore di ricerca, crescono con l’aumentare del traffico indipendentemente da come sia stato prodotto. La SEO porterà traffico generico, il SEM probabilmente un traffico più qualificato. Entrambi sono utili allo scopo. 

Contenuti

Per ottenere il massimo dalla SEO dovrai produrre contenuti più lunghi e strutturati, stabili e permanenti, pensati per performance a lungo utilizzo, come ad esempio un blog e i suoi articoli. Il SEM, invece, predilige contenuti estemporanei, come ad esempio una landing page o un prodotto Limited Edition. Non importa se quel prodotto rimarrà per poco tempo sul tuo shop o se la strategia costruita sulla landing page sia temporanea. Terminate le campagne, si interromperà il traffico ai contenuti specifici. 

Brand identity

Entrambe le attività sono utili per costruire una forte brand identity online e migliorarne la reputazione e l’authority. Tuttavia il SEM può essere determinante per proteggerla dai cosiddetti incubatori. 

Immagina un B&B che voglia aumentare le prenotazioni sul proprio sito ma che contestualmente è presente su siti come Booking o Trivago. Un utente che su Google utilizza parole di ricerca affini al pernottamento verrebbe intercettato quasi certamente da questi colossi, che investono milioni di euro in annunci per migliaia e migliaia di parole chiave. Questo accadrebbe anche se l’utente digitasse il nome specifico del B&B in questione, perchè questi portali utilizzano i nomi delle strutture come parole chiave con cui intercettare traffico a pagamento. 

Ecco perchè è importante che le attività investano il proprio budget – prima che su articolate strategie SEM – quantomeno nel tutelare le proprie parole chiave, quelle legate al nome stesso dell’attività e al settore merceologico. In questo modo – e solo in questo modo – una piccola struttura ricettiva ha qualche chance di concludere prenotazioni sul proprio sito, riducendo le commissioni da pagare alle agenzie di viaggio online. Alle volte bastano pochi euro al giorno per risparmiare centinaia di euro di commissioni. 

Vale per i ristoranti, gli hotel ma anche per chi vende scarpe o abbigliamento o altri prodotti reperibili sugli ingombranti Amazon e Zalando.

SEO e SEM? Cosa preferire?

Sono certo che la mia risposta la immagini. 

Non scegliere!

Non sono due alternative ma due scarpe. Andresti mai in giro con un solo piede nudo? 

È un tandem perfetto per un risultato perfetto, ovviamente con un’infinità di sfumature sul percorso date dal tempo, dalle competenze, dalle professionalità coinvolte e dai budget stanziati. 

Combinando insieme i due strumenti otterrai:

1- traffico subito e traffico nel tempo

2- aumento dei click al link e riduzione del bounce rate, ovvero la tendenza degli utenti a entrare in un sito e uscire entro pochi secondi, cosa che penalizza il posizionamento. 

3- crescita progressiva della reputazione

4- dati costanti da analizzare, grazie alle performance di Ads, appunto, e a Google Analytics. A questi puoi affiancare altri utilissimi tools come Google Trends, SeoZoom, SEMrush…

L’aspetto più interessante? Facendo costantemente attività di monitoraggio dei trends e sviluppando una buona strategia SEO, potrai lentamente incidere sul mercato e smettere di subirlo passivamente. 

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  • “I Web Vitals. La nuova iniziativa di Google per valutare la User Experience di un sito web.”: leggi qui

Ciao, sono Nazareno, uno dei BBrothers.
La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.


TikTok_ilnuovopalcoscenico

Fenomeno TikTok: Passatempo o Strategia di marketing?

Il fenomeno TikTok è più di un passatempo disinteressato e può diventare uno strumento prezioso da inserire all’interno di una strategia di marketing aziendale. Vuoi saper come? Qui di seguito alcuni consigli utili per comprendere il nuovo media.

“Make every second count”. Dai importanza ad ogni secondo, è il leitmotiv che accompagna questo nuovo social media che, dopo aver conquistato la generazione z e la generazione alpha, sta acquisendo sempre più utenti anche dalle fasce più adulte dei millenials. 

Chi di noi non ha almeno una volta provato a “fare un tiktok” o non è rimasto contagiato dalla bizzarria dei video di amici, intenti ad eseguire una performance davanti alla telecamera dello smartphone?

Come è nato TikTok? 

Il social è stato lanciato nel 2016 dalla società cinese BityeDance, con il nome di Douyin.

La nascita vera e propria di TikTok come lo conosciamo attualmente è avvenuta, però, nel 2018, dopo che ByteDance ha unito questa piattaforma a Musicaly. È proprio questa provvidenziale fusione l’origine del suo successo, dato che Musicaly aveva già una community su scala globale e un Know-how già ben strutturato. 

Ciò ha permesso di far leva non solo su una community già sviluppata, ma anche su una profonda conoscenza del target e del mercato di riferimento. A differenza di altri social, TikTok non è partito da zero nella creazione del suo network, come invece ha dovuto fare Facebook.

Punti di forza di TikTok. 

Il fenomeno TikTok basa la sua strategia proprio sulla creazione di video brevi e sulla creatività dell’utente, che condivide momenti di vita quotidiana al ritmo di musica, e sulla costruzione di comunità virtuali che condividono passioni.

L’utilizzo del visual storytelling, che è uno dei trend in crescita in questo 2020, permette di differenziarsi e creare una connessione emotiva con i follower. 

Immediatezza, accessibilità e funzioni intuitive sono caratteristiche vincenti dell’app. 

Quale è il target di TikTok? 

Attualmente TikTok è visto come un social network giovane, caratterizzato dalla presenza dominante della Generazione Z (il 41% degli utenti della piattaforma è nell’età compresa tra i 16 e i 24 anni). Tuttavia il bacino di utenza con specifici interessi, si sta ampliando sempre di più. 

L’elemento che accomuna generazioni diverse è il fatto che TikTok rappresenta lo specchio ideale di una società che si sente creativa e fuori dagli schemi e che sente il desiderio di esprimere velocemente e online il proprio stato d’animo. 

I motivi di successo di TikTok.

Il successo è sempre il risultato della combinazione di più ingredienti. Vediamone alcuni:

Creatività del contenuto rivolta alla Gen Z

La creazione di contenuto da parte degli utenti su TikTok è un fattore differenziante rispetto al vicino Instagram. 

A differenza di quest’ultimo, TikTok possiede infatti una gamma più ampia di filtri ed effetti da applicare alle clip, oltre che ad un video-editor tanto intuibile quanto efficace. La combinazione di questi aspetti porta a possibilità creative potenzialmente infinite ed è un polo di attrazione per gli utenti.

Diventare content creators, con uno smartphone in mano, non è stato mai così semplice!

Relazioni e comunità virtuali

I tik toker sono incoraggiati a relazionarsi gli uni con gli altri attraverso video risposta, sfide o duetti. Ora più che mai, questa è una componente essenziale. Il social permette di costruire relazioni divertenti a “distanza”. 

Inoltre i video possono essere condivisi sulle altre piattaforme. 

Diverse le comunità virtuali nate sul social. Basta inserire l’hashtag giusto e il gioco è fatto. Musica, sport, cibo, make-up e prodotti preferiti, non c’è limite ai tiktok, non ci sono limiti per i tik tokers. 

Ed esattamente come successo in altri social, chiunque può ambire a diventare una star con milioni di follower.

User Experience immediata e AI-driven

TikTok cura la sua user experience distinguendosi così dalla concorrenza: una volta aperta l’app, e senza neanche il bisogno di registrarsi, l’utente si ritrova subito nel feed e visualizza la prima di infinite clip create dagli utenti.  

L’esposizione immediata al contenuto permette di entrare nel vivo della piattaforma, aumentando l’interessa e la partecipazione dell’utenza. È come arrivare ad una festa e ritrovarsi catapultati in pista da ballo senza neanche conoscere il festeggiato. 

A questa componente è direttamente collegata l’AI. I dati raccolti vengono inseriti in algoritmi di apprendimento automatico, che perfezionano la qualità del feed e migliorano l’esperienza, incoraggiando un maggiore coinvolgimento e generando più dati da reintegrare negli algoritmi. Si sviluppa in tal modo un ciclo di vita dei contenuti che porta ad un costante miglioramento della user experience. In altre parole, come in altre piattaforme, l’algoritmo si nutre delle preferenze dell’utente per mostrargli contenuti graditi che lo indurranno a rimanere per più tempo a “swipappare” tra le clip.

Moneta virtuale: la ricopensa che fa gola

TikTok offre acquisti di monete in app (coins) che gli utenti possono ottenere e devolvere ai creators. I prezzi negli USA partono da 1,39$ per 100 coins, fino ad arrivare a 139$ per 10.000.

Questa rappresenta una delle modalità con cui i giovanissimi possono guadagnare attraverso la propria attività online. Dopo aver acquistato le monete virtuali possono comprare delle emoj personalizzate, da inviare al proprio muser preferito – termine che indica chi si esibisce su TikTok –  in occasione di una diretta in live streaming.

Al muser destinatario del dono arriva il 50% delle monete effettivamente acquistate dagli utenti, la parte restante viene suddivisa tra la piattaforma e Apple Store.

Perché la tua azienda dovrebbe aggiungerlo alla strategia di marketing?

Non pensare che TikTok sia solo un social dove i ragazzini sprecano tempo, commetteresti lo stesso errore che forse hai fatto dieci anni fa con Facebook o qualche anno dopo con Instagram. Forse ai tempi di Musicaly era legittimo pensarlo, ma oggi TikTok ha ampiamente superato l’esame di fenomeno temporaneo, diventando con forza un’abitudine radicata. Le sue potenzialità sono in crescita. 

 Molte aziende ne hanno già colto la sfida, integrandolo nella loro strategia di social media marketing. 

Nike, Fenty Beauty, Apple Music, Bayern Monaco, Washington Post, per citarne alcune, producono regolarmente tik tok. 

Ciò che spinge all’utilizzo è il fatto di raggiungere il target attraverso la creatività dello storytelling con tassi di interazione veramente elevati. Cosa c’è di più efficace che presidiare i luoghi in cui il target trascorre più tempo? 

Cosa è necessario fare per implementare una strategia di TikTok Marketing?

Aprire un canale e ottimizzarlo 

L’apertura di un canale può sembrare una cosa banale, a patto che si completino tutti gli step richiesti.

Bisogna curare e ottimizzare ogni aspetto del profilo, quali:

  • Nome profilo (deve essere uguale a quello utilizzato negli altri social, quantomeno per le aziende);
  • Biografia (La descrizione deve essere strettamente legata al brand. Ciò che scegli di condividere in pochi caratteri deve essere rappresentativo della tua storia, della tua offerta e dei tuoi valori e deve essere in grado di spiegare agli utenti di cosa ti occupi. Puoi anche decidere di inserire il tuo hashtag all’interno della descrizione);  
  • Immagine del profilo;
  • Link che rimandano agli social dell’azienda;

Crea contenuti attraenti e di valore

Su TikTok è indispensabile creare video originali e in linea con la comunicazione aziendale.

Utilizza un approccio diretto e semplice per connetterti con i tuoi fan. Le parole chiave devono essere “intrattenimento” e “originalità”. Evita contenuti ingessati e tradizionali che risulteranno quasi certamente noiosi. Piuttosto dai sfogo alla creatività e cerca la sintonia giusta con il target.  

Prima di pensare al contenuto del video o allo stile è necessario definire una visione di insieme sul messaggio che vuoi veicolare e sugli argomenti che vuoi trattare. Alcune aziende scelgono di puntare sul prodotto, altre sulle esigenze della community o sulla curiosità.

Hashtag Challenge

TikTok dà molta importanza agli hashtag, dato che li utilizza per categorizzare i contenuti postati. Infatti la sezione Scopri della piattaforma riporta tutti i contenuti sotto gli hashtag di tendenza. Posizionarsi tra questi hashtag permette di essere raggiunti da un numero cospicuo di utenti.

Sempre sulla base degli hashtag è possibile lanciare delle challenge. In tal caso, tra i vantaggi, si aggiunge anche la possibilità di generare maggior engagement e awareness, oltre che di generare word-of-mouth con la possibilità di far diventare il proprio contenuto virale. 

Influencer Marketing

Anche su TikTok, come sugli altri social, le campagne di influencer marketing possono risultare efficaci.

Si può dire che nel caso specifico del social cinese è possibile far leva sia su una reach organica rilevante, ma anche sul ruolo che ricoprono gli hashtag nella diffusione delle clip.

Ovviamente, al fine di rendere una campagna del genere funzionale, è importante una chiara definizione degli obiettivi, del target e degli influencer.

Non pensare che TikTok sia solo un social dove i ragazzini sprecano tempo, commetteresti lo stesso errore che forse hai fatto dieci anni fa con Facebook o qualche anno dopo con Instagram. Forse ai tempi di Musicaly era legittimo pensarlo, ma oggi TikTok ha ampiamente superato l’esame di fenomeno temporaneo, diventando con forza un’abitudine radicata. Le sue potenzialità sono in crescita. 

 Molte aziende ne hanno già colto la sfida, integrandolo nella loro strategia di social media marketing. 

Nike, Fenty Beauty, Apple Music, Bayern Monaco, Washington Post, per citarne alcune, producono regolarmente tik tok. 

Ciò che spinge all’utilizzo è il fatto di raggiungere il target attraverso la creatività dello storytelling con tassi di interazione veramente elevati. Cosa c’è di più efficace che presidiare i luoghi in cui il target trascorre più tempo? 

Anche su TikTok si può fare Adv

Vista la crescita repentina della piattaforma, potrebbe essere una mossa intelligente investire risorse su questo social, prima di un aumento della domanda e dei costi. 

TikTok Ads ha lanciato la propria piattaforma di advertising attraverso la quale è possibile sviluppare una campagna scegliendo target, placement, timing e molto altro (analogamente a Facebook Business Manager). 

Lanciare una campagna oggi è senza dubbio vantaggioso. Vuol dire essere first-mover, o quasi,  con costi ridotti in virtù della bassa competitività tra inserzionisti. Le aziende presenti sul social sono ancora relativamente poche.

Tik Tok è entrato da relativamente poco in vari mercati (come quello italiano), ma allo stesso tempo presenta già una vasta community internazionale con prospettive di crescita molto interessanti. Inoltre è un canale ancora poco saturo, rispetto a Facebook e Instagram. 

Se anche tu vuoi sperimentare le potenzialità di questo nuovo canale social e costruire una strategia in grado di trarre il massimo profitto da Tik Tok marketing, prenota una consulenza e parlaci delle tue idee. 

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Antonella Leone

Ciao sono Antonella, e sono un’ eclettica sognatrice.
Alcuni mi definiscono un’eterna indecisa, io invece amo dipingermi come un’anima multipotenziale.
Scrivo da quando ho imparato a mettere insieme le parole. La scrittura mi ha fatto scoprire mondi paralleli dove mi perdo ogniqualvolta ho bisogno di dare pennellate di colore alla mia vita. Sono entrata per caso nel mondo digital e da allora non ne sono più uscita. Il mio motto? Non smettere mai di imparare!


Redazione giornale - Piano editoriale

Il piano editoriale: lo strumento fondamentale per chi scrive e pubblica contenuti web.

Il piano editoriale è la bussola del professionista che si occupa della redazione e pubblicazione di contenuti web per la propria azienda e/o per conto di clienti. È la stella polare che orienta il content marketing strategico in questo mare tempestoso che è il Web. 

Lo avrai sentito nominare tante volte ma non sei riuscito a metterlo a fuoco correttamente?

Il piano editoriale è davvero un punto di riferimento per gli addetti ai lavori ma è tutto tranne che un concetto astratto. Cos’è e come si sviluppa un piano di contenuti? 

Caro imprenditore sei pronto ad imparare anche oggi una cosa nuova?

Noi siamo pronti ad impararla insieme a te. 

Let’s start!

Cos’è un piano editoriale?

Prenderò in prestito la definizione che ne ha fatto Il Post.

<< Documento fondamentale di ogni casa editrice: quello dove si costruisce e ufficializza ogni anno la programmazione contenutistica ed economica di un editore. Attraverso il piano editoriale si stabiliscono i libri che usciranno nell’anno successivo e, insieme, si fa una previsione quanto più accurata possibile su quanto venderanno. >>.

Il piano editoriale regola sia la programmazione dei contenuti che la previsione degli introiti economici. 

Oggi, traslando questo stesso concetto nel mondo digital, possiamo considerare il piano editoriale come: 

<< […] un documento – esplicitato o meno – di pianificazione di contenuti nell’ambito di una qualsiasi attività di produzione di contenuti. >>

Di fatto, il piano editoriale orienta la produzione e la pubblicazione di contenuti conferendo coerenza, pertinenza e costanza. È un insieme di azioni strategiche messe in atto per raggiungere un pubblico e trasformare la propria presenza online in un potente strumento di marketing.

Ma che differenza c’è tra il piano editoriale e il calendario editoriale?

Piano editoriale VS Calendario editoriale.

Il piano editoriale possiamo immaginarlo come un “contenitore” di spunti, idee e argomenti, suddivisi per macro aree e categorie. In gergo markettaro, topic.

Si individuano così argomenti relativamente ai quali verrano pubblicati un preciso numero di post durante il periodo editoriale di riferimento, sia un anno o un trimestre.

I topic e i contenuti correlati si svilupperanno nel cosiddetto calendario editoriale, un documento che scandisce la pubblicazione su schema cronologico e cross-canale. Concettualmente sovrapposto al già citato piano editoriale, si tratta di due strumenti differenti ma assolutamente complementari, operando all’unisono verso il più alto obiettivo di dare pertinenza e coerenza alla content strategy. 

Piccola postilla: In che senso cross-canale? Il calendario editoriale può essere un unico documento in cui vengono inseriti i giorni di pubblicazione dei contenuti di tutti i canali web sui cui è presente l’azienda: articolo di blog, post di Facebook, post di Instagram, articolo di Linkedin, Newsletter… e chi più ne ha più ne metta! In questo modo tutti i membri del Team saranno sempre aggiornati e coordinati su tutto. 

Quali sono gli elementi di un Piano/Calendario editoriale?

Un piano editoriale consta di vari elementi che ne definiscono una maggiore o minore completezza: 

  • il target. La domanda da porsi è sempre la stessa: chi vogliamo raggiungere? Una risposta molto dettagliata definirà non solo il target di riferimento ma anche e soprattutto il tone of voice di ogni produzione multimediale, siano testi, foto o video. 
  • gli obiettivi. Quali obiettivi si pone la strategia espressa attraverso il planning? vendere, informare, aumentare il traffico al sito web, acquisire lead, fidelizzare.
  • la piattaforma utilizzata. Un piano editoriale può essere multi-canale, quindi può riguardare la pubblicazione di contenuti su più piattaforme. È indispensabile indicare le piattaforme che ospiteranno i diversi contenuti. 
  • i contenuti da pubblicare. Immancabili: elementi visivi (foto/video), copy (testi, approfondimenti, slogan o claim delle campagne), eventuali link (meglio se ridotti con un tools di link shortener). 
  • il timing. Stabilire giorni e orari migliori per la pubblicazione può migliorare le performance generali, oltre che accrescere il coinvolgimento. 
  • le interazioni. È utile stabilire che tipo di interazioni ci si aspetta per ogni contenuto e per ogni piattaforma. Poi, una volta effettuata la pubblicazione, riportare i risultati di interazione da parte del pubblico. 
  • le fonti. Quando si scrive relativamente a news, statistiche, festività, è opportuno stabilire le fonti attendibili e verificare sempre la credibilità e la correttezza delle informazioni.

Consiglio: potrebbe essere utile effettuare anche un’analisi della concorrenza, per vedere come si comporta il settore in cui si opera. Uno sforzo aggiuntivo che potrebbe fare la differenza: analizzare i competitor non significa copiarli, ma anticiparli!

Quali strumenti usare per realizzare un Piano/Calendario editoriale?

Non ci crederai, ma anche un semplice foglio di lavoro Excel può risultate efficace allo scopo. 

Non dovranno mancare: 

  • una colonna a sinistra con il calendario giornaliero (meglio con la data che mostra anche il giorno della settimana) 
  • una colonna dedicata alle “Ricorrenze”, ovvero quelle festività che non vogliamo assolutamente dimenticare

Infine, per ciascuna piattaforma di pubblicazione, ci sarà una colonna dedicata a: 

  • Argomento
  • Copy
  • Immagine
  • Link
  • Obiettivo
  • Note

Una volta creato un piano/calendario editoriale con Excel, sarebbe utile e consigliabile condividerlo in cloud con il resto del team – Google Drive è uno strumento universale, gratuito ed efficace – in modo che ognuno possa contribuire alla stesura e all’ottimizzazione del piano strategico. 

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Silvia Li Vecchi

Ciao, sono Silvia Li Vecchi.
Marketing Addicted: mi piace il Marketing in ogni sua accezione.
Parlare, comunicare e instaurare relazioni: il network è alla base di tutto. Credo nell’educazione al Bello e che le Creatività nutra l’anima.
Danzo da quando cammino e Cucino per divertirmi (e perché mi piace mangiare!).
Enjoy.


Facebook News

Facebook Business Suite la nuova dashboard tutto in uno di Facebook inc., ideale per la gestione social delle piccole imprese.

Chi lavora giornalmente con i social network, in particolar modo con Facebook e Instagram, saprà apprezzare la novità. Una piattaforma all-in-one che dovrebbe integrare numerose funzioni e collegare con maggiore efficacia la content strategy condivisa tra i due social. Vita facile per le piccole imprese, ma anche per i poveri social media manager. 

Business Suite nasce per includere le opzioni di Facebook e di Instagram in un unico spazio e switchare velocemente dall’uno all’altro social network. 

Lavorare sarà comodo e decisamente smart, perchè la Suite arriverà sia su desktop che su app mobile. 

Ottima notizia per i social media manager, che spesso si trovano costretti a raccontare le attività aziendali in live e non avere con sé che il proprio smartphone. 

I vantaggi di Business Suite di Facebook

Risparmiare tempo: fino ad oggi abbiamo programmato i nostri contenuti su Creator Studio, altro strumento offerto da Facebook inc. per la gestione del planning editoriale. Una volta caricato un contenuto per un social, si procede al cross-posting, ovvero alla condivisione del contenuto sull’altro social.  Business suite dovrebbe velocizzare questo passaggio dando la possibilità di pubblicare immediatamente su entrambe le piattaforme.

Piano editoriale Facebook e Instagram

Velocizzare il community management: messaggi e direct, notifiche e avvisi di Facebook e Instagram in un unico inbox, così rispondere agli utenti sarà semplice.

Community Management_message

Misurare i risultati: le opzioni di insight saranno accessibili direttamente dalla stessa app, così da verificare sempre copertura, interazioni, coinvolgimento sia dei post di Facebook che di quelli su Instagram. 

Insight Facebook & Instagram

Dov'è la novità?

Nessuna di queste funzioni sconvolge, perchè sono tutte cose che facciamo già. La differenza è che per gestire tutto siamo costretti ad utilizzare 4 applicazioni (Gestore delle Pagine, Instagram, Gestione Inserzioni e Creator Studio) da smartphone. Non cambia molto da desktop, dove si rende necessario lavorare sul pannello di Creator Studio e da numerose funzioni del Business Manager. 

Anche adesso è possibile convergere messaggi e Direct sullo stesso inbox e gestirli su Gestore delle Pagine, tuttavia non è possibile fare lo stesso dall’app di Instagram. 

Per quanto riguarda gli Insight, sarà possibile comparare le performance di Facebook e Instagram in un’unica overview. 

Il Tris perfetto: Facebook, Instagram e...?

Peccato che una piattaforma del genere non integri la terza app della famiglia Facebook Inc., ovvero Whatsapp. 

Pare che questo avverrà nel prossimo futuro. Integrare l’app di messaggistica potrebbe essere la mossa giusta per far comunicare in maniera efficace tutte le migliori funzionalità delle tre app e consentire finalmente la gestione totale di messaggi e informazioni, allineando persino i cataloghi dello shop. 

Non ci resta che attendere. Il team di Menlo Park non ha mai deluso le nostre aspettative e con questo progetto, quasi sicuramente si preparano a superarle di gran lunga. 

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Ciao, sono Nazareno, uno dei BBrothers.
La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.


lead-generation

Lead Generation, cos'è e perché le piccole imprese dovrebbero sapere come funziona.

Se provassimo a chiedere a 10 imprenditori, piccole e grandi, cosa desiderano per la propria attività, quasi certamente la risposta più quotata sarebbe “avere più clienti”.  In altre parole, tutti vogliono la Lead Generation ma non sanno che esiste. 

È il sogno di qualsiasi imprenditore. Avere la fila di clienti fuori dalla propria attività.
Un ristorante che risponde spesso “spiacenti, non ci sono più tavoli per questa sera”, o un venditore che pronuncia la frase “rimangono gli ultimi due articoli, sono andati a ruba”, genera un senso di scarsità della disponibilità del prodotto.
In più fa leva su una sempre efficace riprova sociale.
Sono solo due dei principi di Cialdini, che tuttavia sono sufficienti a scatenare il desiderio crescente verso il prodotto. Se tante persone mangiano in quel ristorante, tanti altri vorranno farlo e vorranno farlo prima che finiscano i posti!
Quante più persone indossano un capo esclusivo, tante più persone vorranno fare altrettanto… per sentirsi esclusive, naturalmente.

Voglio farti un esempio reale, prima di proseguire, che non sarà necessario argomentare.
Ricordi il lancio della crema Pan di Stelle?

Puoi fare a meno della Lead Generation?

Se un imprenditore si ritrova nella situazione appena descritta, ovvero di commercializzare un servizio o un prodotto che tutti desiderano e fanno a gara per aggiudicarsi, allora può decidere di fare a meno della lead generation.
Magari può investire le proprie risorse per migliorare il prodotto stesso, nella ricerca di nuovi prodotti correlati o investire in pubblicità e attività che aumentino la reputazione del brand.
Se invece – scenario decisamente più frequente – la fila davanti al negozio stenta a formarsi, è necessario considerare con convinzione la possibilità di fare sistematicamente e in modo misurabile attività di lead generation

Cosa è la Lead Generation?

La lead generation è un sistema di marketing, un modello di generazione clienti misurabile e scalabile.
Generare nuovi clienti è un insieme di azioni il cui obiettivo è far sì che l’efficacia commerciale non sia legata necessariamente alle capacità del reparto vendite nel trovare nuovi clienti.
In altre parole, la differenza tra un’attività di tradizionale outbound marketing – come ad esempio l’invio di mail a freddo, la pubblicità in tv o in radio, le chiamate a freddo tipiche del telemarketing – e di un più strategico inbound marketing, sta nel fatto che se nel primo caso è l’azienda a cercare e ingaggiare il cliente, nel secondo caso è proprio il cliente ad avvicinarsi all’azienda e a richiedere un contatto di natura commerciale. 

L'importanza dell'Inbound Marketing

L’Inbound Marketing non è altro che l’insieme di strumenti e azioni – digitali e non – che hanno come obiettivo attrarre utenti, trasformarli in prospect e convertirli in lead di qualità.
Sembra un processo lungo e dispendioso e di certo richiede importanti ragionamenti e investimenti da parte dell’impresa.
Tuttavia non è diverso da un corteggiamento amoroso.
Quando siamo attratti da qualcuno, difficilmente ci fiondiamo senza ragionare, né diamo inizio ad una vera e propria “campagna pubblicitaria” per costruire una relazione duratura e solida.

Molto più probabile invece, che si dia il via a quella lenta e graduale operazione nota come “corteggiamento”, fatta di sguardi e ammiccamenti, di piccoli gesti che facciano sentire importante e desiderato il bersaglio della nostra strategia.
L’obiettivo non è shockare bensì sorprendere, con la speranza che nasca nell’altra persona il medesimo desiderio di dare inizio ad una relazione.
Ecco l’obiettivo dell’inbound marketing. Costruire una relazione.
Per dare vita alla lead generation. 

Per un approfondimento, leggi il nostro articolo dedicato all’Inbound Marketing: clicca qui.

Facciamo Lead Generation

È arrivato il momento di sporcarsi le mani e iniziare a generare ogni giorno nuovi potenziali clienti, affascinati dal nostro prodotto, in cui instillare il desiderio di acquistare. 

Per fare correttamente lead generation servono due macro ingredienti fondamentali. 

  1. Traffico 

Per poter identificare nuovi potenziali clienti, serve pescarli da qualche parte. Per questo motivo è fondamentale generare traffico. Sto parlando di un numero quanto maggiore possibile di utenti che visitino il sito web.
Basta così? No, perchè una volta generato traffico al sito web è altrettanto importante poterlo tracciare, un po’ come fece Hansel lasciando cadere i sassolini dietro di sé nella celebre favola per bambini.
Dove possiamo trovare un numero molto grande di possibili utenti per il nostro sito web? Prenditi qualche secondo per pensarci… ecco! Proprio lì dove le persone trascorrono la maggior parte del loro tempo.
I social network sono il luogo ideale in cui intercettare utenti e indurli a visitare il sito.
Per fare questo entra in gioco uno strumento di cui sempre più aziende hanno bisogno ma su cui pochissime hanno iniziato a investire correttamente.

Il contenuto, necessario per attirare l’attenzione del pubblico. Meglio se un contenuto di qualità, che esprima i valori del brand e concetti adatti al target di riferimento.
Per questo esistono società di marketing (proprio come la nostra), per ideare e produrre contenuti di qualità in grado di avvicinare l’utente al brand.
Foto, video, articoli per blog, tutorial o anche le recensioni – non tutti i contenuti devono necessariamente essere prodotti dall’azienda – o qualsiasi altro user generated content, concorrono al medesimo obiettivo.
Con un buon calendario editoriale per i profili social (content marketing) e qualche campagna studiata per generare traffico (social e google ads) è molto probabile che il sito web godrà di traffico costante e di qualità. 

  1. Funnel (sito web)

Chiariamo immediatamente che un funnel non è un sito web, né tantomeno un sito web può ridursi ad un semplice funnel.
Un funnel è la sequenza di azioni che si desidera l’utente compia una volta arrivato sul sito. Una sequenza nascosta all’interno del sito web, o meglio all’interno dell’esperienza che l’utente vive una volta atterrato sul sito.
Un funnel ha inizio, ad esempio, con la compilazione di un semplice form d’iscrizione alla newsletter, ma può nascondersi nella richiesta di prenotazione di un tavolo se un ristorante ha sviluppato un’area dedicata. Il funnel può essere la naturale estensione di un articolo del blog, che una volta sviluppato un argomento, induce l’utente a proseguire la propria ricerca su un’altra pagina o ricevere una consulenza dedicata, ancora una volta compilando un form di contatto.
In tutti questi casi, ed in qualsiasi caso di funnel, l’inizio è sempre l’acquisizione dei dati dell’utente. 

La differenza tra utente e prospect sta nel fatto che quest’ultimo ha compiuto un’azione desiderata (click ad un link), permettendo dal quel momento in avanti all’azienda di tracciarne gli spostamenti grazie a strumenti come il pixel di Facebook o i tag di Google.  

Tuttavia di un prospect non si hanno dati precisi né è possibile profilarlo. È solo una traccia da seguire a ritroso grazie a campagne ads mirate. 

Un prospect diventa lead quando decide spontaneamente di condividere le sue informazioni con l’azienda. In altre parole, quando un visitatore del sito compila un form di contatto e condivide il proprio indirizzo mail o numero di telefono al fine di ricevere in cambio un valore (un omaggio, una consulenza gratuita, gli aggiornamenti dal blog), si trasforma in un lead e dà inizio al funnel di vendita.
Può sembrare scontato sottolinearlo, ma un prospect è meno prezioso di un lead.
Il primo richiede e richiederà sempre ingenti investimenti pubblicitari per essere sollecitato.
Il secondo invece può essere indotto all’acquisto, o semplicemente a conoscere le attività dell’impresa, tutte le volte che si vuole e a costi contenuti, grazie a semplici strumenti di Direct marketing, come una mail, un messaggio broadcast o un aggiornamento RSS.

Direct marketing che, a differenza dell’outbound marketing citato all’inizio, non avviene su un pubblico freddo e disinteressato, ma su potenziali clienti che hanno manifestato interesse e

Che cosa non è la Lead Generation?

Essendo uno strumento davvero efficace e misurabile, è innegabilmente preda dei guru del marketing. Chiunque voglia attirare l’attenzione di professionisti e imprenditori trova nella lead generation la soluzione ideale per promettere aumenti di fatturato e crescita esponenziale di clienti.

Se ti sei imbattuto in slogan incentrati proprio sull’aumento dei clienti, probabilmente hai incontrato qualcuno che potrebbe fare per te attività di lead generation. C’è chi è molto bravo a costruire sistemi di generazione clienti, chi invece li applica per sé stesso, proprio per trovare nuovi clienti che vogliono trovare nuovi clienti. Sembra psichedelico, ma avviene ogni giorno e i social sono pieni di sponsorizzate di gente che vuole aiutarti ad avere nuovi clienti. 

Per molti di questi purtroppo, l’unico vero obiettivo è acquisire nuovi clienti per se stessi, salvo poi rifilargli qualche informazione sorprendente ma senza applicare quei principi sul business del cliente.
La Lead Generation non è una truffa. Ogni giorno le più grandi aziende al mondo fanno attività di acquisizione lead e ogni giorno ne traggono i benefici. Semplicemente utilizzando contenuti e strategie coerenti con la propria identità. 

Lead Generation o Pubblicità?

Diciamoci la verità. Una piccola impresa, un negozio, un ristorante, difficilmente hanno sufficiente budget per sviluppare sistemi di lead generation e contemporaneamente fare attività a freddo come la pubblicità, tradizionale o digitale.  Al momento di fare una scelta, la maggior parte di queste attività impegna le proprie risorse nell’attività che comprende meglio o che pensa di padroneggiare meglio, ovvero l’adv. 

Prova ora ad immaginare quante chance di vendere possa avere un e-commerce che non sviluppi nessuna strategia di lead generation.
Se dovessi consigliare un piccolo imprenditore su come utilizzare il limitato budget a disposizione, non avrei alcun dubbio su cosa indirizzarlo. 

Un buon design che dia un’ottima immagine al brand. Poi, lead generation. 

Ciao, sono Nazareno, uno dei BBrothers.
La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.


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Curare la propria community. È davvero il Social Network il luogo ideale?

Una community ben fidelizzata e attiva è come il terreno per il contadino. 
Se ben arato, dopo la semina i frutti saranno pronti per essere raccolti. Ed ecco che gli utenti si trasformeranno in clienti, a patto che tu abbia seminato.

Ero ancora un bambino quando mio padre decise di acquistare il primo computer di casa. Ricordo ancora chiaramente la schermata di apertura del sistema operativo Windows 95.
Dopo qualche mese fu il momento di diventare modernissimi e diventare anche noi pionieri di quel mondo di cui tanto si parlava.

Il Web

Così anche in casa nostra iniziò a riecheggiare quel suono piacevolmente analogico, fatto di stridenti suoni robotici e lunghi suoni sordi e acuti che sembravano interminabili. Il 56k ci catapultava in un mondo capitanato da portali e motori di ricerca ora scomparsi, o un mondo senza social network, senza Google, ancora decisamente lento e ricco di gif colorate e scintillanti.
Ci si collegava solo in alcune ore del giorno, la sera o la mattina presto, per evitare che papà piangesse all’arrivo della fattura telefonica.

Poi è arrivato il 2000

Connessione sempre più prestante e stabile, tariffe accessibili a molte più famiglie, strumenti decisamente più silenziosi.
l’ADSL prima, gli smartphone poi e la crescente tecnologia del Wi-Fi hanno messo tutti noi nelle condizioni non solo di essere connessi 24 ore su 24, ma di vivere connessi, integrando internet in numerose azioni quotidiane come pagare, consultare il meteo, leggere il giornale, condividere appuntamenti di lavoro.
Una connessione stabile e accessibile ha segnato la nascita e l’esplosione delle prime chat room e in forma embrionale i primi social network, i blog e sempre più siti vetrina.

Dove c’è folla c’è community

Folle di utenti, sempre più giovani, hanno iniziato a popolare il web e, con i blog prima, con i social dopo, hanno iniziato a fare community. Con le app questo senso di appartenenza si è solidificato grazie alla possibilità di portare il dialogo fino anche al momento prima di chiudere gli occhi la sera, sotto le proprie coperte.
Centinaia di migliaia di utenti iper-connessi, desiderosi inconsciamente di sentirsi parte di qualcosa. Così le aziende hanno colto il segnale e hanno sviluppato luoghi digitali in cui condividere informazioni, contenuti, passioni.
C’è chi si è lasciato attirare dalla gratuità e dall’unanime adorazione per i social network, chi invece si è costruito la propria isola felice. Un blog proprietario in cui coltivare il dialogo con gli utenti senza sottomettersi all’arida e cinica “dittatura algoritmica”.

Chi ha avuto ragione

Dopo oltre 10 anni di dominio dei social network, possiamo permetterci qualche considerazione.
Avere il contatto diretto con i propri fan è un asset indispensabile per le aziende e i professionisti che fanno direct marketing.

I social offrono sì luoghi adatti per produrre dialogo, tuttavia impongono costi pubblicitari considerevoli e non sempre premiano la qualità o gli sforzi programmatici. Sui social l’utente è bombardato da più contenuti provenienti da fonti diverse, che vengono visualizzati non in in funzione della loro qualità, ma della portata che riescono ad acquisire con le campagne pubblicitarie.

Un blog invece è una scatola chiusa, un luogo in cui solo il proprietario decide quali messaggi pubblicitari lasciar passare (propri o altrui) e pianificare la propria strategia di Inbound Marketing.
Un luogo in cui un utente può godersi un contenuto, testuale o video, senza necessariamente essere aggredito da sponsorizzate o contenuti fuorvianti rispetto all’argomento ricercato.

È vero che i social network, su tutti Facebook, abbia negli anni adattato le funzioni dell’algoritmo per premiare i contenuti delle persone a discapito di quelli prodotti e diffusi dalle aziende, nel tentativo di limitare i messaggi pubblicitari e generando l’illusione che la piattaforma fosse user friendly.
Una scelta che tuttavia non impedisce alle aziende di ideare campagne sempre più elusive, fondate sull’invito a condividere, bypassando la sorveglianza dell’algoritmo, o meglio ancora pensate sugli user generated contents (UGC). Coinvolgere gli utenti a produrre e far girare contenuti il cui unico obiettivo è quello di promuovere un brand, direttamente o meno.

È meglio ricorrere ad un blog per nutrire la propria community?

I vantaggi sono palesi.

Nessuno può importi delle regole. Tu decidi quali contenuti produrre, con quale frequenza e per chi.
Decidi tu quali parole chiave indicare ai motori di ricerca perché i tuoi articoli siano organicamente distribuiti nei risultati di ricerca.
Senza contare la longevità dei contenuti stessi.
A differenza di un post sui social, che nella migliore delle ipotesi e con ingenti investimenti può sopravvivere in distribuzione per qualche giorno/settimana, un pezzo ben scritto o un video davvero interessante, possono essere tra i primi risultati di una ricerca su Google anche a distanza di anni. Anzi, questi contenuti beneficiano del tempo proprio come un buon vino lasciato a maturare. Ogni visita, ogni visualizzazione, ogni condivisione del link, ne aumenta e ne solidifica la credibilità per i motori di ricerca.

L’infografica sottostante è stata realizzata da Value4Brand, e sintetizza quanto durano i nostri contenuti sulle diverse piattaforme.
Comprendiamo immediatamente quanto è fondamentale avere un proprio blog, che raccolga tutti i propri contenuti creati e che dia la possibilità di approfondire i diversi temi.

bbadv-infografica-durata-contenuti-sul-web

E i social?

I social non sono brutti né cattivi.
Solo non sono i luoghi ideali in cui coltivare la propria community.
Sono eccezionali strumenti per intercettare gli utenti e mostrare loro contenuti interessanti. L’obiettivo però deve essere quello di spostare la loro esperienza su un sito proprietario, che sia un blog o uno shop.
Il perché è uno solo e lo scriverò in grassetto perché ti rimanga in mente.

La community non è tua se i dati ce li ha qualcun altro.

Proprio così! Se pensi di avere una gran bella community perché hai tanti follower sui tuoi profili, entra nell’ordine di idee che quella community non ti appartiene. Ti è messa a disposizione dal social che la ospita ma tu non ne hai potere. E Ogni volta che vorrai produrre una reazione dovrai affidarti alle logiche del social network. 

Se al contrario, sarai tu a conservare i dati dei tuoi utenti – email, numeri di telefoni o iscrizioni a servizi specifici – e sarai nelle condizioni di raggiungerli in qualsiasi momento anche in forma individuale (ricordi quando ti ho parlato di direct marketing?), allora potrai dire al mondo di avere una community.
Una community tanto più fidelizzata quanto più disposta a “sostenerti”. Perchè un utente che mette i big like ai tuoi post non ti sostiene. Uno che acquista il tuo servizio o si abbona al tuo servizio di news, invece ti sta comunicando fiducia e senso di appartenenza.
Quell’utente va premiato, con la tua costanza e il tuo desiderio di condividere con lui il tuo lavoro, le tue passioni.
Fallo nel luogo giusto, non a casa di altri.

Ciao, sono Nazareno, uno dei BBrothers.
La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.


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WhatsApp Pay esordisce. Il servizio parte in Brasile, con vista all'Europa

Tra addetti ai lavori ce lo siamo chiesti spesso, perché l’arrivo delle funzioni di pagamento di Whatsapp, parte integrante dell’universo Facebook, cambierà ancora le sorti delle campagne social volte ad acquisire lead.

Chissà perchè hanno scelto il Brasile a Menlo Park.
Avranno estratto da un’ampolla di vetro, in stile sorteggi di Champions League?
Non lo so, quel che è certo però e che non ci vorrà molto prima di vedere Whatsapp Pay anche in Italia. Il lancio dell’esperimento è stato annunciato da Mark in persona, come di consueto, dal suo profilo personale.
In realtà l’annuncio dei pagamenti inglobati nel sistema di chat istantanea era già avvenuto lo scorso Gennaio, e la cosa in tutta onestà aveva eccitato gli addetti ai lavori che hanno già integrato le funzioni – eccellenti – di Whatsapp Business alle loro strategie di lead generation.
Perché tanta febbrile eccitazione? Te lo spiego subito.

Come funziona WhatsApp Pay

Whatsapp Pay avrà due modelli di applicazione. Quello tra privati e quello tra acquirente e azienda.

Tra privati

Nel primo caso Whatsapp Pay si collocherà al fianco di due servizi oggi pienamente affermati. Bancomat Pay, la tecnologia adottata dalle banche che consente l’invio di piccole somme conoscendo il numero di telefono del destinatario, e PayPal, il colosso che invece permette lo scambio di denaro attraverso l’indirizzo mail.
Nel caso di scambio di denaro tra privati, non è prevista nessuna commissione sulla transazione, per nessuno degli utenti coinvolti. 

Tutto questo non ti fa sembrare esageratamente arcaico il codice Iban?

B2C

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Sarà un metodo di pagamento fra azienda e acquirente e potrebbe integrare il fine di customer care che spesso Whatsapp Business ricopre sugli eCommerce.
Sulla versione Business dell’app infatti, sono già attive sezioni davvero utili e interessanti, come la descrizione, gli orari di apertura e su tutti il catalogo prodotti, in cui è possibile inserire foto, nome e caratteristiche di ogni servizio o prodotto offerto. Naturalmente la possibilità di pagare in chat migliorerà le performance del catalogo stesso.

Perché i social media ameranno WhatsApp Pay

Perché amano già Whatsapp Business!
È infatti possibile collegare il servizio di chat alla pagina Facebook (che a sua volta va collegata al profilo Instagram) e includere l’opzione di invio messaggi come CTA di una campagna di Facebook Ads.
Per una piccola attività, come un forno, un negozio di abbigliamento, una pizzeria, questo vuol dire promuovere il prodotto sui social e generare immediatamente traffico all’app e dialogo con il banco, il cui unico compito sarà rendere l’assistenza all’acquisto gradevole e puntuale.

Cosa dice WhatsApp

«Rendere semplici i pagamenti può aiutare a portare più aziende nell’economia digitale, aprendo nuove opportunità di crescita. Inoltre, stiamo rendendo l’invio di denaro ai propri cari facile come l’invio di un messaggio. Poiché i pagamenti su WhatsApp sono abilitati da Facebook Pay, in futuro vogliamo rendere possibile alle persone e alle aziende di utilizzare le stesse informazioni di pagamento in tutta la famiglia di applicazioni di Facebook»

Per evitare transazioni non autorizzate Whatsapp ha previsto l’inserimento di un Pin o l’uso dell’impronta digitale o del riconoscimento facciale per gli smartphone di ultima generazione.

Il futuro

Quando nacque Facebook tutti eravamo convinti – incluso Mark – che sarebbe stato il luogo ideale in cui postare foto e tenere vive relazioni a distanza.
Non facciamo lo stesso errore con la nuova vita di Whatsapp. Prima che Facebook Inc. Acquisisse la chat col fumetto verde, la stessa non conosceva nessun altro impiego se non quello di chattare, al pari degli sms degli anni 90, in versione dati.
Oggi Whatsapp si prepara a diventare una piattaforma per fare business, e nel futuro potrebbe diventare uno strumento di pagamento veloce non solo per gli acquisti ma anche per il pagamento di utenze, multe, ticket e chissà cos’altro.

Ciao, sono Nazareno, uno dei BBrothers.
La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.


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Come gestire i social media come un professionista

La vita di un social media manager è una bella schifezza! Le giornate si fanno frenetiche soprattutto se gestisci più account su social media diversi come ad esempio Facebook, Instagram, Linkedin, Tik Tok, Pinterest

Vivi immerso nelle notifiche, tra la creazione di strategie efficaci, l’ideazione di contenuti sempre nuovi e l’indispensabile attività di community management.

È necessario essere sempre sul pezzo e tenere le antenne ben dritte rispetto a cosa avviene nel mondo per cercare di cogliere opportunità e trend topic.
Tutto questo avviene sotto la pressione costante di scadenze, calendari editoriali, campagne da monitorare e ottimizzare per offrire report al cliente con prestazioni ad alta efficienza…e minor spesa.

Un ruolo, tanti professionisti

Se quanto scritto fin qui può sembrare un’esagerazione, ti dico subito che al ruolo di social media management, o SMM,  nelle grandi aziende sono destinate numerose professionalità.

Il social media expert, il social media content manager, il social media advisor, il social media analyst, il social media strategist, il community manager.

A questi si affiancano sempre i professionisti della produzione come l’art director, il copywriter, il fotografo e il videomaker.

Non sono modi diversi di dire la stessa cosa. Ognuno di questi ruoli richiede competenze molto specifiche, che lo diventano ancor di più quando si passa da un social ad un altro, ognuno dei quali segue logiche di user experience e content distribution completamente differenti.

I team dei social media stanno crescendo perché crescono le difficoltà a distribuire efficacemente i contenuti raggiungendo il maggior numero di utenti.  Ciò significa che è necessario un solido know-how per gestire tutte le fasi di sviluppo dei contenuti. Per farti un esempio reale, le grandi aziende hanno team dedicati ai social che arrivano fino a 100 operatori, impegnati nella gestione dei contenuti e nel customer care.

Ma tu sei solo

E se tutte queste competenze fossero richieste ad un solo professionista?
È ciò che accade per le piccole aziende che assumono un solo addetto ai social media e si aspettano che ottenga risultati pur lavorando da solo.

Oppure è il caso dell’imprenditore che in prima persona decide di imparare il funzionamento delle piattaforme perché non può permettersi un collaboratore dedicato. Anche lui ha bisogno di risultati, perché l’obiettivo finale, in fondo, è sempre lo stesso per tutti.

Vendere il prodotto di più e più volte.

Ecco delle indicazioni preziose per chiunque voglia gestire i social media in modo efficace, come un professionista. O tanti professionisti.

Cosa è davvero il social management

Gestire i social vuol dire identificare il pubblico e sviluppare una strategia di contenuti su misura e una strategia di distribuzione efficace.

L’obiettivo di questa attività è lo stesso del marketing in generale, ovvero identificare i bisogni del target per adottare un messaggio che generi conversazione e conversione.

Così gli utenti interagiscono e dialogano col brand per poi acquistarlo. 

L’auspicio è che l’utente possa compiere un percorso così strutturato. Conoscere-Partecipare-Comprare-Risolvere.

Così il social rappresenta il marketing, il commerciale e il customer care. È diventa una risorsa eccezionale.

I social media offrono grandi opportunità di guadagno seppur non nascano per vendere, a condizione che siano gestiti in modo pianificato.

Il potenziale dei social è illimitato. Ogni piattaforma può essere utilizzata per promuovere valori specifici così come per aumentare il traffico ad un e-commerce o ad uno store. O semplicemente per intrattenere e coinvolgere l’audience e rimanere in cima ai loro pensieri.

Più obiettivi vuoi raggiungere, più competenze serviranno, così come risorse.

Da dove iniziare

Se stai per cimentarti sui social per il tuo brand o vuoi rimettere un po’ di ordine il primo passo è fondamentale.

Effettua una ricerca e identifica i social che davvero sono adatti o necessari al tuo brand, in questo modo eviterai di disperdere energie su social in cui il tuo target è difficile da raggiungere o assente.

Un esempio? Se vendi servizi B2B la tua casa ideale è Linkedin, e potrebbe darti risultati migliori di qualsiasi altra piattaforma.

Ecco cosa fare

  1. Definisci il tuo o i tuoi clienti ideali, specificandone l’età e le principali caratteristiche e comportamenti d’acquisto.
  2. Stabilisci che tipo di contenuti sei in grado di sviluppare, se testuali, fotografici o video. Questo potrebbe condizionare molto la scelta dei tuoi canali (Puoi approfondire l’argomento a questo link).
  3. Crea una lista di tutti i social media tenendo conto anche di quelli che conosci meno o non conosci affatto.
  4. Seleziona quelli in cui i tuoi clienti ideali spendono maggiormente il loro tempo.

I social più noti sono anche quelli che migliorano l’indicizzazione dei tuoi contenuti sui motori di ricerca.

Ad esempio Pinterest è considerata una “fonte d’ispirazione” per moltissimi professionisti e non, ed è uno dei siti meglio indicizzati su Google.

Le tue skills ti guideranno, i tuoi clienti ti diranno la risposta

Se hai dimestichezza con il video editing ma non hai budget o competenze per produrre approfondimenti testuali, potresti rinunciare ad un social molto tecnico e impegnato come Linkedin, in favore di uno più smart e video friendly, come Instagram o ancor meglio Tik Tok. A patto che il tuo target li usi.

Poniti queste domande:

  • Quanto posso investire in tempo e risorse per sviluppare contenuti e strategie su ogni piattaforma che scelgo?
  • Il mio target di riferimento è presente sulla piattaforma?
  • Quanto è popolare la piattaforma?
  • I miei competitor sono presenti sulla stessa piattaforma? Sono in grado di posizionarmi come o meglio di loro?

Ti aiuterò a risponderti con questo schema:

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Definire il tuo target è una priorità

Sai già che i social non sono equivalenti. Su Instagram o Tik Tok non solo troverai un pubblico completamente diverso da quello di Linkedin, ma lo troverai con una predisposizione e uno stato d’animo differenti. Lo stesso utente su Facebook e Linkedin quasi sicuramente pubblica contenuti diversi e presta attenzione a elementi differenti fra le due esperienze social.

Uno dei principali vantaggi nell’analizzare i tuoi follower è che otterrai più facilmente conversioni, ovvero trasformare l’utente in cliente che acquista.

Risparmierai parecchio tempo e, cosa importante, parecchi soldi in campagne o contenuti infruttuosi (Leggi quest’articolo per conoscere quali KPI monitorare per misurare il ROI dei tuoi investimenti)

Definire il tuo target è la priorità. Identifica le buyer personas, per ognuna definiscine quante più caratteristiche possibili e attribuisci il social più opportuno o più adatto per il contenuto che vuoi mostrargli.

Per facilitarti il compito inizia creando 2-3 buyer persona in base al prodotto che vendi. Se ad esempio commercializzi scarpe da uomo, potresti dividerli per fasce d’età o per tipo di scarpa: sportiva, casual, appuntamenti formali. A quel punto anche se il tuo cliente è sempre lo stesso, potresti decidere di postare su Instagram principalmente i prodotti rivolti ai più giovani o i modelli più informali, e raggiungere su Linkedin invece quei clienti più interessati a valutare il pregio dei materiali, i modelli più adatti a occasioni di lavoro o la tua organizzazione aziendale e i valori che esprimi.

Impossibile fare qui un’analisi esaustiva e approfondita, spero che questi piccoli spunti siano sufficienti ad avviare i ragionamenti che dovresti perseguire.

Se hai bisogno di ulteriori input, esistono numerosi tools online che ti possono aiutare a definire le buyer personas, alcuni anche gratuiti, addirittura formulando un vero e proprio avatar.

Che strumenti ti servono

I tuoi utenti non sono tutti uguali. Ci sono quelli che hanno appena iniziato a seguirti ma non sono tuoi clienti, ci sono quelli che ti conoscono da tempo e vorrebbero i tuoi prodotti ma non hanno ancora rotto gli indugi. Ci sono i già clienti che apprezzano il tuo prodotto e vogliono sentirsi parte della tua community.

Sei d’accordo con me che non puoi usare una comunicazione univoca per tutti?

Hai bisogno di strumenti per conoscere e segmentare il tuo pubblico e capire con chiarezza a che “grado di consapevolezza” sono arrivati rispetto al tuo brand.

I tuoi strumenti sono gli Insight. Una parola bruttina che a molti non piace e nasconde un macro mondo di dati e numeri. Eppure è fondamentale ed ogni social ti offrirà i suoi dati per misurare le tue azioni, più o meno approfonditamente.

Attraverso il Business Manager di Facebook, ad esempio, potresti scoprire dati che ora neanche immagini dei tuoi utenti. Scopriresti quali altre pagine seguono, da quali territori, che relazioni vivono e che comportamenti d’acquisto li contraddistingue. E ancora l’età, il sesso, il livello di istruzione, i luoghi che frequentano, se viaggiano e quali altri prodotti e brand seguono. Con l’Analisi di Linkedin puoi scoprirne i ruoli, la situazione lavorativa.

Con strumenti come i tag di Google o il pixel di Facebook puoi tracciarne gli spostamenti online e raggiungerli con le tue campagne anche quando navigano altri siti. Acquisisci dati sui social per sfruttarli nelle campagne adv.

Cos’altro ti serve?

Con questi dati potrai raffinare sempre di più le tue campagne e grazie ai tanti asset di targetizzazione che i social offrono quando componi una campagna, potrai raggiungere gli utenti con messaggi personalizzati in base al loro “stadio di consapevolezza” o desiderio di acquisto.

I social sono i migliori amici di un funnel

Un funnel è un modello di marketing che descrive le fasi di avvicinamento di un individuo, sia offline che sul web, da quando conosce il brand a quando ne acquista i prodotti. Paragonato ad un imbuto perchè visivamente rende l’idea degli sforzi che un’attività deve fare per selezionare, in un gran numero di utenti target, quelli giusti a cui vendere il proprio prodotto.

I social sono il luogo ideale per “conversare” con gli utenti e offrirgli contenuti pensati per far sì che questi ultimi manifestino le loro caratteristiche.

Per usare una metafora, immagina di vendere scarpe da uomo. Dovrai usare i social per chiedere a degli sconosciuti di compiere delle azioni fornendoti indirettamente delle informazioni. Saperle leggere spetta solo a te.

  • fra tutti gli utenti attirerai solo gli uomini.
  • Fra gli uomini selezionerai solo quelli che amano scarpe come le tue o che hanno il potere di spesa necessario.
  • Fra questi dovrai individuare quelli che hanno una buona opinione delle tue scarpe e che le preferiscano ad altri marchi.
  • In questi dovrai infondere il desiderio di acquistare le tue scarpe.

Questi finalmente compiranno l’azione per la quale ha investito nelle fasi precedenti. Perché ad ognuna di quelle fasi corrisponde un post, un video, una campagna, un articolo del tuo blog. 

La cosa più importante di tutte e che tu acquisisca correttamente e sistematicamente i dati del tuo cliente, ad esempio la sua mail. Sarà sufficiente per abbattere sensibilmente le tue spese pubblicitarie future per raggiungere lui e altri clienti potenziali con caratteristiche simili alle sue. Potrai fare up selling senza dover necessariamente ricorrere ai social, grazie ad un buon CRM che supporti il tuo mail marketing. O se vorrai ricorrere ancora a campagne ads sui social, potrai investire minor budget ottenendo risultati più precisi.

Non è magia, è digital marketing. E richiede conoscenza degli strumenti, studio quotidiano e aggiornamenti costanti.

La creazione di contenuti

Creare i contenuti per fare attività social è la parte più impegnativa e in tutta onestà anche la più onerosa. Servono maestranze specifiche. Ad esempio il copy se hai bisogno di articoli informativi, il fotografo per immortalare i tuoi prodotti, un grafico per personalizzare i tuoi contenuti, un videomaker se vuoi sfruttare la visibilità dei video. Tutti professionisti che dovranno essere coordinati perchè il tuo calendario editoriale digitale (PED) alla fine risulti ricco di contenuti e coerente con la tua idea.

Qualche consiglio veloce.

  • monitora i trend topic e pubblica qualcosa di affine o pertinente, esistono degli strumenti che possono aiutarti, come Google News.
  • programma contenuti, se in linea con il tuo brand, per le principali festività da calendario o per altre date che rappresentino un valore specifico.

  • controlla sempre i risultati dei tuoi post e identifica quelli che piacciono di più al tuo pubblico. Correggi il tiro per il futuro e produci solo ciò che funziona, non ciò che piace a te. Usa gli Insight
  • Condividi contenuti dal web affini al tuo brand, come link a blog del tuo settore. Condividere post di altri, parlare delle attività di altri, fare cross-posting sono tutte azioni che gli algoritmi premiano nel distribuire i contenuti, e piacciono alle persone.
  • Organizza tutto in rubriche e pubblica secondo uno schema predefinito, abitua i tuoi utenti a contenuti regolari.
  • Programma il tuo lavoro e sfrutta le opzioni di pianificazione che ti offrono i social. Per Instagram e Facebook puoi organizzare i post da Creator Studio o usare tools esterni come Hootsuite o Postpickr che sono più completi.
  • Fai in modo che altri parlino di te. Fai in modo che altri usino i tuoi hashtag o il tuo tag nei loro contenuti per aumentare la tua visibilità su nuove community.

Vuoi risparmiare sulla creazione di contenuti e provare a gestire tutti in autonomia?

Ecco qualche strumento utile:

  1. Archivi materiali multimediali – AllTheFreeStock
  2. Materiale fotografico – Unsplash
  3. Impaginazione e grafica – Canva
  4. Montaggio Video – iMovie,  Lumen5
  5. Correzione testi – contacaratteri.it
  6. Creazione meme – MemeGenerator
  7. Simulatore di serp – SerpSim
  8. Per gestire i contenuti e pianificare i PED – Google Calendar, Creator Studio, Hootsuite, PostPickr, Google Spreadsheet

Molti degli strumenti che ti suggerisco non sono opportuni per un professionista. Una agenzia che ha a cuore i risultati per il proprio cliente non dovrebbe (quasi) mai utilizzare foto da stock che risultano sempre molto impersonali. Allo stesso modo Canva non è lo strumento preferito di un art director, cosi come un programmatore storce più che il naso quando vede un sito sviluppato con Wix. Ma io ti avevo promesso che avresti potuto gestire i tuoi social come un professionista dopo questo articolo, per questo mi sembra opportuno suggerirti strumenti che potrebbero metterti nelle condizioni di fare ciò che serve senza ricorrere ad altri.

Sappi però che certe competenze non possono essere sostituite da un tools o da materiale da stock. Ricorda sempre che i tuoi contenuti parleranno di te, dovranno incarnare la tua personalità. I social sono abitati da persone che non sono in cerca di pubblicità ma di relazioni. Per questo vogliono autenticità, genuinità, spontaneità. Possibilmente tutto attraverso il filtro dell’intrattenimento.

Trova un influencer

Gli influencer, anche i micro influencer, possono davvero accelerare la distribuzione dei tuoi contenuti e farti vendere di più.
Fai in modo che il loro supporto sia occasionale e ben definito. L’obiettivo è che ti supportino, non che le tue sorti dipendano da loro.

Se vuoi approfondire l’influencer marketing e capire se può essere utile nel tuo caso, leggi questo articolo che ho scritto qualche settimana fa.

Ciao, sono Nazareno, uno dei BBrothers.
La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.