Trend social media 2022

Trend social media 2022: tra video, community, metaverso e influencer

Per scoprire quali saranno i trend social media 2022 non possiamo che partire dall’imminente passato. Il 2021 passerà alla memoria di chi si occupa di digital marketing come l’anno dei video, sempre più corti, concentrati, creativi.

Il messaggio, qualunque esso sia, deve arrivare immediatamente, colpire e rimanere nella mente più a lungo possibile. Una sfida che nel 2022 diventerà sempre più concreta, su qualsiasi piattaforma social e sui media tradizionali. Ne parliamo in questo articolo, con alcune previsioni sul futuro del video content marketing e sulle prossime tendenze nel settore dei social media.

Uragano Tik Tok: la crescita continua

Tik Tok è esploso come una supernova, con una potenza inaudita. Il motivo? La possibilità di diventare tutti creator. Sono gli utenti e le utenti del social network a dettare le tendenze e non il contrario; i brand devono stare al passo con un’attenzione e una frequenza di pubblicazione molto più alta di Instagram e Facebook messi insieme.

Con Tik Tok, i quindici minuti di fama di Andy Warhol sono decisamente più accessibili. Il caso di Khaby Lame è eclatante: il contenuto originale la fa da padrone, l’idea vince sulla stessa esecuzione. 

Che ruolo hanno i brand in Tik Tok? Da soli è improbabile che funzionino, non importa quanto siano grandi e conosciuti. La reputazione si costruisce da zero. E lo si fa mettendosi allo stesso livello degli utenti; ancor meglio, dando in mano agli utenti i propri contenuti. 

Un buon esempio è quello di Sainsbury’s, la nota catena di supermercati inglese, che racconta la vita all’interno dei supermercati coinvolgendo direttamente i dipendenti in challenge e trend. 

Il target di riferimento è quello della generazione Z, 25-34 anni. Impossibile, per chi ha questo target come clientela, rimanere fuori da Tik Tok ancora a lungo.

trend 2022 social media influencer

Il ruolo degli influencer

Tik Tok ha segnato anche la nascita di nuovi tipi di influencer, destinati a diventare sempre più determinanti tra i trend social media 2022. L’immagine non è tutto: niente foto patinate, mai prendersi troppo sul serio. Persone con cui diventa davvero facile identificarsi. 

E così, anche gli influencer, che continueranno ad avere un ruolo principale all’interno di una strategia di marketing, daranno sempre una dimensione più autentica di connessione al brand rispetto alla comunicazione tradizionale, fatta di esposizione di prodotti e poco contatto con il pubblico.

Un dettaglio da non sottovalutare è la scelta dell’influencer in base alla dimensione del suo pubblico. Anche in questo caso, bisogna valutare ogni collaborazione in base alla complessità del brand, alla sua dimensione e all’ampiezza del suo target. I micro influencer sono i più indicati per aumentare il tasso di conversione in un pubblico local o di nicchia.

Social selling: la vendita avviene direttamente sui social

Dall’annuncio all’acquisto in pochissimi clic. Il social selling prende sempre più piede, mano a mano che le piattaforme implementano nuove features per rendere disponibile l’acquisto dei prodotti senza abbandonare il social network.

Non basta, però, inserire i prodotti nello shop online per ottenere delle conversioni, ossia delle vendite, come su un e-commerce. Sui social network continua comunque a imperare il concetto di conversazione e comunità. 

Ecco perché i prodotti si vendono solo se inseriti in una strategia editoriale, in contenuti creativi e originali che non sanno di telepromozione costruita a tavolino. Vale la pena sottolineare che il 2022 sarà sempre di più l’anno degli UGC (user generated content), ossia contenuti generati dagli utenti e potenziali clienti. 

trend 2022 social media metaverso

Metaverso, metaverso ovunque

Una parola che piace molto ai fan Marvel, e da quest’anno anche ai fornitori di servizi come social network e realtà virtuale: il metaverso si propone come il futuro della comunicazione sia tra utenti che tra utenti e aziende, dando vita a una commistione definitiva tra digitale e reale.

Nel metaverso, i nostri “avatar” vivono insieme a noi. Anzi, spesso al nostro posto: rimanendo comodamente a casa, possiamo incontrare colleghi di lavoro negli spazi virtuali (vedi Coderblock, start-up palermitana che ha lanciato il suo metaverso già da due anni); possiamo fare shopping, provare i vestiti, cambiare colore, scegliere il make-up; fare un aperitivo tra amici, sempre senza muoversi da casa. E c’è anche chi ha organizzato un matrimonio nel metaverso. Il reale, evidentemente, non basta più, e il metaverso entra di diritto tra i trend social media 2022.

Inclusività senza limiti

Il tema dell’inclusività di genere, razza, abilità, culture ha subito un’accelerazione importante nel 2021, destinata a continuare e a crescere ancora nel 2022. Adeguarsi a un nuovo linguaggio che rispecchi e comprenda ogni personalità è diventato un elemento caratterizzante per le imprese: sempre più persone fanno caso a chi si adegua, e scelgono solo aziende che mostrano un reale interesse verso questi temi. Abbiamo parlato di inclusività nel linguaggio quotidiano in questo articolo, che ti consigliamo di leggere per capire che direzione prendere nella tua comunicazione.

La forza delle community

Ultima parola d’ordine per il 2022: condividere. Non c’è contenuto online che possa avere vita e sopravvivenza senza contare su uno zoccolo duro di follower, intesi come seguaci stretti e non come semplici fan passivi. La community va alimentata costantemente, attraverso un dialogo bidirezionale, domande, coinvolgimento attivo. Vuoi saperne di più su come costruire una community con il tuo brand? Dai un’occhiata a questo articolo, dedicato alle community di Instagram ma applicabile, nei suoi principi, anche alle altre forme di comunicazione online.

simona_ruisi

Ciao, sono Simona e una delle prime parole che ho pronunciato è stata “panna” (penna, ma sono palermitana e tendo ad aprire le vocali).

Ho iniziato a scrivere per raccontare, per informare, per non dimenticare impegni, per appuntare idee e per far divertire.

Così sono finita a fare la copywriter. Con tutto rispetto per tutti, il mio è il lavoro più bello del mondo.


piattaforme ecommerce

Checklist per e-commerce: la piattaforma ecommerce

Uno degli step necessari per realizzare un e-commerce è la scelta della piattaforma ecommerce, ossia il programma che ospita e permette di gestire interamente il negozio online.

Nell’articolo precedente della nostra rubrica sull’e-commerce abbiamo visto quali sono le pagine indispensabili da inserire all’interno del negozio online.

Ciò non sarebbe però possibile se, alla base, non vi fosse una base solida su cui realizzare le pagine del nostro ecommerce. Come per ogni progetto, le fondamenta hanno un ruolo determinante per la sua buona riuscita. 

Nel caso degli e-commerce, le fondamenta corrispondono all’infrastruttura, ossia alla piattaforma che ospita il sito.

Piattaforme ecommerce a confronto: quale scegliere?

Dopo aver definito una strategia e una struttura per l’e-commerce, arriva il momento di selezionare tra le diverse opzioni possibili quale piattaforma e-commerce è la migliore per ogni sito.

Non esiste, infatti, una piattaforma superiore alle altre in assoluto. Ogni infrastruttura è indicata per un certo tipo di vendita, per differenti dimensioni dell’azienda e per importi previsti di fatturato. 

Vediamo insieme quali sono le piattaforme per ecommerce più diffuse a oggi e quali sono i servizi e i vantaggi che offrono.

piattaforma ecommerce

Shopify

Shopify è una piattaforma ecommerce tra le più apprezzate poiché facile da utilizzare e da configurare. Non bisogna avere un proprio sito web, né una particolare conoscenza di base del linguaggio di programmazione. Si tratta, infatti, di un portale dove basta una registrazione per iniziare a costruire il proprio spazio di vendita.

All’interno di Shopify è possibile caricare i prodotti, modificare la grafica e inserire i propri dati di pagamento. Di contro, Shopify trattiene una percentuale su ogni prodotto venduto, oltre a richiedere un pagamento mensile che varia in base alle dimensioni del negozio. 

Può essere un’ottima soluzione per iniziare a vendere, ma alla lunga potrebbe non essere più soddisfacente se l’azienda cresce molto e se si cerca un posizionamento utilizzando il proprio nome.

WooCommerce

WooCommerce è un’estensione di Wordpress che può essere installata direttamente sui siti che utilizzano Wordpress come CMS. L’installazione è gratuita, e la configurazione è relativamente semplice. Proprio per questo è uno dei sistemi più diffusi.

Tra i vantaggi della piattaforma ecommerce WooCommerce vanno annoverate la possibilità di integrarlo con tantissime funzioni esterne, installando plugin aggiuntivi spesso gratuiti, l’integrazione con i principali metodi di pagamento e l’approccio semplificato alla modifica dei temi e delle grafiche.

Per essere utilizzato, è comunque necessario avere un minimo di conoscenza sulle funzionalità dei sistemi CMS, come Wordpress, per l’appunto.

Prestashop 

Prestashop nasce e cresce appositamente per la gestione degli e-commerce di medie e grandi dimensioni. È un sistema CMS open source in cui tutti gli utilizzatori, programmatori per lo più, possono contribuire creando plugin aggiuntivi per completare le funzionalità dei negozi online.

Prestashop conta su una gestione dei prodotti e delle categorie di catalogo valida e completa. Le schede prodotto includono diverse funzioni, come la gestione degli sconti e delle varianti di prodotto, utili per non creare troppe schede simili tra loro. 

La piattaforma ecommerce offre inoltre la possibilità di essere ospitati come hosting e spazio nel loro cloud privato, il Prestashop Cloud.

Un programma come Prestashop offre davvero molto a chi decide di adoperarlo per il proprio negozio online; tuttavia, non è semplice da usare se non si è “del mestiere”, soprattutto per l’ampia varietà di plugin e personalizzazioni disponibili che, se non usati, renderebbero Prestashop un’occasione sprecata.

Magento

Siamo di fronte a uno dei più completi CMS open source disponibili sul mercato delle piattaforme ecommerce. Magento ha una fanbase molto forte tra i programmatori, poiché completo e altamente adattabile a ogni esigenza. 

Non mancano plugin che soddisfano ogni richiesta, come la gestione dei prodotti correlati, la personalizzazione del carrello, la possibilità di eseguire un checkout senza registrazione al sito, la comparazione tra prodotti simili all’interno dello stesso catalogo.

Mentre la versione base è gratuita, la versione a pagamento di Magento dà la possibilità di contattare l’assistenza ufficiale per la risoluzione dei problemi. Tuttavia, questa soluzione non è così spesso necessaria, dato che la community che ruota intorno a Magento è davvero attiva e pronta a dare sempre aiuto.

Come per Prestashop, anche Magento non è esattamente alla portata di tutti. L’installazione e la manutenzione richiedono l’intervento di un programmatore, disposto a seguirti spesso per risolvere ogni tipologia di problema – e sì, per un e-commerce vivo e attivo è un supporto indispensabile.

Qual è la migliore piattaforma ecommerce? 

Abbiamo qui nominato le infrastrutture ecommerce più diffuse, pur non essendo le uniche disponibili sul mercato (Salesforce, Wix, Squarespace sono altre valide opzioni).

Avrai ormai intuito che, a fronte di una scelta così ampia, definire una piattaforma come migliore su tutte non è possibile. Molto dipende da quanto sei disposto a spendere, a quali guadagni miri e alla grandezza del tuo catalogo, nonché alla tua esperienza.

Se vuoi realizzare un e-commerce per vendere i tuoi prodotti online e non sai da dove iniziare, contattaci. Ti aiuteremo a chiarire ogni dubbio e a trovare la piattaforma ecommerce più indicata per soddisfare le tue necessità.

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Ciao, sono Simona e una delle prime parole che ho pronunciato è stata “panna” (penna, ma sono palermitana e tendo ad aprire le vocali).

Ho iniziato a scrivere per raccontare, per informare, per non dimenticare impegni, per appuntare idee e per far divertire.

Così sono finita a fare la copywriter. Con tutto rispetto per tutti, il mio è il lavoro più bello del mondo.


blog

Cosa scrivere su un blog aziendale

La sezione blog del tuo sito è un po’ latitante? Non preoccuparti: sei  in buona compagnia. 

Curare un blog aziendale non è così semplice: si parte sempre con le migliori intenzioni, ma il tempo che richiede la stesura di un articolo finisce spesso per essere dedicato ad altro.

Eppure, la presenza di un blog sul tuo sito è un’opportunità unica non solo per attirare nuovi clienti, ma anche per farti conoscere e per aiutare i tuoi clienti a capire i tuoi prodotti, i tuoi servizi e, in generale, il tuo lavoro.

In questo articolo capiremo come gestire un blog aziendale, quali sono i suoi obiettivi e come pianificare dei contenuti appropriati per consentirti di crescere anche su Google.

blog aziendale

A cosa serve un blog aziendale?

Il blog è un contenitore di contenuti testo, video e immagini che rimangono potenzialmente per sempre all’interno del tuo sito.

La differenza principale con ciò che viene pubblicato sui social network è:

  • la durata: mentre un post Instagram, Tik Tok o Facebook ha una vita di massimo 24 ore, un articolo blog continua a rimanere visualizzabile nel tempo, specialmente se è ben indicizzato;
  • la collocazione: i post che pubblichi sui social network appartengono sempre ai social network. Ricordiamo tutti cosa è successo quando i social di Zuckerberg non sono stati accessibili per ore… il blog, invece, fa parte del tuo sito, quindi è una piattaforma completamente gestibile da te.

Proprio per questi due motivi, il blog ti consente di arrivare a risultati che nessun social network può garantirti. 

Prima di tutto, il posizionamento SEO: facendo parte del tuo sito, ciò che pubblichi sul blog finisce per valorizzare la tua posizione su Google e nei motori di ricerca. Si tratta di quella che viene definita “crescita organica”. Se il blog è ricco di contenuti interessanti, Google continuerà a farti crescere e a far trovare il tuo sito più facilmente a nuovi e potenziali clienti. 

Un altro obiettivo del blog è quello di creare un punto di connessione diretto con i clienti, aiutandoli sia nella fase di prevendita che di post vendita.

In altre parole, il blog può diventare un servizio clienti continuamente attivo per suggerire prodotti o aiutare nella configurazione di ciò che è stato già acquistato. In caso di malfunzionamenti, può offrire delle guide da testare prima di contattare il customer service, e ancora può fornire una lista di rivenditori autorizzati facilmente consultabile.

Quando pianifichi dei contenuti per il blog, tieni conto delle ricerche attive degli utenti su Google relative al tuo settore: se intercetti queste domande e le trasformi in articoli esaustivi e completi, puoi diventare più facilmente un leader e punto di riferimento per i clienti che ancora non ti conoscono e per quelli che hanno già acquistato da te.

Infine, il blog contribuisce ad alimentare la tua brand identity. Attraverso articoli che parlano della tua azienda, dei tuoi valori, della mission e della vision, delle persone che lavorano per te, del metodo di lavoro e dei progetti futuri, puoi conoscerti e farti apprezzare a un livello più profondo. Una chiara brand identity è una forte spinta per portare la persone a fidarsi di te e a sceglierti, passando dall’essere prospect a clienti fedeli. 

Argomenti per blog aziendale

strategia blog

 

Arriviamo al dunque: cosa possiamo scrivere sul blog? Come popolarlo con articoli appropriati e interessanti per crescere? 

Abbiamo suddiviso in cinque macroaree tutti i temi che non dovrebbero mai mancare in un blog aziendale. Puoi partire da queste per strutturare un piano editoriale e per trovare gli argomenti migliori per il tuo blog.

  • Parla dei tuoi prodotti

Descrizioni, tutorial, dietro le quinte e long post approfonditi sui prodotti: la maggior parte delle volte le persone stanno cercando qualcosa che risolva un loro problema, quindi un prodotto o un servizio. Nell’ottica di far emergere quindi i tuoi prodotti, dedica alcuni articoli ai prodotti che vendi.

  • Parla dei tuoi progetti

Cosa bolle in pentola? Quali sono i futuri sviluppi che le persone possono aspettarsi dalla tua azienda? Quali novità potrebbero affacciarsi sul mercato, sul tuo mercato? Tutte queste notizie sono interessanti per mantenere attivo l’interesse del cliente già acquisito verso di te, ma possono stuzzicare anche l’attenzione degli utenti più propensi a seguire e scoprire le innovazioni, i cosiddetti anticipatori del mercato.

  • Parla delle tua azienda

Prima dei prodotti, prima dei progetti, ci sono le persone. Quelle che lavorano per te, che si impegnano ogni giorno per creare quei prodotti e quei servizi che rendono unica la tua offerta e distinguono il tuo business dagli altri. Le storie attraggono (e vendono) più di qualsiasi altra cosa: mettici la faccia, insieme ai tuoi collaboratori, per raccontare la vita in azienda, sia come professionalità che come relazioni all’interno del team. 

  • Parla del contesto

Ogni azienda ha un suo contesto di riferimento. Chi si interessa al tuo prodotto, è potenzialmente interessato a ciò che avviene in quel settore. 

Un classico esempio è il cliente che acquista uno smartphone online: mentre alcuni si limitano solo a leggere le schede tecniche e ad acquistare, molti altri possono interessarsi a ciò che avviene nel settore tech, si aggiornano continuamente sulle nuove uscite e leggono volentieri informazioni di settore. 

Il blog è, per questa finalità, un ottimo contenitore per comunicazioni e news relative ad un ramo specifico.

  • Parla… con i video!

Se pensi che il blog sia utile solo per lunghi contenuti di testo, stai perdendo una grandissima opportunità! Puoi infatti sfruttare le piattaforme del blog per pubblicare i tuoi video, così come faresti su Youtube e su altri canali social. 

I contenuti video sono tra i più fruiti per l’infotainment, ossia per un tipo di informazione che viene presentata sotto forma di intrattenimento. Video, per l’appunto, ma anche clip, video corporate, podcast video e molto altro: sono contenuti che alzano il livello della tua comunicazione, perfetti da integrare su un blog aziendale.

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Ciao, sono Simona e una delle prime parole che ho pronunciato è stata “panna” (penna, ma sono palermitana e tendo ad aprire le vocali).

Ho iniziato a scrivere per raccontare, per informare, per non dimenticare impegni, per appuntare idee e per far divertire.

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checklist ecommerce

Checklist per ecommerce: le pagine del sito

Il pulsante “Pubblica” è proprio lì, attraente, pericoloso, irrimandabile: prima o poi, il tuo nuovo ecommerce deve andare online. Senza paura e senza remore. 

Sarebbe bello fare così, pubblichi e non ci pensi più… ma sappiamo bene che le revisioni non sono mai abbastanza, e che resta sempre un certo timore quando si sta per cliccare sul fatidico pulsante che manderà tutto online. 

La verità è che, se si aspetta di avere tutto perfetto e funzionante nei minimi dettagli, il momento della pubblicazione è destinato ad allontanarsi sempre di più. Quello che puoi fare è assicurarti che tutto l’essenziale sia già pronto per essere visto dai futuri, potenziali clienti che approderanno sul tuo sito. 

Quali sono le cose essenziali? Vogliamo spiegarti il nostro punto di vista in questa nuova rubrica del nostro blog dedicata agli e-commerce, partendo dalla prima cosa che vedono gli utenti quando approdano sul tuo sito: le pagine.

pagine ecommerce

Come creare un e-commerce di successo

L’e-commerce non è solo l’estensione di un negozio fisico già esistente. Tutt’altro: ha bisogno di un suo investimento, di persone che lavorano soltanto alla crescita del negozio online, alla relazione con i clienti e alla cura delle spedizioni. 

Prima di tutto, però, ha bisogno di essere creato, di trasformare il progetto di vendita in una realtà fatta, principalmente, di pagine web. In questo è prezioso l’aiuto del programmatore, che diventerà tuo stretto amico per gran parte del tempo in cui l’e-commerce sarà in corso di realizzazione – ma anche dopo.

Esistono, a oggi, diversi template base, anche gratuiti, che permettono di realizzare un ecommerce gratis e in poco tempo; possono andar bene per chi ha pochi prodotti o non ha grandi pretese sul progetto di vendita online, ma rischiano di diventare inutilizzabili in poco tempo se l’attività si espande al punto da dover utilizzare più pagine o implementare più funzioni, per i motivi più disparati. 

In generale, riassumiamo di seguito tutte le pagine principali che devono necessariamente presenziare all’interno del tuo e-commerce. Questa sarà anche la tua checklist, da usare come elenco base per verificare che tutte le pagine siano già pronte per andare online.

Creare un sito ecommerce: la home page

La home page è senza dubbio la pagina più importante del tuo sito. Il design della home page fa la differenza tra un sito che invoglia a continuare la navigazione e l’acquisto, e un sito da cui invece si è portati subito ad uscire.

Se il bounce rate, ossia la percentuale di persone che escono dalla home subito dopo averla visitata, è alto, potrebbe essere sintomo di una home page che non sta funzionando bene.

La home page, inoltre, è il luogo in cui avviene il primo impatto visivo con il tuo brand, ed è quindi importante che rispecchi la tua immagine online con font, colori e stili coerenti.

Sito e-commerce: le pagine essenziali  

e-commerce Oltre alla home page, l’e-commerce include un’altra serie di pagine indispensabili per garantire agli utenti una conoscenza approfondita e sicura del negozio online. 

Ricorda sempre che chi acquista sul tuo sito sta cedendo i suoi soldi a un’entità che, effettivamente, non vede dal vivo e non conosce di persona. 

Le pagine statiche contribuiscono a creare fiducia e a rassicurare i potenziali clienti sugli acquisti. 

Ecco un elenco delle pagine da prevedere per qualsiasi e-commerce.

Chi siamo (about page)

È la pagina in cui i clienti si informano sull’azienda e sulle persone che stanno dietro i prodotti che vedono sull’ecommerce. L’about page è il luogo in cui raccontare la storia del tuo brand, la tua visione, i tuoi obiettivi e perché fai ciò che fai; è anche il modo migliore per farti conoscere davvero ed è una delle pagine più visitate proprio per questo motivo.

Pagina contatti

Deve contenere numeri di telefono, email e un indirizzo fisico reale, se previsto; si possono includere anche la chat, i contatti su Whatsapp e Messenger e i bottoni dei social network. Qui i punti di contatto con la tua azienda devono essere chiari e visibili, nonché facilmente raggiungibili. 

FAQ

Le Frequently Asked Questions fanno felici sia te che i clienti. Se ben progettate e strutturate, la lista delle domande più frequenti può ridurre considerevolmente le richieste di contatto al servizio clienti, alleggerendo così il carico di lavoro su quel settore della tua azienda. Al contempo, i clienti sono soddisfatti nell’ottenere le risposte che cercano senza ulteriori step.

Termini del servizio

La base legale della tua azienda, per quanto riguarda la vendita online, si trova proprio in questa pagina. Include un elenco completo di cosa è incluso (e non incluso) all’interno dei tuoi servizi, quali sono i termini legali entro cui avviene la vendita e a chi rivolgersi in caso di contenziosi.

Spedizioni, resi e rimborsi

Almeno la metà delle persone che intendono acquistare su un nuovo sito legge questa pagina prima di completare l’acquisto.

Chiarisci bene quali sono i termini per il reso dei prodotti, sia in caso di malfunzionamento non dipeso dal cliente che in caso di ripensamento sull’acquisto. Distingui bene tra diritto di recesso e reso, secondo la normativa di legge, e rispetta tutte le linee guida sulla vendita a distanza. Puoi consultare un avvocato per compilare questa pagina, se lo ritieni opportuno. Meglio mettere nero su bianco tutto ciò che riguarda questi termini, prima di incappare in fastidiose beghe legali!

Privacy

Le persone pongono oggi particolare attenzione alla protezione dei loro dati personali, soprattutto per le continue violazioni sui siti più importanti. La privacy policy e la cookie policy richiedono un impegno particolare, e anche in questo caso ci si può rivolgere a un avvocato per delineare le migliori linee guida.

simona_ruisi

Ciao, sono Simona e una delle prime parole che ho pronunciato è stata “panna” (penna, ma sono palermitana e tendo ad aprire le vocali).

Ho iniziato a scrivere per raccontare, per informare, per non dimenticare impegni, per appuntare idee e per far divertire.

Così sono finita a fare la copywriter. Con tutto rispetto per tutti, il mio è il lavoro più bello del mondo.


comunicazione inclusiva

Comunicazione inclusiva: parlare, senza escludere

Comunicazione inclusiva significa pensare a chi non stiamo pensando nella nostra comunicazione.

Parlare a tutti, nessuno escluso. 

Questo è, in linea di massima, l’obiettivo finale di ogni forma di comunicazione, inclusa quella pubblicitaria. 

Eppure, nello stesso “parlare a tutti, nessuno escluso” è già presente una forma di esclusione, in questo caso dettata dal genere. Il maschile sovraesteso, ampiamente diffuso e radicato nella lingua italiana, crea effettivamente una forma di discriminazione sia nei confronti del genere femminile, sia in chi non si riconosce in alcun genere e si auto-definisce una persona non binaria.

Abbiamo qui fatto solo un piccolo esempio, ma in realtà l’esclusione di interi gruppi sociali dai destinatari di un certo tipo di comunicazione avviene quotidianamente, e purtroppo in maniera automatica.

Il primo passo per non ripetere questo comportamento, quindi, è quello di prenderne coscienza e rendersene conto. Un compito affatto semplice, visto che alcuni paradigmi linguistici ci accompagnano fin dalla nascita; un compito, inoltre, che richiede uno sforzo notevole di impegno per trovare le parole giuste e includere la totalità delle persone destinatarie della nostra comunicazione.

Il Manifesto della comunicazione inclusiva e non ostile

Da dove cominciare per cambiare la nostra comunicazione verso una maggiore inclusività? 

Delle ottime linee guida da cui partire si trovano nel Manifesto della comunicazione inclusiva e non ostile, redatto dall’associazione Parole Ostili. Parole Ostili è un progetto di natura sociale che combatte l’uso violento e discriminatorio delle parole; da questo principio nasce il Manifesto, declinato in dieci punti: 

  • Virtuale è reale. Comunicazione online e offline non hanno differenze in termini di rispetto delle fragilità e delle diversità tra persone; differenza che purtroppo ancora si manifesta abbondantemente fra i commenti dei “leoni da tastiera” sui social network.
  • Si è ciò che si comunica. La propria identità non deve essere nascosta o sottovalutata, in nessun momento. Ogni persona è libera di scegliere se e come definirsi; la diversità è sempre un valore aggiunto, e la propria natura o personalità non devono essere motivo di vergogna.
  • Le parole danno forma al pensiero. Bisogna porre attenzione alle parole che si scelgono per non cadere in cliché, stereotipi, allusioni o pregiudizi, preferendo sempre termini gentili e appropriati.
  • Prima di parlare bisogna ascoltare. L’abbattimento del pregiudizio nasce proprio dal sapere davvero cosa pensa e cosa prova la persona, o il gruppo di persone, con cui abbiamo a che fare. Le diverse opinioni non minano il valore delle proprie opinioni, ma sono funzionali ad aggiungere nuovi punti di vista e ad ampliare la prospettiva su determinati argomenti.
  • Le parole sono un ponte. …e non un muro. Nella scelta delle parole, bisogna porre la giusta attenzione a cercare dei termini che invitino al dialogo, al confronto, e non all’isolamento nelle proprie convinzioni e opinioni. Il linguaggio può creare una comunione d’intenti, sempre nel rispetto delle diversità.
  • Le parole hanno conseguenze. Così come ogni scelta che si compie quotidianamente, dalle piccole alle grandi decisioni, anche le parole possono cambiare il corso degli eventi e muovere le persone verso una direzione precisa. Mai dimenticare che ad ogni azione corrisponde una reazione, e questo vale anche nel linguaggio.
  • Condividere è una responsabilità. Nell’epoca che si contraddistingue per l’ampia informazione, spesso non controllata, tutti e tutte siamo responsabili di ciò che viene diffuso e dato come giusto e vero. Controllare le fonti è quindi un atto responsabile verso chi riceve il nostro messaggio.
  • Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare. Non sempre è facile partire dal presupposto che quello che stiamo dicendo possa essere sbagliato. Eppure, anche quando la pensiamo diversamente dalle persone con cui stiamo parlando, non dobbiamo mai dimenticare che anche la loro opinione conta e ha lo stesso valore della nostra, poiché nasce da una valida esperienza di vita.
  • Gli insulti non sono argomenti. Gli insulti costruiscono muri, non ponti. Gli insulti non aggiungono argomenti validi alle discussioni, non consentono un chiaro scambio di opinioni e giudicano la persona, non le sue idee. Per questo non hanno alcun senso all’interno di un dialogo, e anzi sono dannose per la costruzione di ogni rapporto sociale.
  • Anche il silenzio comunica. Il silenzio può avere una doppia funzione: placare gli animi nelle discussioni accese, consentire un ascolto migliore, dare il tempo di ragionare. Ma può anche tradursi come volontà di ignorare un’opinione, se non le si dà adeguato ascolto.   

Il segreto di una buona comunicazione inclusiva è solo una: pensare.

Pensa, prima di parlare pensa” cantava qualche anno fa Fabrizio Moro, e si potrebbe serenamente aggiungere “anche prima di scrivere, pensa”. 

Soprattutto sui social, patria di ogni voce senza discriminazione, ma anche nella pubblicità, che è il nostro mestiere: chiedersi se quello che stiamo scrivendo può escludere un gruppo di persone, o addirittura offenderle in qualche modo, è il primo passo per allontanarsi da questo tipo di messaggi.

Le alternative all’orizzonte sono diverse, e a volte divisorie, come nel caso degli asterischi o dello schwa per rimuovere il genere maschile/femminile presente nella lingua italiana. Si tratta, comunque, di soluzioni possibili, più o meno gradevoli e accettate, a un problema realmente esistente; ciò che conta, comunque, è che si prenda atto del problema della discriminazione, e che l’attività di comunicazione sia rivista sotto quest’ottica.

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Ciao, sono Simona e una delle prime parole che ho pronunciato è stata “panna” (penna, ma sono palermitana e tendo ad aprire le vocali).

Ho iniziato a scrivere per raccontare, per informare, per non dimenticare impegni, per appuntare idee e per far divertire.

Così sono finita a fare la copywriter. Con tutto rispetto per tutti, il mio è il lavoro più bello del mondo.


unique selling proposition

Unique selling proposition: qual è la tua proposta di valore?

La unique selling proposition è la carta vincente di ogni brand, quello che permette di differenziarsi e di raggiungere un posizionamento unico sul mercato.

In questo articolo abbiamo visto come si definisce una brand identity e l’importanza di rispondere alle domande “cosa vogliamo fare?” e “come vogliamo farlo?” quando si inizia a dar vita a un nuovo brand.

Queste due domande, per quanto importanti, non sono però del tutto sufficienti. Manca ancora un tassello, una tessera del puzzle che aiuta il brand a posizionarsi in maniera inequivocabile: il perché.

Trovare la risposta al “Perché facciamo quello che facciamo?” è ciò che può rendere davvero unico un brand, muovendo in maniera coerente e focalizzata ogni scelta di prodotto, di comunicazione, di marketing. Ed è anche ciò che aiuta a mettere nero su bianco la unique selling proposition.

Unique selling proposition: perché fai quello che fai?

Era il 1952 quando il pubblicitario Rosser Reeves, autore, tra gli altri progetti, anche della campagna politica del presidente Eisenhower, definì in maniera chiara e sintetica il concetto di unique selling proposition.

Letteralmente tradotto come “proposta unica di valore”, la unique selling proposition è quell’elemento o quella caratteristica di un prodotto, servizio o brand che lo rende unico e distinguibile da tutti gli altri competitor.

Può essere intrinseca al prodotto o al servizio stesso, o una qualità collaterale che caratterizza una modalità di consegna o di distribuzione a vantaggio del cliente.

Non tutti i prodotti o i servizi, infatti, hanno necessariamente qualcosa di unico e speciale. A meno che non si inventi qualcosa di completamente nuovo e mai visto prima, è anzi difficile trovare l’elemento distintivo all’interno del prodotto.

Ecco perché trovare la unique selling proposition è un compito arduo e richiede tempo, riflessioni e più di una risposta alla domanda madre di questa ricerca: il fantomatico perché.

Come trovare la tua unique selling proposition

Preparati a una lunga seduta di analisi complessiva del tuo brand, della tua azienda e del tuo target: la definizione della propria USP è un incrocio di tutti i partecipanti del tuo brand, nonché delle tue aspirazioni e delle aspettative concrete di crescita per la tua azienda.

Il target

Partiamo dalla fine, ossia dal target. L’immedesimazione è fondamentale per definire il tuo cliente ideale (buyer persona) e per scoprire cosa vuole veramente dal tuo prodotto, perché dovrebbe preferire te, e in che modo puoi risolvere i suoi problemi.

Non è il prodotto in sé, ma la consapevolezza di poter risolvere i propri problemi che spinge un cliente all’azione dell’acquisto. La tua unique selling proposition non può non tener conto di questo fattore, e deve sicuramente includere un vantaggio molto forte a favore del potenziale acquirente.

Il vantaggio

Ok, il tuo prodotto può aiutare il cliente a risolvere un problema pratico. Perché dovrebbe comunque scegliere il tuo, tra tanti altri prodotti che possono migliorare comunque la sua vita, magari anche ad un prezzo inferiore?

Qui entra in gioco la creatività, il pensiero laterale che ti permette di identificare, o creare ad hoc per il tuo prodotto/servizio, un carattere unico e distinguibile che diventa immediato vantaggio per il cliente.

Amazon ha basato tutta la sua fortuna come e-commerce online su una fortissima unique selling proposition: il cliente è al primo posto, soprattutto nella fase post-vendita.

Grazie a un customer service perennemente attivo e a modalità di reso tutte a vantaggio del cliente, Amazon ha ridotto drasticamente le lunghe attese di assistenza e rimborso.

Il corriere ritira il pacco per il reso direttamente al domicilio del cliente, porta l’etichetta senza che il cliente debba stamparla e il rimborso è emesso immediatamente appena il ritiro è avvenuto.

La soddisfazione del cliente, quindi, rimane anche se non ha potuto tenere con sé il prodotto desiderato e ordinato. Questo tipo di servizio porta a scegliere Amazon anche se il prezzo del prodotto è un po’ più alto rispetto alla concorrenza. È proprio la consapevolezza di essere assistiti in un certo modo che spinge la persone, in molti casi, a propendere per l’acquisto su questa piattaforma.

Trovare la reason why: un esercizio pratico

Perché fai quello che fai?”.

Torniamo alla domanda originaria. Perché vuoi vendere quel prodotto, o quel servizio? Cosa vuoi dare ai tuoi clienti di incomparabile e irrinunciabile, che nessun altro prodotto o servizio può fornire o garantire come te?

Qualsiasi sia la risposta, mettila nero su bianco. Scrivere il tuo perché, la tua reason why, ti aiuta a capire come proporre e posizionare in maniera unica il tuo brand. Farlo solo una volta, però, potrebbe non bastare; la prima risposta è sempre viziata da una certa oggettività, una risposta sincera, ma ancora troppo orientata al cliente e poco alla tua azienda.

Per scavare più a fondo, prova a fare questo esercizio: aggiungi un “perché” alla risposta che hai dato. Otterrai una seconda risposta che inizia già ad avvicinarsi alla tua vera reason why, ma potrebbe non essere ancora sufficiente. Approfondisci con un altro “perché” davanti alla seconda risposta, e così via finché non ne avrai scritte almeno quattro.

Eccola lì. La quinta (a volte basta la quarta) risposta è la tua vera reason why. È il vero motivo per cui ti alzi dal letto ogni giorno e vai a lavoro. Ed è anche la tua vera unique selling proposition, la proposta di valore unica su cui basare tutta la costruzione della tua brand identity.

Dalla unique selling proposition alle campagne pubblicitarie

A questo punto sai perfettamente perché la tua azienda crea un determinato prodotto o servizio per un target di clienti ben definito, del quale conosci aspirazioni, problemi, stile di vita.

È il momento di posizionare il tuo brand sul mercato, a partire proprio dalla proposta di valore che offri ai tuoi clienti. La USP deve sempre essere presente nella tua comunicazione, a partire dal payoff, che contiene in pochissime parole la reason why del tuo brand, e continuando su spot TV, campagne virali, social media, contenuti per il web, packaging e tutto quello che segue.

Il posizionamento avviene in maniera naturale quando ogni forma della tua comunicazione segue la tua USP. Le persone sanno bene cosa fai, come puoi aiutare a risolvere i loro problemi e quale vantaggio hanno scegliendo te e non qualcun altro.

simona_ruisi

Ciao, sono Simona e una delle prime parole che ho pronunciato è stata “panna” (penna, ma sono palermitana e tendo ad aprire le vocali).

Ho iniziato a scrivere per raccontare, per informare, per non dimenticare impegni, per appuntare idee e per far divertire.

Così sono finita a fare la copywriter. Con tutto rispetto per tutti, il mio è il lavoro più bello del mondo.


To brand or not to brand: cosa significa brand identity

Definire la brand identity è uno step essenziale per posizionare, o riposizionare, un brand. Tutta la comunicazione aziendale non può prescindere dalla definizione della personalità di marca.

L’affidabilità e la credibilità sono le due condizioni necessarie perché un brand funzioni. Non è un caso che lo stesso assunto si possa dire delle persone stesse: ci fidiamo solo di chi reputiamo credibile e affidabile.

Ecco perché i brand, oggi, si comportano esattamente come persone reali: hanno una loro voce distinguibile, sposano alcune cause sociali, parlano direttamente ai propri clienti e, talvolta, chiedono persino scusa in caso di errori.

Le aziende non sono più entità astratte e intangibili. Al contrario, si collocano sullo stesso piano dei propri clienti per una conversazione personale e biunivoca, con domande e risposte dirette tra le parti.

Cos’è un brand e cosa lo identifica

Per raggiungere questo risultato, quindi, non basta che l’azienda presenti se stessa e interagisca il minimo possibile con il suo pubblico.

Mantenere la sua immagine è giusto, ma prima ancora deve definire qual è la sua immagine e promuoverla con coerenza in ogni forma di comunicazione che instaura.

In altre parole, l’azienda deve definire il suo brand, ossia “l’entità concettuale che, presidiando il territorio mentale di un individuo, evoca un insieme di valori precostituiti, definendo il posizionamento sul mercato” (Gaetano Grizzanti, “Trasformare un marchio in una marca”, ed. Fausto Lupetti Editore).

Il brand include tutto ciò che fa parte dell’immagine aziendale: logo, colori, simboli, ma anche l’importantissimo tono di voce, che corrisponde al modo in cui si presenta e parla ai suoi clienti.

La definizione di tutti questi elementi costituisce, nel complesso, la brand identity, o identità di marca. Le persone che si approcciano al brand sanno esattamente cosa aspettarsi, sia come proposta visiva che come approccio comportamentale.

Brand, marchio o marca?

Il branding è quell’attività del marketing che si occupa proprio di definire la brand identity, sia che si tratti di un’azienda (corporate identity) che di un brand individuale, identificabile con una singola persona, ad esempio un influencer (personal branding).

Abbiamo parlato sinora di brand, ma non possiamo dimenticare i due termini italiani corrispondenti che spesso vengono sovrapposti e confusi: marchio e marca.

A quale di queste due parole corrisponde esattamente brand? La risposta esatta è marca, perché con marca intendiamo proprio il complesso visivo, la personalità e l’identità verbale di un’azienda; il marchio è invece l’insieme visivo e testuale che la rappresenta, di cui fa parte anche il logo (o logotipo) individuato in fase di branding come elemento di identificazione della marca.

Il prisma della Brand Identity

L’identità di marca è complessa, proprio come quella di una persona in carne e ossa. È facile perdersi tra i vari aspetti da definire, rischiando così di compromettere il senso complessivo che si vuole trasmettere all’esterno.

Ecco perché un buon punto di riferimento da utilizzare come tabella di marcia nel processo di costruzione della brand identity è il prisma della brand identity, teorizzato dal professore di marketing ed esperto della comunicazione Jean-Noel Kapferer.

Il prisma di Kapferer è una mappa che illustra i sei aspetti indispensabili di ogni brand identity:

  • elementi fisici, come il logo, i colori, il font, i simboli e le immagini;
  • personalità, che riguarda il modo in cui il brand si rivolge al pubblico;
  • cultura, concepita come i valori fondamentali che determinano il comportamento del brand;
  • relazione, che consiste nel tipo di rapporto umano rappresentato dal brand (ad esempio la famiglia serena di Mulino Bianco, l’amicizia e il divertimento di Coca-Cola, la tradizionalità dell’olio Cuore);
  • immagine riflessa, ossia come il top target del brand aspira a essere, la persona di riferimento (spesso il testimonial) con le migliori caratteristiche possibili con cui identificarsi;
  • rappresentazione di sé, che riguarda il modo in cui il consumatore si sente nell’utilizzare i prodotti di un brand. Ne sono un classico esempio i clienti Apple, che sentono di appartenere a una speciale comunità perché usano i prodotti del brand di Steve Jobs.

Brand personality: il carattere di un’azienda

Ciò che precede la struttura visiva e l’identità verbale di un’azienda è la definizione dei suoi valori, della sua mission e della sua vision, nonché della sua unique selling proposition.

In altre parole, il primo step da affrontare per definire il “chi siamo” è “cosa vogliamo fare e come vogliamo farlo?”.

Solo così si può arrivare a strutturare in maniera efficace una brand personality, quella personalità di marca che contraddistingue i diversi brand inseriti all’interno di uno stesso mercato.

Saremo una voce istituzionale e autorevole, un compagno di giochi ironico e allegro, una voce pungente e un po’ sarcastica, un’amica accogliente e premurosa?

Tutti questi elementi vanno definiti ancor prima di avere un logo, perché, per fare proprio un esempio relativo alla brand image, gli stessi colori, le forme e il carattere tipografico del marchio devono esprimere la sua personalità e le sue caratteristiche salienti.

Ancor più significativa è la definizione della brand personality se si pensa a quanto influenzi e incida sui contenuti della comunicazione. Per le campagne pubblicitarie, ma anche per la comunicazione istituzionale, per il rapporto diretto con il cliente nel customer service, nella progettazione del sito web in ogni sua parte, incluso l’ux design.

Per definire la brand personality esistono diverse tecniche, tutte valide. Tra le più diffuse troviamo l’applicazione degli archetipi di personalità di Jung, psichiatra e psicanalista svizzero che utilizzò per primo il concetto di archetipi per individuare dodici modelli di personalità ripetibili.

Gli archetipi di Jung non nascono quindi per progettare la brand identity; sono stati “adottati” per questo scopo da Al Ries e Jack Trout nel loro “The Hero and The Outlaw” nel 2002.

Posizionamento del brand

Nella definizione di brand, all’inizio di questo articolo, abbiamo definito il brand come l’insieme di elementi che rendono distinguibile un’azienda per le sue caratteristiche intrinseche e per il modo in cui si presenta.

A cosa serve, però, concretamente? Perché è così importante definire esattamente “chi siamo” e “come siamo”, e declinarlo in tutta la nostra comunicazione?

Per rispondere, immagina un mondo in cui le aziende che realizzano un determinato prodotto sono tutte uguali. Tutte hanno lo stesso prodotto, lo propongono allo stesso modo, non sono distinguibili una dall’altra.

La diretta conseguenza di questo mondo utopico è che le persone sceglierebbero cosa comprare in maniera del tutto casuale, basandosi al massimo su logiche di prezzo e disponibilità, senza altri tipi di preferenza.

Ebbene, la brand identity è quello che rende unico e riconoscibile un brand, che spinge le persone ad acquistare un prodotto rispetto ad un altro perché il logo apposto sulla sua confezione rievoca un universo di valori e di comportamento in cui si riconosce.

Riassumendo, la brand identity definisce il posizionamento della marca. Non solo posizionamento sul mercato, ma soprattutto nella mente delle persone, dei potenziali clienti e dei clienti già affezionati.

Ecco perché non si può prescindere dalla brand identity e dal creare una personalità di marca che faccia scegliere il tuo prodotto “perché lo fai tu”, e non per altri motivi.

Un punto di partenza che apre un universo infinito di possibilità di crescita per la tua azienda.

simona_ruisi

Ciao, sono Simona e una delle prime parole che ho pronunciato è stata “panna” (penna, ma sono palermitana e tendo ad aprire le vocali).

Ho iniziato a scrivere per raccontare, per informare, per non dimenticare impegni, per appuntare idee e per far divertire.

Così sono finita a fare la copywriter. Con tutto rispetto per tutti, il mio è il lavoro più bello del mondo.


Social Media Marketing KPI

Social Media Marketing, cosa devono misurare le aziende per capire se funziona

l marketing digitale è forse la versione del marketing più misurabile nella storia del marketing e in questo scenario il social media marketing regna sovrano. 

Per misurare l’efficacia del social media marketing esistono metriche ben precise ma attenzione! 

È importante capire COSA si desidera ottenere dall’attività corporate all’interno di ogni social media. Ogni piattaforma infatti può essere utile per raggiungere uno specifico risultato che quindi dovrà essere misurato su parametri – che noi tecnici sapientoni chiamiamo kpi –  ben identificati.

Alcuni brand utilizzano ad esempio Instagram per la vendita diretta, altre invece preferiscono sfruttarne la potenza visual per fare awareness e accrescere la community, sviluppando la vendita su altre piattaforme o nel proprio e-commerce. Non esiste il modo giusto, esistono analisi e monitoraggio per prendere decisioni produttive. 

Marketing misurabile VS Marketing della speranza

Esiste una grossa fetta di attività afferenti al marketing che rientrano in quello che possiamo poeticamente definire “marketing della speranza”. In altre parole, strategie di pubbliche relazioni e media che fanno affidamento sul fatto che ad un’azione (di marketing) debba corrispondere una reazione (vendita) ma senza poterne monitorare i volumi o il legame diretto. 

Oggi però, grazie al social media marketing, agli insights dei media, ai report degli influencer, è possibile misurare le performance di public relation digitali. Misurazione impossibile nella promozione offline, a meno di non ricorrere a sistemi tracciabili di referral – un po’ quello che accade online con i codici sconto  degli influencer o l’affiliate marketing.

Social media listening e monitoring

Oggi i brand possono intercettare ogni menzione ad opera di utenti o influencer, ogni link digitato su altri siti, la quantità di ricerche dirette o affini sui motori di ricerca. 

Rimanere in ascolto e sfruttare gli strumenti per monitorare keywords e menzioni, oltre ai report pubblicitari di post e campagne, permette di misurare correttamente la forza del marketing e la diffusione del messaggio, rapportandolo al dato più importante in assoluto. La spesa pubblicitaria. 

Anche e soprattutto per questo motivo, noi di BBADV associamo sempre alla nostra attività di social media management per i clienti, la gestione diretta delle interazioni (community management) per aumentare il dialogo con gli utenti e, laddove possibile, l’attività di social media listening e l’analisi delle performance di vendita online.

In assenza di un supporto professionale per i tuoi canali web, cosa puoi fare per tenere sotto controllo i dati generati dalla tua attività di social media marketing? 

Ecco i punti più importanti che puoi implementare a partire da…adesso!

Pianifica

Scegli i parametri da monitorare (KPI)

Non puoi misurare qualcosa che non hai pianificato. Stabilisci il parametro da monitorare (ad esempio l’aumento dei follower, o l’aumento della copertura, o la crescita di visite al sito o un numero maggiore di ordini nella tua app) e concentra la strategia dei contenuti per ottenere quel risultato. 

Scegli l’obiettivo che vuoi raggiungere

Ogni KPI porta con sé un obiettivo specifico. Ad esempio monitorare la crescita dei follower presuppone che l’obiettivo sia accrescere la community e aumentare la reputazione del brand. Questo non è detto che si traduca automaticamente in aumento delle vendite, ma potrebbe essere un piacevole effetto collaterale. 

Se vuoi perseguire più obiettivi, dovrai svilupparli singolarmente in termini di contenuti (rubriche, topic, campagne d’attivazione) e investire in modo consistente per ognuno, con campagne specifiche.

Assicurati di stabilire obiettivi raggiungibili, che miracoli sui social se ne vedono raramente. 

Definisci il timing

Infine stabilisci tempi ragionevoli per lo sviluppo delle strategie e il raggiungimento degli obiettivi. Non raddoppierai i tuoi fan in una notte, né farai decollare lo shop semplicemente disseminando budget a tre zeri in una settimana.

Ricorda che i social come Facebook ti permettono di impostare l’obiettivo della campagna come visite al sito,  notorietà o download di app. Molte di queste però hanno bisogno di giorni o settimane per performare al meglio, superando la fase di apprendimento.
Gli annunci Google ad esempio, a volte richiedono intere settimane per essere affinate al punto di performare come desiderato. 

Ci vogliono mesi per raggiungere risultati significativi.

Affina

Calendarizza il monitoraggio delle performance

Una campagna non può essere semplicemente lanciata per poi aspettare un risultato. 

Ogni giorno, soprattutto nei primi giorni, bisogna monitorare le performance, capire cosa sta funzionando e cosa disperde il tuo budget. Su Google ad esempio, spesso si sprecano soldi per query di ricerca simili a quelle inserite ma fuorvianti. 

Ad esempio immagina di vendere un corso di yoga e di intercettare utenti che cercano “corso di yoga gratis”. Quel gratis finale, fa tutta la differenza tra un contatto di qualità e uno spreco di soldi. La logica del pay-per-click non ammette sbavature. Per questo bisogna monitorare, escludere, pulire, aggiungere, rivedere. Continuamente. 

Verifica i risultati

Ci sono strumenti, come i tag di Google o il pixel di Facebook, che ti permettono di verificare se una campagna sta generando sul tuo sito i comportamenti che auspicavi da parte degli utenti. Grazie agli stessi potrai anche fare retargeting rimanendo presente nel feed di utenti già “adescati” precedentemente.  Accertati che i risultati siano pertinenti e che il tuo pubblico sia sempre più profilato e non si sporchi con utenti generalizzati.  Un pubblico bene in target ti farà risparmiare soldi. Sempre perchè la logica del pay-per-click è spietata. 

Fatti catalizzare

I social hanno generato gli influencer. Gli influencer influenzano i consumi degli utenti e il modo in cui acquistano. Fai in modo che qualcuno influenzi il tuo pubblico.
Non ti servono costosi vip. A volte piccoli influencer locali, personaggi noti della tv locale, giovani che vantano un seguito molto nutrito possono essere risorse enormi per te e il tuo prodotto. Questo potrebbe comportare grandi risultati a costi contenuti. Molti micro influencer, soprattutto quelli che non hanno ancora superato i 10k follower, sono propensi a supportarti in cambio di qualche prodotto tester o di qualche omaggio. 

L’importante è stabilire fin dall’inizio il valore reciproco dei contenuti.

Misura

Fai report della tua attività di social media marketing

Perchè dovresti spendere tempo a rimettere in ordine i dati? Perchè a distanza di mesi ti basterà un’occhiata ai numeri per capire se stai crescendo o meno. 

È la fase più fastidiosa e noiosa, ma è anche la più importante per avviare le successive fasi di pubblicità e decidere come e per cosa spendere i tuoi soldi. 

Metti insieme le metriche principali e crea un quadro d’insieme delle performance. Potresti scoprire che un canale performa più di un altro, o ad un costo migliore, o in tempi più rapidi. 

Fai in modo di calendarizzare misurazioni periodiche. All’inizio, per evitare spreco di tempo e denaro, potresti monitorare le performance generali ogni mese, poi aumentare la finestra temporale e fare un controllo ogni 2-3 mesi. 

Alcune attività, come challenge o contest indetti dagli influencer, possono uscire da questa logica ed essere misurati in modo estemporaneo, vista la loro natura effimera.

Si può fare Social Media Marketing senza un'agenzia specializzata?

La risposta è si. 

Se sei in grado di riparare il tubo del lavandino non devi per forza chiamare un idraulico. Se sai selezionare e formare il personale specializzato per la tua azienda non hai bisogno di un’agenzia esterna per farlo. 

Vale anche per il marketing o per la gestione produttiva dei tuoi social. Se hai competenze digitali sufficienti per produrre i contenuti, settare le campagne e monitorare i risultati puoi rinunciare al supporto di un’agenzia. Diversamente puoi beneficiare del lavoro di un’intera squadra e delle competenze di più persone per sfruttare al massimo i tuoi profili social. 

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Ciao, sono Nazareno, uno dei BBrothers.

La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.


Social Media Trend 2021

Devi pianificare i contenuti del nuovo anno? Ecco i trend del 2021 per rendere i tuoi post perfetti.

Il 2020 è stato un anno pazzesco! Non eravamo preparati all’imprevisto e ci siamo continuamente reinventati. Le pianificazioni sono mutate con la stessa velocità con cui si cambiano le facce ad un cubo di Rubik per ritrovare la giusta combinazione. 

Quali saranno i trend del 2021? Possiamo azzardare una programmazione ad ampio spettro oppure dobbiamo continuare ad essere prudenti per gestire al meglio l’imprevisto e cambiare repentinamente le carte in tavola? 

I Trend del 2021 secondo gli esperti.

Ecco un prospetto dei trend che ci offre questo nuovo anno:

  1. Contenuti per un pubblico socialmente consapevole
  2. Il remix è il nuovo UGC (User Generated Content)
  3. Le 4 C del contenuto aI tempi del COVID-19
  4. Social gaming
  5. Marketing old school per un nuovo mercato
  6. I meme
  7. I giganti dei social media si adattano alla nuova normalità
  8. L’ascesa della disinformazione digitale
  9. Ancora più conversazione \ne

Contenuti per un pubblico socialmente consapevole.

Al primo posto non potevamo non mettere la nuova consapevolezza che ci ha lasciato il 2020: siamo diventati una generazione socialmente consapevole. Questo ha un enorme impatto sui brand, sulla politica e sulla società nel suo complesso. Le tematiche calde sulle quali il pubblico si espone sono tante e sempre più impegnate, dalla tutela dell’ambiente all’inclusività, la sostenibilità, il politically correct, i vaccini… 

I social non ricoprono più un ruolo passivo, ma diventano uno spazio attivo, dove organizzare proteste e dar vita a movimenti che nascono nel mondo virtuale e crescono in quello reale. Solo per fare un esempio, si pensi al movimento #BlackLivesMatter che ha visto migliaia di manifestanti organizzarsi sui social e scendere in piazza per protestare contro il razzismo e la brutalità della polizia. C’è da scommettere che il 2021 ci riserverà ancora nuove manifestazioni e slogan che uniscano più community sotto la stessa bandiera, magari da portare poi in strada…

Il remix è il nuovo contenuto generato dagli utenti.

Il contenuto generato dagli utenti o user generated content è presente da un bel po’ sulla scena. La novità sta nel modo in cui viene creato, trovato e condiviso. 

Il remix è l’arte di prendere dei format, dei template o spunti vari e combinarli per esprimere al meglio la personalità dell’utente. Grazie ad applicazione come Tik tok, Koji e Instagram Reels, il remix continuerà ad essere il protagonista anche di quest’anno.  Anche perché un Ugc è un contenuto potentissimo per qualsiasi azienda e praticamente a costo zero. Chi non ne vorrebbe a palate?

Le 4C del contenuto ai tempi del Covid-19

Nemmeno con tutta la fantasia di Ridley Scott e Steven Spielberg avremmo potuto prevedere una pandemia e degli effetti prolungati così devastanti. Il distanziamento sociale e i ripetuti lockdown hanno modificato la nostra vita e la comunicazione digitale ha dovuto adottare delle strategie per far fronte a questa nuova realtà. 

Il tono della conversazione nel 2021 sarà determinato dal “Coronavirus Content”, che si focalizza in queste quattro C: 

  • Community – comunità 
  • Contactless – assenza di contatto
  • Cleanliness – igiene
  • Compassion – compassione

Social Gaming.

Durante il confinamento domestico dovuto alle restrizioni, gli utenti hanno riscoperto i videogiochi. Il pubblico di forum e gruppi sui videogiochi è cresciuto insieme al numero e al volume delle comunità unite sotto la stessa passione

I brand possono fare leva su queste comunità, utilizzare i videogame come strumento ma al tempo stesso trarne ispirazione per pensare anche a nuovi modi per interagire, perché sarà la realtà aumentata la protagonista del futuro.

Marketing old school per un nuovo mercato.

Ci sono trend che non passano mai di moda.  Molti esperti sono convinti che alcune tendenze del marketing old-school torneranno in voga, magari applicate a nuove idee o declinate in forme più affascinanti. 

Ad esempio è stato riscoperto il podcast come vettore di contenuti, in grado di riscuotere successo in diversi campi. Persino i medici hanno aperto rubriche social utilizzando i podcast. Sarà la praticità a decretarne il successo? È sicuro che, grazie alla tecnologia e al dominio di smartphone e auricolari bluetooth,  oggi ascoltare un podcast non è più un’attività complessa come un tempo, in cui le audiocassetta necessitavano di una tecnologia e di un momento dedicati.

I Meme.

Ieri le emoji, oggi i meme. Divertenti, d’impatto e altamente comunicativi. 

Come per ogni tipo di comunicazione, possono essere usati per influenzare la mentalità del pubblico. I meme possono contribuire a contrastare situazioni estreme, perché sfruttano al massimo le potenzialità del visual.  

Questa spropositata fortuna ci deve far riflettere sull’ importanza di mettere il pubblico in condizione di poter diventare creatori di contenuto a fianco dei brand.  Quale miglior contenuto può coinvolgere gli utenti quanto quello creato proprio da loro? 

I giganti dei social media si adattano alla nuova normalità.

Facebook, Instagram e Twitter continueranno a calcare la scena social. Vista la loro duttilità, però, si adatteranno più velocemente ai cambiamenti in atto, introducendo modifiche e nuove funzionalità. Pertanto, bisogna mettere in conto che l’imprevisto e il cambiamento sono sempre dietro l’angolo. Bisogna accettare il fatto che questi social, come li utilizziamo oggi, cambieranno continuamente fino a trasformarsi completamente, attraverso passaggi graduali ma significativi.  

L’ascesa della disinformazione digitale.

La crisi dovuta al COVID-19 ha portato in primo piano il tema della disinformazione. La società si trova ad affrontare un futuro incerto e questa incertezza ha creato un focolaio di disinformazione, con storie false la cui risonanza può avere un impatto rilevante. Il 2021 sarà l’anno in cui i brand e i canali dei social media si concentreranno nell‘evidenziare la verità e sul mettere a tacere le fake news. Le società dietro i colossi digitali sono già al lavoro e stanno investendo ingenti risorse nella caccia ai contenuti pericolosi. 

Ancora più conversazione.

Costruire relazioni con gli utenti è la nuova chiave del successo di un brand. Le relazioni generano vendite. Ma per arrivare ad instaurare un legame è necessario iniziare a conversare con i clienti. Il marketing non è più a senso unico, ma a doppio senso.  

La pandemia ha portato nuove priorità. Il pubblico vuole essere coinvolto, ha bisogno di sentirsi coinvolto e partecipe. Il 2021 continua ciò che ha iniziato il 2020, ovvero portare in scena storie di vita comune ed emozioni.  

Riccardo Scandellari riporta la necessità di stabilire una comunicazione il più diretta possibile con il proprio pubblico. Cristiano Carriero afferma che la comunicazione è l’essenza del brand e non un semplice fattore di persuasione. 

Cosa ci portiamo dunque dal 2020? 

Il valore della semplicità, della comunità e dell’empatia.

È stato l’anno delle videochiamate di gruppo, della Dad, delle lauree davanti ad uno schermo, dei compleanni virtuali…

Tutto ciò si traduce nella necessità di una comunicazione più empatica e umana da parte dei brand, che devono imparare a sfruttare nuovi touchpoint per parlare ai propri consumatori. Un po’ come IKEA, che usa spesso le dirette Instagram per consolidare il rapporto tra i propri clienti e i dipendenti, o come ha fatto a febbraio 2020 Gucci che ha trasformato gli iconici inviti per la fashion week in note audio su WhatsApp.

Il 2021 sarà l’anno delle sfide e delle programmazioni “malleabili”.

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Antonella Leone

Ciao sono Antonella, e sono un’ eclettica sognatrice.

Alcuni mi definiscono un’eterna indecisa, io invece amo dipingermi come un’anima multipotenziale.
Scrivo da quando ho imparato a mettere insieme le parole. La scrittura mi ha fatto scoprire mondi paralleli dove mi perdo ogniqualvolta ho bisogno di dare pennellate di colore alla mia vita. Sono entrata per caso nel mondo digital e da allora non ne sono più uscita. Il mio motto? Non smettere mai di imparare.