Paternità di un’opera. È giusto firmare i propri lavori?
PATERNITÀ DI UN'OPERA. È GIUSTO FIRMARE I PROPRI LAVORI?
Siamo innegabilmente in un momento storico in cui la digitalizzazione ha dato l’impressione che tutto sia di tutti, che l’informazione non abbia padrone (se mai ne abbia avuto uno) e che chiunque possa utilizzare qualsiasi cosa per i propri scopi.
SPOILER: ARTICOLO AD ALTO CONTENUTO DI OPINIONI PERSONALI.
È il lato oscuro dei motori di ricerca.
Digiti qualche parola.
Ottieni siti, articoli di blog, interviste, citazioni, fotografie e video.
Gran parte dei materiali depositati sul web, quindi sui numerosi social network e sui siti delle aziende, sono copie di copie che vengono di volta in volta acquisite - sempre grazie ai motori di ricerca - e riutilizzate.
Un plauso invece alle aziende che si autoproducono con grafici, copywriter e sviluppatori interni, o che si affidano a società di marketing per farlo.
Sono aziende che hanno ben chiaro il valore del marketing e della strategia prima della vendita del prodotto.
Come si fa dunque a stabilire la paternità di un contenuto in una giungla di informazioni quale è il web?
Perché una società di marketing dovrebbe (o non dovrebbe) firmare un contenuto prodotto per i clienti? E quando può essere ritenuto lecito farlo?
FIRMARE O NON FIRMARE?
Partiamo dalla considerazione che il web non offre risposte chiare.
Al di là dei diritti d’autore e del copyright, argomenti spinosi che avrò cura di non aprire, non esiste un riferimento chiaro e univoco riguardo alla legittimità da parte di una società nel firmare un progetto grafico, una locandina, uno spot video.
Siamo nell’ambito dell’uso comune.
Si fa riferimento a chi e quanti prima lo abbiano fatto e in che modo.
Rimaniamo nel territorio dell’autodeterminazione, di una scelta personale che ogni società è libera di fare, in funzione dei risultati che vuole ottenere.
E le scelte - tutte le scelte - sono opinabili in quanto tali e mai una potrà mettere d’accordo tutti.
É un argomento apparentemente semplice che in realtà costringe ad una riflessione su due livelli. Quello estetico e quello etico.
CREDIBILITÀ
Il lavoro di marketing non è per tutti.
Il tempo dei consumatori “creduloni” che attribuivano ad un brand ogni azione del brand, ogni produzione e ogni risultato - diciamocelo - è quasi finito.
L’enorme grado di consapevolezza dei millennials rispetto ai concetti di reputation o di pubblicità, fa sì che sia ormai consolidata nei consumatori la consapevolezza che un brand è costruito da azioni simultanee.
Diamo a Cesare quel che è di Cesare, diamo la produzione agli operai, i conti all’amministrazione, i piatti agli chefs, il social ai social media manager.
Dunque - ricordi quanto ti ho detto che avresti trovato molto delle mie personali opinioni? - sono quasi certo che qualsiasi consumatore minimamente dotto rispetto alle dinamiche digitali, sia consapevole che i testi di un sito internet ben fatto, o i post di un profilo social aziendale, non siano curati direttamente dall’imprenditore, ma da qualcuno che lo rappresenta più o meno fedelmente.
Può un bravo imprenditore della ristorazione essere anche un esperto graphic designer o SEO specialist?
Quantomeno improbabile…
E perché mai il fatto che un imprenditore intelligente che abbia saputo delegare queste funzioni ad un addetto esperto, dovrebbe infastidire i suoi clienti, anche i più affezionati?
Dunque un’opera firmata, che sia un contenuto social, un sito o una semplice locandina, a mio avviso non toglie nulla né al prodotto né all’organizzazione oggetti della comunicazione.
E se da cliente scrivi ad una pagina convinto di parlare all’imprenditore, ti suggerisco di scrivergli un più amichevole messaggino o di cercarti il suo profilo personale.
ETICA CUM GRANO SALIS
Fatto pace con il pensiero che il marketing sta ai marketers e che non vi è nulla di male, anche se dovesse essere noto pure ai consumatori, rimane la quaestio scomoda riguardo alla legittimità di un’agenzia di firmare un’opera su commissione.
Mi verrebbe banalmente da dire che tutto il mercato si basa sulla pubblicità e che, in assenza di diversi accordi contrattuali, nulla vieta a qualsiasi agenzia di indicare la paternità di un opera anche per ovvi e mai celati fini pubblicitari.
D’altra parte ad apprezzare una campagna pubblicitaria o una strategia non sono solo i consumatori che la subiscono, ma spesso maggiormente gli addetti ai lavori e altri imprenditori.
Per non parlare del piacere di qualsiasi artista nel vedere realizzata, esposta ed apprezzata una sua creazione.
Lo strumento più efficace per una società di marketing per farsi notare è, appunto, firmare un’opera ben fatta.

Questo chiaramente non legittima il professionista ad apporre il proprio nome a caratteri cubitali, o dimenticare la “gerarchia” tra le dimensioni di una firma e il messaggio che deve passare attraverso l’opera stessa.
Per cui - eccoci, siamo di nuovo ad una mia personale opinione - una firma non può far male a nessuno ammesso che in alcuna misura penalizzi l’efficacia del contenuto o del messaggio.
FIRMIAMO TUTTO ?
Sono assolutamente a favore del firmare un’opera, fatte le dovute eccezioni.
Un brand internazionale potrebbe al contrario subire un danno se si palesasse troppo apertamente che le proprie strategie di marketing sono affidate ad altri.
Si presuppone infatti che le multinazionali abbiano fior fior di professionisti al loro servizio e che siano ben consci non solo dei valori che rappresentano, ma anche di quali siano i mezzi migliori per comunicarli.
Ecco dunque il caso in cui apprezzo che un progetto rimanga “anonimo”.
Va da sè che nella fattispecie i costi che il cliente dovrà sostenere saranno superiori proprio in virtù di una cessione praticamente totale di ogni diritto o attribuzione di paternità di quell’opera.
Il secondo caso in cui non ritengo necessario che un professionista firmi una realizzazione è per quelli che definisco “contenuti leggeri”, ovvero testi e grafiche di breve e semplice applicazione, ad esempio quei post per social network finalizzati all’acchiappa reach, o contenuti emozionali che meritano di poter vivere la loro breve ma intensa vita in pace e nell’anonimato.
E se non sai cosa sia un’acchiappa reach, allora è il caso che deleghi il tuo digital marketing ad altri.
L’efficacia di un contenuto nel diventare più o meno virale/diffuso è data anche dalla sua presunta istantaneità creativa.
Un post in cui sia palese un ragionamento profondo o una strategia, rischia di essere inconsciamente penalizzato dal pubblico stesso.
A OGNUNO IL SUO
Può infastidire un consumatore sapere che la comunicazione online del suo brand del cuore non è gestito dal brand del cuore ma da un addetto specializzato.
Si se… qualcuno sperasse di parlare con Carlo Cracco commentando i post di Carlo Cracco, o di discutere di politica con Salvini commentando i suoi post.
O Ancora di parlare con una Girella interagendo con i post della nota merendina.
No se… riesci ad apprezzare che un bravo ristoratore sia conscio che una comunicazione professionale non è il suo mestiere, o che una nota marca di birre affidi ad un social media manager il compito di trollare i fans della pagina felici di lasciarsi trollare, consapevoli tuttavia che non è stata né la birra né tantomeno il signor birraiolo.

Nazareno Brancatello
Sono uno dei BBrothers.
La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.