Le 4 P del Marketing

Le 4 P del Marketing: ieri e oggi, tra cambiamenti e adattamenti.

“Metti il prodotto giusto, nel posto giusto, al prezzo giusto, nel momento giusto”.

Non ci crederai, ma in questa frase sono sintetizzati i capisaldi del marketing mix del secolo scorso. 

Product, Place, Price, Promotion sono 4 P teorizzate da Jerome McCarthy e rese celebri dal guru del marketing Philip Kotler.

Nell’ultimo secolo il mercato ha subito diversi cambiamenti. Le 4 P non sono morte, come alcuni sostengono, ma si sono adeguate alle trasformazioni, entrando in relazione con altri parametri. 

Per strutturare una strategia di marketing in questo nuovo poliedrico contesto, Kotler ha adeguato le famose 4 P a nuovi possibili orizzonti teorici, che includono nuovi concetti tra cui le 4C. 

Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma”, diceva Lavoiser. Prendiamo in prestito il postulato per comprendere a pieno ciò che lega le P di ieri a quelle di oggi.

Cosa sono le 4P del Marketing

Le 4 P descrivono e sintetizzano quelle che sono le quattro leve fondamentali del marketing, che appunto iniziano tutte con la lettera P.

Le 4 P sono ancora valide nelle strategie di marketing ed utili per pianificare un’offerta di prodotto di successo. 

Analizziamole una ad una.

Prodotto (Product)

Il prodotto è stato il protagonista principale del marketing sino al secolo scorso ma oggi il mercato è cambiato. Il posto privilegiato di cui godeva adesso è occupato dal brand, entità sempre più indipendente dal prodotto.

Un prodotto può essere un bene tangibile o un servizio intangibile che soddisfa un bisogno o una mancanza per il consumatore. Qualsiasi sia il tuo prodotto è necessario che tu abbia ben chiaro quali sono i punti di forza e di debolezza di quest’ultimo e quali sono gli elementi che lo rendono unico.

Le strategie di prodotto, ad esempio, riguardano naming, branding, packaging…

Prezzo (Price)

Il prezzo è l’importo che l’utente finale dovrà pagare per avere il prodotto. Stabilire il prezzo non è solo un’attività arbitraria ma dipende da qual è il valore percepito del prodotto da parte del target. Infatti, lo stesso prodotto, può essere commercializzato a prezzi molto diversi in diverse parti del mondo.

Se un prodotto ha un prezzo superiore o inferiore al suo valore percepito, molto probabilmente non verrà venduto. Ecco perché è indispensabile capire come un cliente percepisce ciò che gli stai vendendo.

Promozione (Promotion)

La promozione riguarda le strategie e le tecniche che servono a vendere il prodotto.

La promozione, oggi più che mai, include numerosissimi elementi quali: pubbliche relazioni, pubblicità tradizionale, social media, promozioni commerciali, marketing, email marketing, search engine optimization e altro.

Ognuno di questi punti deve essere sempre e comunque supportato da un adeguato ritorno sull’investimento (ROI).

In base alla tua strategia di marketing, dovrai valutare quale promozione risulti più efficace.

Luogo (Place)

Il place corrisponde al canale (o ai canali) di distribuzione in cui il prodotto verrà fornito al cliente.

In questo caso è molto importante conoscere le abitudini dell’utente o il suo comportamento di acquisto, così da individuare il canale più adatto e più efficace per vendere il prodotto.

In questa fase rientrano tutte le attività mediante le quali il prodotto arriva al consumatore finale: distribuzione, trasporto, punti vendita.

Quali sono gli ingredienti del marketing mix?

Interdipendenza, flessibilità, centralità del cliente e monitoraggio costante. Ecco gli ingredienti da fondere insieme per produrre una strategia vincente.

Creare un prodotto di successo è relativamente semplice. Bisogna lanciare un prodotto che un definito gruppo di persone desidera e metterlo in vendita in un posto che quelle stesse persone visitano regolarmente. Tale prodotto deve poi corrispondere esattamente al valore che gli acquirenti si aspettano. tutto questo va fatto al momento giusto, quello in cui gli utenti sono meglio disposti a comprare.

Tale processo semplifica all’inverosimile quello che in realtà è un durissimo lavoro. Per di più basta un solo dettaglio sbagliato perché tutto fallisca, ritrovandosi per le mani un nulla di fatto e grandi risorse sprecate.

Immagina di commercializzare una eccellente auto elettrica in un territorio ancora sprovvisto di punti di sosta e ricarica. Sei sicuro che il commerciale otterrà buoni risultati?

Il Marketing 4.0: cosa è cambiato oggi

Philipe Kotler ha condotto delle analisi di nuove strategie di marketing, necessarie nell’era della digitalizzazione.

Kotler non ha inventato il marketing, ma lo ha ripensato. Negli anni i suoi libri ci hanno portato a guardare con occhi nuovi il processo di vendita dove l’attenzione si è spostata dal prodotto (come realizzazione di un bisogno dell’individuo) al cliente. 

La novità sta proprio nella rivincita del brand. Il brand è ormai uscito dal sommesso cantuccio nel quale il vecchio modello del marketing mix lo aveva relegato, ovvero come entità dipendente dal prodotto, per divenire protagonista assoluto della competizione in molti mercati.

Il marketing 4.0, come lo ha battezzato Kotler, è il marketing delle relazioni connesse. 

Viviamo in un mondo nuovo. La globalizzazione ha aperto nuove arene di sfide. La competitività delle aziende non sarà più determinata dalle loro dimensioni, dal Paese d’origine o dai vantaggi di cui hanno goduto in passato. Aziende più piccole avranno la possibilità di competere contro le più grandi, più vecchie e più globali. Un’azienda sarà più competitiva se riuscirà a collaborare con clienti e partner, per praticare la co-creazione e con le aziende per promuovere la cooperazione. 

Questo processo sta conducendo alla convergenza fra il marketing tradizionale e quello digitale.

Più l’individuo diventa sociale, più desidera contenuti creati appositamente per lui e l’obiettivo del marketing deve essere quello di convincerlo ad acquistare un certo tipo di prodotto piuttosto che un altro.

I clienti accolgono con maggiore diffidenza le comunicazioni dei brand e fanno affidamento sul fattore F (famiglia, amici, follower e fan). Il processo di acquisto sta diventando sempre più sociale, dato che i clienti prestano sempre più attenzione alla loro cerchia sociale nel momento di prendere le decisioni. 

Ne deduciamo che un segmento importante da intercettare sono proprio le community, cioè comunità digitali che si formano spontaneamente e che si proteggono dall’aggressivo metodo comunicativo di alcune aziende.

Il cliente digitale

Negli ultimi anni è poi nata una nuova tipologia di cliente. È giovane, vive in città, appartiene alla classe media e ha un elevato livello di mobilità e connettività.

Oggi il cliente è ambizioso, vive ad un ritmo accelerato, pretende che tutto sia rapido e a portata di pollice, perchè non ama perdere tempo.

Quando ricerca un prodotto lo fa sia online che offline e si fida ciecamente dell’opinione della propria cerchia di amici e conoscenti.

Di fronte alla nascita di questa nuova figura, che pretende velocità, qualità ed efficienza, anche il mondo delle aziende ed il mercato si sono dovuti adattare per non uscire dal mercato.

La connettività genera paradossi

Kotler afferma che il fulcro del nuovo marketing sono le connessioni. Tuttavia queste generano paradossi. 

Il primo paradosso è che nonostante ci sia un’elevata digitalizzazione, l’elemento differenziante rimarrà sempre il tocco umano. Quindi una strategia vincente deve deve tener conto che per vendere online si debba essere solidi e affidabili offline e viceversa.

Il secondo paradosso riguarda i clienti, al contempo informati e distratti. Ricevono una grandissima quantità di informazioni da una molteplicità dei canali che li influenzano, anche se ciò che conta rimangono le opinioni degli altri. Di fatto gli utenti, oggi, si sentono incapaci di scegliere a causa del bombordamento a cui sono sottoposti.

Infine, il terzo paradosso riguarda il fatto che grazie alla connettività i brand hanno l’opportunità di ottenere un passaparola positivo esponendosi  a quello negativo.

Per aumentare la probabilità che ci sia il passaparola conviene scommettere sui giovani, sulle donne e sui netizen, persone che partecipano attivamente su Internet.

Le 4 C per il cliente

L’interesse verso il cliente è aumentato così tanto, che Robert F. Lauterborn ha sostituito le 4 P con le 4C del marketing.

Questo modello converte le quattro P in quattro C più orientate verso il cliente vale a dire:

  • Cliente (Consumer) al posto di Prodotto
  • Costo al posto di Prezzo
  • Comunicazione al posto di Promozione
  • Convenienza al posto di Place (distribuzione)

Tali valori rappresentano in sostanza la domanda del cliente alla quale l’impresa deve correttamente rispondere con le 4 P.

Coinvolgendo i clienti sin dalle prime fasi dell’ideazione, le aziende possono aumentare la probabilità di successo del loro prodotto.

Il punto di vista del consumer permette di calarsi nei suoi panni e pensare nell’ottica dei valori ricercati. Il Marketing Mix deve incontrare i valori reali dei clienti, persone sempre meno passive e più pensanti.

Qual è oggi la strategia vincente?

Se sei arrivato a questo punto pensando di trovare in questo articolo la chiave di volta per sfondare nel tuo business, allora non sei nel posto giusto. 

Non ci sono dei segreti universali per creare strategie vincenti. Esistono piuttosto delle strategie, metodi di analisi, fulcri dai quali partire. 

Tenere a mente le 4 P e le 4 C è fondamentale, ma non basta. 

Un elemento da tenere in considerazione è la Brand awareness.

Più sono le persone che ricordano il nome di un brand, più è probabile che venga consigliato.

Per incrementare la brand awareness senza alzare il budget è una buona idea stimolare le conversazioni fra i clienti. Questo processo presenta al tempo stesso alcuni rischi, dal momento in cui le conversazioni fra i clienti sono imprevedibili. 

Un’altra strategia è quella della personalizzazione dei prodotti per soddisfare ogni cliente in modo unico.

I clienti tendono a riunirsi per tutelarsi e sentirsi più forti di fronte alle lusinghe delle pubblicità. Il marketing deve adattarsi a questa nuova realtà e creare dei brand che si comportino come esseri umani: accessibili e gradevoli, ma al tempo stesso vulnerabili.

Per farlo i brand possono mostrarsi autentici e sinceri, ammettere i propri punti deboli e non fingersi perfetti.

L’obiettivo è anche quello di eliminare le ansie delle persone, dal momento che in un mondo sempre più digitalizzato ricevono un’enorme quantità di stimoli che non riescono a controllare. Il marketing è diventato anche emozionale. Non più solo numeri. Le emozioni sono altresì fondamentali.

È un processo che consiste nel tenersi aggiornati su ciò che viene detto su Internet a proposito di un brand, in particolare sui social media e nelle comunità online.

Al giorno d’oggi, bisogna puntare, inoltre, sul content marketing.  Ovvero creare e distribuire i contenuti interessanti per un pubblico definito, con l’obiettivo di fare nascere delle conversazioni.

I contenuti migliori sono quelli che i clienti sentono più vicini ai propri interessi e che raccontano storie che riflettono i caratteri del brand. A volte quei contenuti sono proprio i clienti a crearli. 

Se pensi che il tuo brand abbia bisogno di rivedere le sue certezze e rinnovarsi di fronte alla nuova generazione di acquirenti, parlaci del tuo progetto e valutiamo insieme il percorso più efficace. 

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Antonella Leone

Ciao sono Antonella, e sono un’ eclettica sognatrice.
Alcuni mi definiscono un’eterna indecisa, io invece amo dipingermi come un’anima multipotenziale.
Scrivo da quando ho imparato a mettere insieme le parole. La scrittura mi ha fatto scoprire mondi paralleli dove mi perdo ogniqualvolta ho bisogno di dare pennellate di colore alla mia vita. Sono entrata per caso nel mondo digital e da allora non ne sono più uscita. Il mio motto? Non smettere mai di imparare!


SEO e SEM

SEO e SEM, cosa sono e perché è importante saperlo per la propria presenza online.

SEO e SEM sono molto semplicemente le due facce della stessa medaglia, perchè in comune hanno il medesimo obiettivo – ovvero la visibilità online – ma lo fanno percorrendo due strade opposte e complementari. 

Mettere on line il proprio sito, che sia uno shop o un blog, è solo il primo di una lunghissima serie di passi necessari e indispensabili per avere performance. L’obiettivo è che il sito appaia sempre nella prima pagina di ricerca su Google, in particolare nelle prime 3-5 posizioni della Serp di Google.

“Il luogo più sicuro dove nascondere un cadavere é la seconda pagina di Google”. Ironica affermazione ben nota nell’ambito della SEO e che gli addetti ai lavori hanno sentito o letto almeno una volta. 

SEO e SEM sono due strumenti strategici che, se padroneggiati, hanno il potere di conquistare visibilità crescente sul web e di conseguenza maggiore traffico al sito. E traffico sta a clienti come crisalide sta a farfalla.

Entrambi indispensabili dunque, SEO e SEM, ma assolutamente diversi.
Prova a usare la query di ricerca “ristorante cinese” su Google. I primissimi risultati saranno accompagnati dalla parola in grassetto Annuncio e sono risultati SEM. Quelli che seguono, i risultati organici, dati da un lavoro certosino di ottimizzazione di precisi parametri del sito, sono invece il frutto di attività SEO. 

Su cosa lavora la SEO.

SEO è l’acronimo di Search Engine Optimization e comprende tutte quelle attività volte a:

  • agevolare la scansione del sito ai motori di ricerca, per comprenderne i contenuti e la struttura 
  • migliorare dati e metadati indispensabili per l’indicizzazione e la scalata alle posizioni dei motori di ricerca, 
  • Posizionare correttamente il sito rispetto agli argomenti che tratta e le soluzioni che offre. 

Seppure l’attività SEO valga per qualsiasi motore di ricerca, va da sé che la maggior parte se non tutta l’attività afferente si faccia in funzione di Google, che è il motore di ricerca più noto, più utilizzato, più incisivo. 

La SEO è indispensabile per i risultati organici, ovvero quelli generati da ricerche per parole chiave. L’utente ottiene un risultato, non perchè l’inserzionista stia pagando per essere visualizzato ogni volta che qualcuno utilizza specifiche parole nella ricerca, ma perchè il sito contiene argomenti e contenuti (articoli, prodotti, approfondimenti) affini quanto più possibile alle parole usate per la ricerca stessa.

L’attività di SEO è davvero complessa e articolata, necessitando di conoscenze trasversali che non sempre si ritrovano in un unico professionista. Si lavora sui Signal, ovvero quei dati che l’algoritmo del motore di ricerca riconosce ed elabora per comprendere ogni contenuto. Anzianità del dominio, backlink, codice di scrittura, frequenza di rimbalzo, dimensione e nome dei file multimediali, performance sui social e ancora, tag, script,  velocità di caricamento, CSS, usabilità, link interni ed esterni, menu di navigazione, title e meta description, snippet, keywords. Se pensi che già così sia davvero tanta roba e poco comprensibile, sappi che abbiamo appena scalfito la superficie e senza uno schema preciso. 

Come interviene la SEM.

Anche SEM è ovviamente un acronimo e sta per Search Engine Marketing. Racchiude tutte le azioni e le strategie per migliorare il posizionamento del sito. In alcuni contesti la sigla SEM include quella SEO – che è a sua volta un’azione strategica del marketing online – ma più comunemente si distinguono per non entrare in confusione tra organico e a pagamento. 

Ancora più utile per la comprensione dell’argomento che stiamo trattando è specificarvi, anche l’esistenza, di quella che viene definita SEA, ovvero Search Engine Advertising. Questa si distingue in keyword advertising e contexual advertising, a seconda che il collegamento a pagamento al sito dell’inserzionista venga pubblicato nella SERP del motore di ricerca oppure all’interno di appositi spazi pubblicitari all’interno di siti affini.

In sostanza, SEM = SEO + SEA.

Grazie ad annunci a pagamento di vario tipo e formato, è possibile ancorare il proprio sito a specifiche parole chiave o a intere frasi (query) che gli utenti utilizzano sul motore di ricerca. Per offrire uno strumento utile agli inserzionisti, Google ha così dato vita a Google Ads (ex Adwords), una dashboard da cui è possibile configurare campagne pubblicitarie search (risultati testuali di ricerca),  display (banner pubblicitari ospitati su altri siti su cui posizionare contenuti visivi quali foto, grafiche o animazioni) o Youtube (brevi video pubblicitari che anticipano l’inizio dei video più visti e obbligatori per almeno 5-7 secondi prima che si attivi il tasto salta l’annuncio).

Una volta messe in atto tutte le accortezze richieste dalla SEO, il SEM può amplificarne l’efficacia e ottenere risultati migliori, sfruttando il potere degli annunci. 

Un Tandem offensivo.

Un sito è ben ottimizzato quando i crawler di Google riescono a scansionare agevolmente dati e contenuti e attribuire un punteggio molto alto al sito. 

Immaginali come le robo-seppie che nel film Matrix scandagliavano i tunnel in cerca dei ribelli, i crawler sono dei software che analizzano contenuti automaticamente, rispondendo ai precisi input dell’algoritmo che, a sua volta, ha come obiettivo scandagliare il web in cerca di dati di valore, da offrire in modo efficace e tempestivo ai suoi clienti: gli utenti che iniziano la ricerca.
Il SEM forza un po’ questo meccanismo che ha luogo costantemente per ogni sito. Pagando, abbiamo la possibilità di evidenziare al motore di ricerca che nel nostro sito si parla specificatamente di un certo argomento e lo forziamo a restituire il nostro sito come primo – o fra i primi tre – risultato delle ricerche pertinenti. 

Per fare una buona attività SEM, oltre ad un cospicuo budget e una buona conoscenza di come funzioni la piattaforma Ads di Google, è necessario comprendere il meccanismo di offerta e asta che caratterizza la pubblicità online, il valore delle parole chiave, i volumi di ricerca e i trends. Inoltre bisogna analizzare le abitudini di ricerca e le caratteristiche degli utenti, almeno quelli in target per i nostri contenuti. Dati demografici, caratteristiche generali, preferenze, peculiarità. 

Infine, ma non meno importante, è opportuno analizzare in quale momento del processo decisionale e d’acquisto, si colloca il nostro annuncio. Il momento esatto in cui vogliamo intercettare a pagamento un utente, il suo grado di consapevolezza del problema e della soluzione/prodotto che sta cercando, determinano in modo significativo le scelte relative al messaggio pubblicitario. Offerta, copy, timing, CTA sono elementi che cambiano molto a seconda di quale azione desideriamo compia l’utente che clicca su un annuncio Google. 

Differenze significative tra SEO e SEM.

Se sono riuscito a non confonderti fin qui e a offrirti una immagine chiara di questi due strumenti, bene! Non potrei essere più soddisfatto. Il tema è spinoso e per nulla semplice da affrontare o comprendere. Che siano due cose distinte ora ti è chiaro. Ci sono però delle differenze che è bene sottolineare. 

Risultati

La SEO raccoglie risultati nel tempo – spesso serve molto tempo, mesi se non anni – mentre il SEM performa dall’attimo stesso in cui si avvia una campagna.  Un articolo di blog ad esempio, scritto in chiave SEO ed eccezionale strumento di indicizzazione per un sito, è come un buon vino, ha bisogno di tempo per fermentare. Quanto tempo? Anche 1000 giorni. Tuttavia un buon pezzo è immortale e può vivere e galleggiare sui motori di ricerca per anni e anni. 

La SEO performa anche dopo che avrai smesso di investire risorse, perchè i risultati di un buon lavoro si raccolgono a posteriori, mentre il SEM smette di performare nel momento in cui esaurisci il budget o disattivi la campagna. 

Costi

La SEO è gratuita, perchè potresti essere abbastanza in gamba da fare tutto da te – perchè no. Il SEM invece, anche se dovessi configurare in autonomia le tue campagne, richiederà sempre un investimento pubblicitario. La verità oltre le apparenze è che entrambe le attività richiedono degli investimenti, in persone, contenuti e budget pubblicitario. 

Targeting e pertinenza

La SEO ti offre visibilità a chiunque stia effettuando ricerche affini al tuo argomento di business. Il SEM, invece, mostra i tuoi annunci solo ad un target prestabilito di persone, escludendone altre, seppure stiano ricercando argomenti affini al tuo. Ad esempio, se hai un’attività locale che non vende servizi al di fuori del proprio comune, è opportuno che il budget venga destinato ai soli utenti che vivono o si trovano all’interno della città. Il rischio è sprecare preziose risorse economiche in pubblico che non potrebbe acquistare il tuo prodotto neanche volendo. È la dura legge del pay per click.

Va detto che il tuo sito, e la sua autorevolezza agli occhi del motore di ricerca, crescono con l’aumentare del traffico indipendentemente da come sia stato prodotto. La SEO porterà traffico generico, il SEM probabilmente un traffico più qualificato. Entrambi sono utili allo scopo. 

Contenuti

Per ottenere il massimo dalla SEO dovrai produrre contenuti più lunghi e strutturati, stabili e permanenti, pensati per performance a lungo utilizzo, come ad esempio un blog e i suoi articoli. Il SEM, invece, predilige contenuti estemporanei, come ad esempio una landing page o un prodotto Limited Edition. Non importa se quel prodotto rimarrà per poco tempo sul tuo shop o se la strategia costruita sulla landing page sia temporanea. Terminate le campagne, si interromperà il traffico ai contenuti specifici. 

Brand identity

Entrambe le attività sono utili per costruire una forte brand identity online e migliorarne la reputazione e l’authority. Tuttavia il SEM può essere determinante per proteggerla dai cosiddetti incubatori. 

Immagina un B&B che voglia aumentare le prenotazioni sul proprio sito ma che contestualmente è presente su siti come Booking o Trivago. Un utente che su Google utilizza parole di ricerca affini al pernottamento verrebbe intercettato quasi certamente da questi colossi, che investono milioni di euro in annunci per migliaia e migliaia di parole chiave. Questo accadrebbe anche se l’utente digitasse il nome specifico del B&B in questione, perchè questi portali utilizzano i nomi delle strutture come parole chiave con cui intercettare traffico a pagamento. 

Ecco perchè è importante che le attività investano il proprio budget – prima che su articolate strategie SEM – quantomeno nel tutelare le proprie parole chiave, quelle legate al nome stesso dell’attività e al settore merceologico. In questo modo – e solo in questo modo – una piccola struttura ricettiva ha qualche chance di concludere prenotazioni sul proprio sito, riducendo le commissioni da pagare alle agenzie di viaggio online. Alle volte bastano pochi euro al giorno per risparmiare centinaia di euro di commissioni. 

Vale per i ristoranti, gli hotel ma anche per chi vende scarpe o abbigliamento o altri prodotti reperibili sugli ingombranti Amazon e Zalando.

SEO e SEM? Cosa preferire?

Sono certo che la mia risposta la immagini. 

Non scegliere!

Non sono due alternative ma due scarpe. Andresti mai in giro con un solo piede nudo? 

È un tandem perfetto per un risultato perfetto, ovviamente con un’infinità di sfumature sul percorso date dal tempo, dalle competenze, dalle professionalità coinvolte e dai budget stanziati. 

Combinando insieme i due strumenti otterrai:

1- traffico subito e traffico nel tempo

2- aumento dei click al link e riduzione del bounce rate, ovvero la tendenza degli utenti a entrare in un sito e uscire entro pochi secondi, cosa che penalizza il posizionamento. 

3- crescita progressiva della reputazione

4- dati costanti da analizzare, grazie alle performance di Ads, appunto, e a Google Analytics. A questi puoi affiancare altri utilissimi tools come Google Trends, SeoZoom, SEMrush…

L’aspetto più interessante? Facendo costantemente attività di monitoraggio dei trends e sviluppando una buona strategia SEO, potrai lentamente incidere sul mercato e smettere di subirlo passivamente. 

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Ciao, sono Nazareno, uno dei BBrothers.
La mia giornata si (s)compone tra letture, strategie digitali, test, scrittura, social media e slide.
Sono un sognatore con i piedi per terra. Mi impegno per essere un punto di riferimento credibile per il mio staff e i miei clienti.
Mi occupo principalmente di copywriting e di tutte le attività editoriali del team.
Imparo ogni giorno qualcosa di nuovo sul marketing digitale che metto a disposizione dei miei clienti.


TikTok_ilnuovopalcoscenico

Fenomeno TikTok: Passatempo o Strategia di marketing?

Il fenomeno TikTok è più di un passatempo disinteressato e può diventare uno strumento prezioso da inserire all’interno di una strategia di marketing aziendale. Vuoi saper come? Qui di seguito alcuni consigli utili per comprendere il nuovo media.

“Make every second count”. Dai importanza ad ogni secondo, è il leitmotiv che accompagna questo nuovo social media che, dopo aver conquistato la generazione z e la generazione alpha, sta acquisendo sempre più utenti anche dalle fasce più adulte dei millenials. 

Chi di noi non ha almeno una volta provato a “fare un tiktok” o non è rimasto contagiato dalla bizzarria dei video di amici, intenti ad eseguire una performance davanti alla telecamera dello smartphone?

Come è nato TikTok? 

Il social è stato lanciato nel 2016 dalla società cinese BityeDance, con il nome di Douyin.

La nascita vera e propria di TikTok come lo conosciamo attualmente è avvenuta, però, nel 2018, dopo che ByteDance ha unito questa piattaforma a Musicaly. È proprio questa provvidenziale fusione l’origine del suo successo, dato che Musicaly aveva già una community su scala globale e un Know-how già ben strutturato. 

Ciò ha permesso di far leva non solo su una community già sviluppata, ma anche su una profonda conoscenza del target e del mercato di riferimento. A differenza di altri social, TikTok non è partito da zero nella creazione del suo network, come invece ha dovuto fare Facebook.

Punti di forza di TikTok. 

Il fenomeno TikTok basa la sua strategia proprio sulla creazione di video brevi e sulla creatività dell’utente, che condivide momenti di vita quotidiana al ritmo di musica, e sulla costruzione di comunità virtuali che condividono passioni.

L’utilizzo del visual storytelling, che è uno dei trend in crescita in questo 2020, permette di differenziarsi e creare una connessione emotiva con i follower. 

Immediatezza, accessibilità e funzioni intuitive sono caratteristiche vincenti dell’app. 

Quale è il target di TikTok? 

Attualmente TikTok è visto come un social network giovane, caratterizzato dalla presenza dominante della Generazione Z (il 41% degli utenti della piattaforma è nell’età compresa tra i 16 e i 24 anni). Tuttavia il bacino di utenza con specifici interessi, si sta ampliando sempre di più. 

L’elemento che accomuna generazioni diverse è il fatto che TikTok rappresenta lo specchio ideale di una società che si sente creativa e fuori dagli schemi e che sente il desiderio di esprimere velocemente e online il proprio stato d’animo. 

I motivi di successo di TikTok.

Il successo è sempre il risultato della combinazione di più ingredienti. Vediamone alcuni:

Creatività del contenuto rivolta alla Gen Z

La creazione di contenuto da parte degli utenti su TikTok è un fattore differenziante rispetto al vicino Instagram. 

A differenza di quest’ultimo, TikTok possiede infatti una gamma più ampia di filtri ed effetti da applicare alle clip, oltre che ad un video-editor tanto intuibile quanto efficace. La combinazione di questi aspetti porta a possibilità creative potenzialmente infinite ed è un polo di attrazione per gli utenti.

Diventare content creators, con uno smartphone in mano, non è stato mai così semplice!

Relazioni e comunità virtuali

I tik toker sono incoraggiati a relazionarsi gli uni con gli altri attraverso video risposta, sfide o duetti. Ora più che mai, questa è una componente essenziale. Il social permette di costruire relazioni divertenti a “distanza”. 

Inoltre i video possono essere condivisi sulle altre piattaforme. 

Diverse le comunità virtuali nate sul social. Basta inserire l’hashtag giusto e il gioco è fatto. Musica, sport, cibo, make-up e prodotti preferiti, non c’è limite ai tiktok, non ci sono limiti per i tik tokers. 

Ed esattamente come successo in altri social, chiunque può ambire a diventare una star con milioni di follower.

User Experience immediata e AI-driven

TikTok cura la sua user experience distinguendosi così dalla concorrenza: una volta aperta l’app, e senza neanche il bisogno di registrarsi, l’utente si ritrova subito nel feed e visualizza la prima di infinite clip create dagli utenti.  

L’esposizione immediata al contenuto permette di entrare nel vivo della piattaforma, aumentando l’interessa e la partecipazione dell’utenza. È come arrivare ad una festa e ritrovarsi catapultati in pista da ballo senza neanche conoscere il festeggiato. 

A questa componente è direttamente collegata l’AI. I dati raccolti vengono inseriti in algoritmi di apprendimento automatico, che perfezionano la qualità del feed e migliorano l’esperienza, incoraggiando un maggiore coinvolgimento e generando più dati da reintegrare negli algoritmi. Si sviluppa in tal modo un ciclo di vita dei contenuti che porta ad un costante miglioramento della user experience. In altre parole, come in altre piattaforme, l’algoritmo si nutre delle preferenze dell’utente per mostrargli contenuti graditi che lo indurranno a rimanere per più tempo a “swipappare” tra le clip.

Moneta virtuale: la ricopensa che fa gola

TikTok offre acquisti di monete in app (coins) che gli utenti possono ottenere e devolvere ai creators. I prezzi negli USA partono da 1,39$ per 100 coins, fino ad arrivare a 139$ per 10.000.

Questa rappresenta una delle modalità con cui i giovanissimi possono guadagnare attraverso la propria attività online. Dopo aver acquistato le monete virtuali possono comprare delle emoj personalizzate, da inviare al proprio muser preferito – termine che indica chi si esibisce su TikTok –  in occasione di una diretta in live streaming.

Al muser destinatario del dono arriva il 50% delle monete effettivamente acquistate dagli utenti, la parte restante viene suddivisa tra la piattaforma e Apple Store.

Perché la tua azienda dovrebbe aggiungerlo alla strategia di marketing?

Non pensare che TikTok sia solo un social dove i ragazzini sprecano tempo, commetteresti lo stesso errore che forse hai fatto dieci anni fa con Facebook o qualche anno dopo con Instagram. Forse ai tempi di Musicaly era legittimo pensarlo, ma oggi TikTok ha ampiamente superato l’esame di fenomeno temporaneo, diventando con forza un’abitudine radicata. Le sue potenzialità sono in crescita. 

 Molte aziende ne hanno già colto la sfida, integrandolo nella loro strategia di social media marketing. 

Nike, Fenty Beauty, Apple Music, Bayern Monaco, Washington Post, per citarne alcune, producono regolarmente tik tok. 

Ciò che spinge all’utilizzo è il fatto di raggiungere il target attraverso la creatività dello storytelling con tassi di interazione veramente elevati. Cosa c’è di più efficace che presidiare i luoghi in cui il target trascorre più tempo? 

Cosa è necessario fare per implementare una strategia di TikTok Marketing?

Aprire un canale e ottimizzarlo 

L’apertura di un canale può sembrare una cosa banale, a patto che si completino tutti gli step richiesti.

Bisogna curare e ottimizzare ogni aspetto del profilo, quali:

  • Nome profilo (deve essere uguale a quello utilizzato negli altri social, quantomeno per le aziende);
  • Biografia (La descrizione deve essere strettamente legata al brand. Ciò che scegli di condividere in pochi caratteri deve essere rappresentativo della tua storia, della tua offerta e dei tuoi valori e deve essere in grado di spiegare agli utenti di cosa ti occupi. Puoi anche decidere di inserire il tuo hashtag all’interno della descrizione);  
  • Immagine del profilo;
  • Link che rimandano agli social dell’azienda;

Crea contenuti attraenti e di valore

Su TikTok è indispensabile creare video originali e in linea con la comunicazione aziendale.

Utilizza un approccio diretto e semplice per connetterti con i tuoi fan. Le parole chiave devono essere “intrattenimento” e “originalità”. Evita contenuti ingessati e tradizionali che risulteranno quasi certamente noiosi. Piuttosto dai sfogo alla creatività e cerca la sintonia giusta con il target.  

Prima di pensare al contenuto del video o allo stile è necessario definire una visione di insieme sul messaggio che vuoi veicolare e sugli argomenti che vuoi trattare. Alcune aziende scelgono di puntare sul prodotto, altre sulle esigenze della community o sulla curiosità.

Hashtag Challenge

TikTok dà molta importanza agli hashtag, dato che li utilizza per categorizzare i contenuti postati. Infatti la sezione Scopri della piattaforma riporta tutti i contenuti sotto gli hashtag di tendenza. Posizionarsi tra questi hashtag permette di essere raggiunti da un numero cospicuo di utenti.

Sempre sulla base degli hashtag è possibile lanciare delle challenge. In tal caso, tra i vantaggi, si aggiunge anche la possibilità di generare maggior engagement e awareness, oltre che di generare word-of-mouth con la possibilità di far diventare il proprio contenuto virale. 

Influencer Marketing

Anche su TikTok, come sugli altri social, le campagne di influencer marketing possono risultare efficaci.

Si può dire che nel caso specifico del social cinese è possibile far leva sia su una reach organica rilevante, ma anche sul ruolo che ricoprono gli hashtag nella diffusione delle clip.

Ovviamente, al fine di rendere una campagna del genere funzionale, è importante una chiara definizione degli obiettivi, del target e degli influencer.

Non pensare che TikTok sia solo un social dove i ragazzini sprecano tempo, commetteresti lo stesso errore che forse hai fatto dieci anni fa con Facebook o qualche anno dopo con Instagram. Forse ai tempi di Musicaly era legittimo pensarlo, ma oggi TikTok ha ampiamente superato l’esame di fenomeno temporaneo, diventando con forza un’abitudine radicata. Le sue potenzialità sono in crescita. 

 Molte aziende ne hanno già colto la sfida, integrandolo nella loro strategia di social media marketing. 

Nike, Fenty Beauty, Apple Music, Bayern Monaco, Washington Post, per citarne alcune, producono regolarmente tik tok. 

Ciò che spinge all’utilizzo è il fatto di raggiungere il target attraverso la creatività dello storytelling con tassi di interazione veramente elevati. Cosa c’è di più efficace che presidiare i luoghi in cui il target trascorre più tempo? 

Anche su TikTok si può fare Adv

Vista la crescita repentina della piattaforma, potrebbe essere una mossa intelligente investire risorse su questo social, prima di un aumento della domanda e dei costi. 

TikTok Ads ha lanciato la propria piattaforma di advertising attraverso la quale è possibile sviluppare una campagna scegliendo target, placement, timing e molto altro (analogamente a Facebook Business Manager). 

Lanciare una campagna oggi è senza dubbio vantaggioso. Vuol dire essere first-mover, o quasi,  con costi ridotti in virtù della bassa competitività tra inserzionisti. Le aziende presenti sul social sono ancora relativamente poche.

Tik Tok è entrato da relativamente poco in vari mercati (come quello italiano), ma allo stesso tempo presenta già una vasta community internazionale con prospettive di crescita molto interessanti. Inoltre è un canale ancora poco saturo, rispetto a Facebook e Instagram. 

Se anche tu vuoi sperimentare le potenzialità di questo nuovo canale social e costruire una strategia in grado di trarre il massimo profitto da Tik Tok marketing, prenota una consulenza e parlaci delle tue idee. 

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Antonella Leone

Ciao sono Antonella, e sono un’ eclettica sognatrice.
Alcuni mi definiscono un’eterna indecisa, io invece amo dipingermi come un’anima multipotenziale.
Scrivo da quando ho imparato a mettere insieme le parole. La scrittura mi ha fatto scoprire mondi paralleli dove mi perdo ogniqualvolta ho bisogno di dare pennellate di colore alla mia vita. Sono entrata per caso nel mondo digital e da allora non ne sono più uscita. Il mio motto? Non smettere mai di imparare!


Redazione giornale - Piano editoriale

Il piano editoriale: lo strumento fondamentale per chi scrive e pubblica contenuti web.

Il piano editoriale è la bussola del professionista che si occupa della redazione e pubblicazione di contenuti web per la propria azienda e/o per conto di clienti. È la stella polare che orienta il content marketing strategico in questo mare tempestoso che è il Web. 

Lo avrai sentito nominare tante volte ma non sei riuscito a metterlo a fuoco correttamente?

Il piano editoriale è davvero un punto di riferimento per gli addetti ai lavori ma è tutto tranne che un concetto astratto. Cos’è e come si sviluppa un piano di contenuti? 

Caro imprenditore sei pronto ad imparare anche oggi una cosa nuova?

Noi siamo pronti ad impararla insieme a te. 

Let’s start!

Cos’è un piano editoriale?

Prenderò in prestito la definizione che ne ha fatto Il Post.

<< Documento fondamentale di ogni casa editrice: quello dove si costruisce e ufficializza ogni anno la programmazione contenutistica ed economica di un editore. Attraverso il piano editoriale si stabiliscono i libri che usciranno nell’anno successivo e, insieme, si fa una previsione quanto più accurata possibile su quanto venderanno. >>.

Il piano editoriale regola sia la programmazione dei contenuti che la previsione degli introiti economici. 

Oggi, traslando questo stesso concetto nel mondo digital, possiamo considerare il piano editoriale come: 

<< […] un documento – esplicitato o meno – di pianificazione di contenuti nell’ambito di una qualsiasi attività di produzione di contenuti. >>

Di fatto, il piano editoriale orienta la produzione e la pubblicazione di contenuti conferendo coerenza, pertinenza e costanza. È un insieme di azioni strategiche messe in atto per raggiungere un pubblico e trasformare la propria presenza online in un potente strumento di marketing.

Ma che differenza c’è tra il piano editoriale e il calendario editoriale?

Piano editoriale VS Calendario editoriale.

Il piano editoriale possiamo immaginarlo come un “contenitore” di spunti, idee e argomenti, suddivisi per macro aree e categorie. In gergo markettaro, topic.

Si individuano così argomenti relativamente ai quali verrano pubblicati un preciso numero di post durante il periodo editoriale di riferimento, sia un anno o un trimestre.

I topic e i contenuti correlati si svilupperanno nel cosiddetto calendario editoriale, un documento che scandisce la pubblicazione su schema cronologico e cross-canale. Concettualmente sovrapposto al già citato piano editoriale, si tratta di due strumenti differenti ma assolutamente complementari, operando all’unisono verso il più alto obiettivo di dare pertinenza e coerenza alla content strategy. 

Piccola postilla: In che senso cross-canale? Il calendario editoriale può essere un unico documento in cui vengono inseriti i giorni di pubblicazione dei contenuti di tutti i canali web sui cui è presente l’azienda: articolo di blog, post di Facebook, post di Instagram, articolo di Linkedin, Newsletter… e chi più ne ha più ne metta! In questo modo tutti i membri del Team saranno sempre aggiornati e coordinati su tutto. 

Quali sono gli elementi di un Piano/Calendario editoriale?

Un piano editoriale consta di vari elementi che ne definiscono una maggiore o minore completezza: 

  • il target. La domanda da porsi è sempre la stessa: chi vogliamo raggiungere? Una risposta molto dettagliata definirà non solo il target di riferimento ma anche e soprattutto il tone of voice di ogni produzione multimediale, siano testi, foto o video. 
  • gli obiettivi. Quali obiettivi si pone la strategia espressa attraverso il planning? vendere, informare, aumentare il traffico al sito web, acquisire lead, fidelizzare.
  • la piattaforma utilizzata. Un piano editoriale può essere multi-canale, quindi può riguardare la pubblicazione di contenuti su più piattaforme. È indispensabile indicare le piattaforme che ospiteranno i diversi contenuti. 
  • i contenuti da pubblicare. Immancabili: elementi visivi (foto/video), copy (testi, approfondimenti, slogan o claim delle campagne), eventuali link (meglio se ridotti con un tools di link shortener). 
  • il timing. Stabilire giorni e orari migliori per la pubblicazione può migliorare le performance generali, oltre che accrescere il coinvolgimento. 
  • le interazioni. È utile stabilire che tipo di interazioni ci si aspetta per ogni contenuto e per ogni piattaforma. Poi, una volta effettuata la pubblicazione, riportare i risultati di interazione da parte del pubblico. 
  • le fonti. Quando si scrive relativamente a news, statistiche, festività, è opportuno stabilire le fonti attendibili e verificare sempre la credibilità e la correttezza delle informazioni.

Consiglio: potrebbe essere utile effettuare anche un’analisi della concorrenza, per vedere come si comporta il settore in cui si opera. Uno sforzo aggiuntivo che potrebbe fare la differenza: analizzare i competitor non significa copiarli, ma anticiparli!

Quali strumenti usare per realizzare un Piano/Calendario editoriale?

Non ci crederai, ma anche un semplice foglio di lavoro Excel può risultate efficace allo scopo. 

Non dovranno mancare: 

  • una colonna a sinistra con il calendario giornaliero (meglio con la data che mostra anche il giorno della settimana) 
  • una colonna dedicata alle “Ricorrenze”, ovvero quelle festività che non vogliamo assolutamente dimenticare

Infine, per ciascuna piattaforma di pubblicazione, ci sarà una colonna dedicata a: 

  • Argomento
  • Copy
  • Immagine
  • Link
  • Obiettivo
  • Note

Una volta creato un piano/calendario editoriale con Excel, sarebbe utile e consigliabile condividerlo in cloud con il resto del team – Google Drive è uno strumento universale, gratuito ed efficace – in modo che ognuno possa contribuire alla stesura e all’ottimizzazione del piano strategico. 

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Silvia Li Vecchi

Ciao, sono Silvia Li Vecchi.
Marketing Addicted: mi piace il Marketing in ogni sua accezione.
Parlare, comunicare e instaurare relazioni: il network è alla base di tutto. Credo nell’educazione al Bello e che le Creatività nutra l’anima.
Danzo da quando cammino e Cucino per divertirmi (e perché mi piace mangiare!).
Enjoy.


Instagram Stories

Le Storie di Instagram: amore o dipendenza?

L’avvento delle Storie su Instagram ha cambiato, se non stravolto, l’utilizzo dell’app. Un posizionamento talmente diffuso e consolidato che oggi le Stories, dopo aver conquistato Facebook, approdano anche su LinkedIn. Cosa sono le Storie di Instagram, che valore hanno per gli utenti e che opportunità offrono alle aziende?

Le Storie di Instagram sono state introdotte il 02 agosto 2016. Palesemente copiate a Snapchat (proprio come i Reels sono un clone dei TikTok) da allora hanno avuto un successo esponenziale, confermato dai 500 milioni di utenti che ogni giorno ne fanno un uso smodato.

Instagram stesso le presenta come un contenuto che ti permette di “condividere tutti i momenti della tua giornata, non solo quelli che vuoi tenere nel tuo profilo”. 

Cosa sono le Storie e perché funzionano?

Si tratta di foto o video, la cui condivisione dura solo 24 ore ed è qui che risiede la loro potenza. La loro evanescenza fa leva, da una parte, sulla necessità inconscia degli utenti di essere sempre online e di “mostrare” il meglio della loro quotidianità, dall’altra sul desiderio dei follower di essere sempre aggiornati e di visualizzare ciò che potrebbe interessargli prima che svanisca. Instagram stesso, infatti, ha dichiarato che le Storie portano gli utenti a frequentare la piattaforma con più frequenza e per un tempo maggiore. 

Urgenza e scarsità in un mix incredibilmente efficace. 

Cosa piace delle Storie? Sicuramente la loro spontaneità e velocità: spesso immortalano dei momenti più naturali, meno artefatti e quindi più divertenti, creando maggiore coinvolgimento degli utenti.

Inoltre, la loro grande dinamicità e varietà, proprio come strumento in continuo mutamento, non le rende mai noiose: basti pensare a tutte le novità introdotte negli anni e al potenziamento delle funzioni iniziali. 

Azzarderei che neanche un Digital Native le padroneggi veramente tutte. 

Perché usare le Storie di Instagram? 

I motivi che dovrebbero spingere ad un utilizzo strategico delle Storie su Instagram potrebbero essere essenzialmente tre: 

1- maggiore visibilità: dato che le Storie si posizionano nella parte superiore della bacheca, sono le prime ad essere viste non appena si accede sulla piattaforma. Ciò significa che saranno le prime ad attrarre l’attenzione dell’utente, oltre al fatto che, scorrendo in modo automatico, permettono di essere viste anche “involontariamente” e senza che l’utente abbia effettivamente cliccato.

2- maggiore possibilità di emozionare l’utente: si tratta di un formato più leggero e di evasione, che permette spesso di immortalare un momento, una sensazione o un pensiero che merita di essere condiviso istantaneamente con chi vi segue. Combinando in modo creativo foto e/o video con palette, scritte, adesivi, filtri, gif e tutti gli strumenti messi a disposizione, è possibile creare dei contenuti in grado di coinvolgere la sfera emotiva in modo molto più impattante di un semplice post sulla bacheca.

3- maggiori possibilità di creare un contatto diretto: le Storie di Instagram hanno ridato vita alla funzione – quasi dimenticata – del Direct Message, la quale rappresenta l’unica modalità per rispondere ad una Storia. Sapevi che in media una Storia su cinque riceve almeno un messaggio diretto? 

Le Storie di Instagram devono essere integrate nella propria strategia di comunicazione su Instagram, seguendo principalmente due logiche: 

1- la sperimentazione: grazie al fatto che hanno durata limitata ( di sole 24 ore) perché non usare le Storie come strumento per sperimentare nuove idee. A maggior ragione se queste non vengono gradite, scompariranno presto! 

Ciò non significa pubblicare senza una preventiva valutazione strategica, che potrà essere costituita da un processo di: 

  1. Brainstorming 
  2. Nuove idee 
  3. Creazione e pubblicazione contenuto 
  4. Analisi delle performance e KPI 
  5. Valutazioni 

Non è Marketing, senza dati. Neppure nelle Storie.

2- il Brand Storytelling: significa saper raccontare la tua offerta legata al contesto in cui prende vita. Quindi rendere protagonista l’azienda, lo staff, la filosofia aziendale, la missione e l’idea che si vuole creare e che arriva al consumatore finale, il quale a sua volta svilupperà aspettative che bisognerà soddisfare ben oltre le 24 di vita del contenuto. 

Hai presente quella sensazione trepidante che provi aspettando il giorno e l’ora esatta in cui la tua serie tv preferita andrà in onda con una nuova stagione? Ti piacerebbe che i tuoi follower provassero anche solo una parte di quella sensazione aprendo l’applicazione in cerca dei tuoi contenuti?

Come si creano le Storie di Instagram?

È davvero semplicissimo – un po’ meno se non sei un millenials, basta lanciare l’app di Instagram o Facebook e, dalla home, cliccare sulla propria icona con il piccolo “+” blu, in alto a sinistra sull’apice dello stream. Ora sei dentro l’editor delle stories e puoi scegliere innanzitutto se produrre:

Video in Diretta: Un video che può sforare i canonici 15 secondi delle storie, arrivando fino a 60 minuti e che potrà essere aggiunto alla sezione IGTV. Il vantaggio principale che offre è che, a differenza delle storie, l’app invia una notifica a tutti i follower avvisandoli della diretta in corso. 

Storia: la modalità originale per produrre una storia fino a 15 secondi.Può essere editata con foto e/o video, aggiungendo degli effetti e applicando filtri o altre opzioni come l’editor di testo, la modalità boomerang o superzoom. Una volta registrato – o caricato un file già pronto dalla gallery – è possibile aggiungere gif e altri elementi visivi, infine includere tag, hashtag, luoghi e citazioni che hanno lo scopo di coinvolgere maggiormente i follower e di aumentare la visibilità del contenuto. 

Reels: è il nuovo formato che nasce ancora una volta dalla capacità di Facebook Inc. di cogliere il meglio dai competitor. Una volta attestato il successo di TikTok e dei sui video estremamente performanti, i reels non sono solo l’alternativa all’app cinese, ma possono includerne i contenuti  che diventano così protagonisti anche su Instagram.  I reels presentano quasi le stesse opzioni di una qualsiasi storia, ma dispongono di una sezione dedicata all’interno dell’app, proprio come le storie. Una distinzione le cui ragioni non appaiono ancora chiarissime e che possiamo presumere vedono oltre la semplice battaglia di quote di utenti a TikTok. 

Come puoi sfruttare le Storie?

Le Storie su Instagram sono fondamentali per mantenere vivo il rapporto con chi ci segue e stimolare la sua reazione e il suo coinvolgimento in modo costante. Le idee di utilizzo sono parecchie e non considerarne i vantaggi sarebbe un peccato: 

  • Sondaggi: usate le Storie per chiedere le preferenze dei tuoi follower tra due prodotti/servizi. un modo divertente e alternativo per coinvolgere il pubblico e avere un feedback rapido e diretto su gusti, preferenze, trend…
  • Consigli: i famosi contenuti “How to” in cui puoi offrire consigli e istruzioni su come eseguire qualcosa, inerente alla tua attività o all’uso del tuo prodotto, o semplicemente su argomenti affini. 
  • Dietro le quinte: racconta il “behind the scene” di qualcosa in particolare, di un evento o di una campagna pubblicitaria, dei processi produttivi o della tua vita privata se sei un personaggio rappresentativo. Sbirciare nelle zone per addetti ai lavori o sbirciare nell’intimità delle star è sempre elettrizzante per il pubblico. 
  • Rubriche settimanali: Scegli dei temi, proponili ai tuoi follower – magari sfruttando i sondaggi – e discutili periodicamente  favorendo dialogo e interazione. L’opzione domanda ti permetterà di fare domande dirette ai follower e rendere le risposte oggetto delle storie successive. 

Consiglio: per qualsiasi tipologia di Storia e qualsiasi argomento, è auspicabile scegliere uno stile – in termini di pallette, carattere, font, hashtag – e di mantenerlo invariato nel tempo ( o almeno di provarci). L’obiettivo principale è quello di essere riconoscibili sempre e in modo immediato da chi ci segue. 

Con che frequenza pubblicare le Storie?

Sicuramente, le Storie vanno alimentate con costanza e creatività: indiscutibile è l’importanza del contenuto iniziale che sancisce il coinvolgimento dell’utente o un flop assoluto, qualora questo non dovesse essere un contenuto di qualità. Quindi sceglietelo strategicamente e con attenzione. 

Esistono alcuni Tool che permettono la programmazione delle Storie e che permetteranno, quindi, di redigere e rispettare un ricco piano editoriale: 

  • Onlypult
  • Later
  • Storrito

Considerato che una storia rimane visibile per le 24 ore successive alla pubblicazione, è preferibile avere dei contenuti sempre presenti nel carosello che ogni utenti visita guardando le storie. Se vuoi essere sempre presente in distribuzione dovrai pubblicare almeno 2-3 contenuti ogni giorno. Ricorda però che è preferibile rimanere in silenzio piuttosto che dire sciocchezze. Meglio non pubblicare che pubblicare cose poco interessanti che potrebbero allontanare i follower. 

Le Stories Highlights 

Le Stories Highlights sono le cosiddette Storie in Evidenza. Si tratta di aggregatori permanenti di Storie, che si posizionano proprio sotto la Bio del profilo Instagram e che prolungano a vita alle Storie. 

Le Storie in Evidenza sono molto utili se concepite “Tematiche”: per mettere in risalto i principali prodotti o servizi offerti, o dei topic su cui si vuole porre maggiore attenzione. Quindi possono essere suddivise per categoria, creando una foto cover, che sia possibilmente coordinata per la Brand Identity e che rappresenti in modo iconico il contenuto. È possibile dare un nome a ciascuna Storia, che sia rappresentativo e lungo massimo 15 caratteri (non tutti visibili).
Molti ristoranti utilizzano le storie in evidenza per mantenere sempre visibile il loro menu, o per raccogliere tutti i contenuti prodotti dai clienti. 

All’interno di ciascuna Storia in evidenza è possibile inserire massimo 100 contenuti dall’archivio delle storie, tra foto e video; superata questa soglia, la Storia in Evidenza viene automaticamente archiviata. 

 

Come misurare la performance delle tue Storie?

Ti raccomando di misurare sempre i risultati che raggiungerai con le tue Storie. Come? 

Monitorando dei semplici indici, quali: 

  • Visite uniche: il numero di persone che hanno visualizzato la Storia. Se rapportato al numero dei tuo Follower è possibile individuare il grado di coinvolgimento del Brand 
  • Tasso di completamento: in quanti visualizzano tutte le tue Storie e in quanti invece abbandonano prima della fine? Quanti touch per passare alla tua prossima storia o a quella precedente e quanti invece per switchare alle storie del prossimo profilo? Valuta il tasso di abbandono e, se alto, ricerca il perché questo accada. 
  • Risposte ai messaggi: i messaggi diretti sono una chiara riprova del coinvolgimento dei propri Follower. Stimola il dialogo e fai in modo che gli utenti debbano restituirti un feedback sul contenuto. In questo modo la portata della tua storia aumenterà arrivando anche a utenti che non sono ancora tuoi follower. 

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Silvia Li Vecchi

Ciao, sono Silvia Li Vecchi.
Marketing Addicted: mi piace il Marketing in ogni sua accezione.
Parlare, comunicare e instaurare relazioni: il network è alla base di tutto. Credo nell’educazione al Bello e che le Creatività nutra l’anima.
Danzo da quando cammino e Cucino per divertirmi (e perché mi piace mangiare!).
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database building

Database Building: primo passo per un email marketing efficace.

Il Database Building è fondamentale per dare inizio ad una corretta ed efficace attività di mail marketing, che a sua volta deve essere integrata alla strategia di marketing e di comunicazione del brand. Soprattutto per chi possiede un sito web e fa e-commerce, sicuramente l’invio costante e coerente di comunicazioni informativi e/o commerciali permette di tenere sempre attivo il rapporto con il cliente, o potenziale tale, aumentando le probabilità di conversione, nonché di acquisto. 

Non basta mandare una comunicazione ad un elevato numero di email, senza investire preventivamente tempo e risorse nella costruzione di un Database che sia qualitativamente valido. 

La qualità e la corretta profilazione dei contatti sono la chiave per fare database building e avviare una produttiva attività di mail marketing. 

Cos’è il Database Building?

Come già anticipato in questo articolo (leggi qui) il mail marketing è fondamentale sia per accrescere la reputazione del brand, sia per migliorare la performance delle vendite. La prima cosa da fare però rimane la creazione di un database di contatti di qualità e profilati. 

Sicuramente la costruzione di un Database inizia con la raccolta di indirizzi email o numeri di telefono forniti dal diretto titolare, il quale darà il suo consenso all’utilizzo di questi dati per ricevere qualcosa che per lui abbia un valore aggiunto, quali informazioni o promozioni dedicate. 

[ NB: l’Email Marketing si base necessariamente sulle logiche di quello che è stato definito Permission Marketing, ovvero le strategie di marketing che puntano ad ottenere dal consumatore stesso il permesso a comunicare direttamente con lui. D’altronde, se sarà lui stesso a fornire i dati e il consenso al loro utilizzo dovrebbe prestare maggiore attenzione alle comunicazioni ricevute, conferendo maggiore efficacia alle azioni pubblicitarie.]

L’obiettivo dell’attività di costruzione di un Database non è tanto raccogliere una grande quantità di contatti, ma avere contatti che siano di qualità. 

In che senso?

Oltre all’indirizzo email, è fondamentale raccogliere per ciascun utente molte altre informazioni utili, quali: nome, genere, data di nascita, luogo di residenza, professione, interessi, e così via. 

Perchè?

Ciò permetterà di creare delle comunicazione molto personalizzate e mirate, in grado di confermare o superare le aspettative di chi legge, tenendo sempre attivo il rapporto tra il consumatore e il brand. 

Siate sempre consapevoli che si tratta di un’attività certosina, che richiede tempo e pazienza.

Come fare Database Building?

Alla base di una strategia di Database Building ci sta sicuramente la necessità di aumentare e diversificare i cosiddetti Entry Point ovvero dei punti di iscrizione – al fine di massimizzare l’esposizione dell’utente alla possibilità di lasciare i propri contatti.

Oltre al classico box d’iscrizione sul sito web, ecco alcuni strumenti ‘alternativi’ per far crescere il tuo database di iscritti alla newsletter: 

1- Link nella firma aziendale

La tua firma aziendale arriva a tantissime persone esterne all’azienda. Oltre al logo e ai contatti, perché non inserite l’invito ad iscriversi alla vostra Newsletter con in link diretto al forma di iscrizione?

2- Pop-up sul sito web

Chi approda sul tuo sito magari non è ancora pronto ad acquistare i tuoi prodotti, però potrebbe  essere disposto a lasciare i propri contatti per rimanere aggiornato. Perché non prevedere un pop-up (non troppo invadente e magari dinamico) per ricordare la possibilità di iscriversi, senza dover sperare che veda il form di iscrizione spesso presente a fine pagina?

3- Pagina Facebook

Sapete quanto tempo in media si trascorre su Facebook ogni giorno? Ben 50 minuti ed è un numero destinato a salire. Lsciarsi scappare la possibilità di intercettare gli utenti di questa piattaforma sarebbe poco strategico. Quindi, potrebbe essere utile creare campagne di sponsorizzazione con i Leads Ads oppure modulare la Call to Action della tua pagina, inserendo il link al proprio sito web su cui è possibile compilare il form e lasciare i propri dati. 

4- Download di contenuti rilevanti

Molti utenti sono ben lieti di lasciare il proprio indirizzo email e i propri dati in cambio di contenuti ad elevato valore aggiunto: ebook, paper, webinar, presentazioni, infografiche e similari.

5- Contest e Concorsi

Perché non dare la possibilità di vincere un premio partecipando ad un Contest o un concorso, in cambio di una registrazione a quest’ultimi?

Gli entry point possono essere anche offline, come i touch-point alle fiere o agli eventi, dove è possibile lasciare il proprio contatto email per registrarsi, in cambio di qualche gadget brandizzato.

Database Cleansing vs Database Enriching?

Una volta costruito il nostro Database, dovremo averne molta cura. Bisogna sempre tenere a mente che una lista di contatti subirà delle modifiche nel tempo e può capitare, ad esempio, che alcuni contatti diventino inattivi. In questo caso andranno messe in atto azioni di “pulizia”, ovvero di Database Cleansing, per cui verranno rilevati e rimossi contatti errati, imprecisi, inattivi, irrilivanti. Gestire i contatti infatti richiede un programma e la configurazione di automation, il cui costo spesso aumenta con l’aumentare dei contatti registrati. Un utente inattivo che non apre nessuna delle tue mail ti farà solo sprecare soldi e tempo, danneggiando anche le statistiche relative all’efficacia delle tue mail. 

Quando invece, nel corso del tempo, il nostro database si arricchisce di informazioni relative ai diversi contatti ( dalle informazioni demografiche a quelle psico attitudinali, come frequenza e abitudine di acquisto) assisteremo a quello che viene chiamato Database Enriching, il quale si sostanzia di fatto in tecniche e processi di profilazione sempre più profonda ed efficace. 

Cosa è la Profilazione? 

La profilazione è l’attività di raccolta ed elaborazione dei dati inerenti agli utenti di un servizio, al fine di suddividerli in gruppi a seconda del loro comportamento (segmentazione). Una profilazione puntuale ti permette di raggiungere un elevato grado di personalizzazione nelle comunicazioni, poiché traduce i dati e le informazioni relative ad un utente in campagne email dal contenuto rilevante per quest’ultimo. Uno studio di Marketing Land ha mostrato come le email personalizzate riportino un tasso di conversione 6 volte più alto e tassi di class unici superiori del 41% rispetto alle email standardizzate e anonime. 

Quindi, profila, profila, profila!

Come si effettua la Profilazione?

Esistono principalmente due approcci: 

  • Profilazione unica: è l’approccio più ambizioso e al tempo stesso più ostico, perché richiede al destinatario di compilare form, pagine e questionari piuttosto estesi. La profilazione unica permette di raccogliere una grossa mole di informazioni in un unico frangente. 
  • Profilazione progressiva: è la pratica di raccogliere nel tempo le informazioni sul potenziale cliente, con l’obiettivo di costruirne man mano un profilo il più possibile completo ed esaustivo. La profilazione progressiva può essere, a sua volta: 
  1. diretta, che si basa su domande esplicite rivolte al destinatario, da cui ci si aspetta la risposta in un clic. Il valore corrispondente alla voce selezionata viene quindi raccolto in automatico e le informazioni vengono aggiunte al profilo dell’iscritto. In questo modo, ottenendo ad esempio il cap di residenza, potrai inviare promozioni a singole aree coperte dal tuo servizio. 
  2. indiretta, che comporta la creazione di una categoria per ogni link inserito nell’email, dove ciascuna categoria di clic corrisponderà a un’informazione, a una determinata espressione di interesse. Nella profilazione indiretta non vi è alcuna domanda esplicita; l’informazione viene desunta da un’azione del destinatario sull’email. L’obiettivo in questo caso è desumere interessi e preferenze di ciascun utente dal suo comportamento sull’email, così da avere le informazioni per orientare le successive campagne di follow-up e determinare quali prodotti e offerte suggerire. Ad esempio, dopo aver inviato una prima mail, potrebbe seguirne una indirizzata solo a chi nella prima ha manifestato un grado di interesse superiore verso un contenuto, tanto da approfondirlo seguendo il link. 

Silvia Li Vecchi

Ciao, sono Silvia Li Vecchi.
Marketing Addicted: mi piace il Marketing in ogni sua accezione.
Parlare, comunicare e instaurare relazioni: il network è alla base di tutto. Credo nell’educazione al Bello e che le Creatività nutra l’anima.
Danzo da quando cammino e Cucino per divertirmi (e perché mi piace mangiare!).
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Usabilità sito web

I Web Vitals. La nuova iniziativa di Google per valutare la User Experience di un sito web.

I Web Vitals sono nuove metriche introdotte nell’algoritmo di valutazione di Google che spostano l’attenzione non più sui contenuti di un sito, bensì sull’esperienza di navigazione dell’utente. Non conterà più solo la qualità del risultato che Google può offrire ma l’accessibilità e la credibilità del sito che lo ospita. 

Tre nuovi fattori costringeranno noi programmatori a fare ancora più attenzione all’user experience. I Web Vitals riscriveranno letteralmente la serp di Google, modificando le gerarchie dei risultati (ad esclusione degli annunci a pagamento) e migliorando lo score di quei siti che mettono l’utente e la sua esperienza al centro delle loro scelte. 

I fattori principali, definiti Core Web Vitals, con cui si potranno valutare le pagine web sono LCP (Largest Contentful Paint), FID (First Input Delay) e CLS (Cumlative Layout Shift); vediamoli nel dettaglio cercando di evitare tecnicismi.

LCP (Largest Contentful Paint)

Il Largest Contentful Paint è il tempo di rendering dell’elemento più pesante all’interno della finestra di visualizzazione.

La pesantezza di immagini e video all’interno di una pagina web è sempre stata una delle cause principali delle cattive performance di un sito; con questo nuovo parametro non viene valutato il tempo complessivo di caricamento di una pagina (che continua comunque a rivestire un ruolo importante nella valutazione), ma solo il tempo che impiega a caricarsi l’elemento più pesante (molto probabilmente un’immagine o un video) tra quelli immediatamente visibili sullo schermo.

Il tempo di caricamento ideale è al di sotto dei 2.5 secondi.

FID (First Input Delay)

Il First Input Delay è un parametro che non si calcola immediatamente al caricamento di una pagina, ma dal momento in cui l’utente compie la prima azione sul sito (ad esempio il click su un pulsante o l’attivazione di uno script); dall’input dell’utente viene poi calcolato il tempo di elaborazione del server.

Se prendiamo ad esempio un menù a tendina che si espande al click dell’utente, il FID è il tempo che intercorre tra il click dell’utente sulla voce del menù e il completamento dell’apertura del sottomenù.

Il FID scoraggia quindi l’esecuzione di script eccessivamente pesanti, favorendo una navigazione fluida ed immediata.

Per valutarlo positivamente, il First Input Delay deve mantenersi al di sotto dei 100 millisecondi.

CLS (Cumlative Layout Shift)

Il Cumlative Layout Shift infine valuta la stabilità di una pagina web.

Se un elemento della pagina è molto pesante, o si carica in maniera asincrona, o si aggiunge dinamicamente tramite uno script in seguito al corretto caricamento della pagina, capita che la pagina possa “muoversi” o subire variazioni durante la navigazione a causa dell’introduzione dell’elemento in questione.

Questo fa sì che l’esperienza dell’utente ne risenta: immaginiamo di voler cliccare sul pulsante “annulla ordine” di un e-commerce, ma a causa del caricamento asincrono di un elemento il pulsante si sposta qualche centimetro più in basso nel momento in cui facciamo click, e finiamo per selezionare “conferma ordine”.

Il CLS si calcola quindi in base al numero di modifiche inattese che accadono in seguito al corretto caricamento della pagina, e idealmente dovrebbe essere pari a 0, ma viene fornita – generosamente – da Google una tolleranza di 0,1.

Strumenti Utili per verificare il tuo sito

Se vuoi verificare che il tuo sito sia in linea con i nuovi parametri di Google, Chrome mette a disposizione un’estensione apposita a questo link

Una volta installata clicca sull’icona in alto a destra nel browser (il quadrato colorato rosso o verde) e otterrai un punteggio per ognuno dei tre parametri rispetto alla pagina attualmente visualizzata.

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Marco Ilardi

Ciao sono Marco, mi definiscono un programmatore ed io mi fido.
Mi piace isolarmi ed immergermi nella scrittura del codice, cimentandomi in sfide sempre nuove… il tutto con un bel pezzo di pizza in mano.

Datemi del cibo ed un computer e non avrò bisogno d’altro.