Dolce come lo scivolone Barilla - Quando il target non è un luogo comune
Dolce come lo scivolone Barilla
Quando il target non è un luogo comune
In molti dei nostri articoli potresti trovare riferimenti sull’importanza di definire un target per qualsiasi azione di marketing.
Non è una fissa tipica di bbadv, sia chiaro.
È il mantra inespresso di qualsiasi marketer e addetto ai lavori pubblicitari.
Sembrerà un’affermazione banale ma non puoi comunicare qualcosa se non sai a chi.
Se la tua promozione avesse per destinatario il turista tedesco, sono certo avresti cura di tradurre in lingua il claim della tua pubblicità. Giusto?
Giusto!
È proprio sulla lingua che Barilla è caduta – a mio modestissimo avviso – seppur nel caso specifico il problema non sia l’italiano ma… il siciliano!
Il siciliano è una bruttissima bestia! Sia chiaro, lo dico da siciliano doc.
PROBLEMI DI LINGUA
Conosci quella storiella degli eschimesi riguardo a quanti termini utilizzino per indicare la neve?
È una mezza leggenda metropolitana – mezza perché ha un fondo di verità ma nelle aule viene ingigantita per consolidare le argomentazioni – ma fa al caso nostro e te ne offrirò un riassunto veloce.
L’eschimese è una lingua che in realtà è il risultato di più dialetti, Inuit e Yupik tra i i principali. È l’idioma di popolazioni presenti in Alaska, Canada, Groenlandia e Siberia, territori anche molto distanti tra loro e influenzati in modi diversi.
Il risultato è che in diverse sfaccettature, l’eschimese preveda decine (qualcuno dice centinaia) di modi diversi di definire la neve, che in italiano invece si indica con un solo termine.
Neve, appunto.
Ciò che per noi è neve, per gli eschimese è qanik, ovvero neve nell’aria, o aput, quindi neve già caduta sul terreno. Da queste due semplici radici si ricavano parole diverse, come qanipalaat (neve soffice a fiocchi nell’aria) o apusiniq (cumulo di neve sul terreno)
Non si può utilizzare un termine al posto di un altro. Se vuoi che un eschimese ti comprenda devi tenere conto di queste sfumature.
QUALCUNO LO DICA A BARILLA!

L’errore grossolano di Barilla non è diverso.
Per una colorata (rimanendo in tema) campagna di branding, la nota marca Italiana ha deciso in Sicilia – rispettivamente Palermo, Catania e Messina – di far leva su un linguaggio “autoctono” e su stereotipi della “saudade sicula”.
La scelta di un copy così territoriale va ricercato nel tentativo di avvicinarsi al pubblico target, di far passare il prodotto Barilla come un made in Italy 100% che racchiude i valori, le tradizioni e le bellezze del Bel Paese e per questo da preferire ad altri competitor.
In questa sede sorvoleremo sul fatto che proprio Barilla è stata ed è tutt’ora al centro di una fastidiosa bagarre riguardo al fatto che il grano utilizzato per pasta e preparati non sia italiano al 100% ma mescolato ad altri grani provenienti da paesi appartenenti e non all’Unione Europea.
Insomma, non proprio una politica nazionalistica.
Il claim per le 3 città siciliane ha la stessa radice, “dolce come….”.
La declinazione cambia per ognuna delle tre città.
“Come i colori della Vucciria” nel caso di Palermo, “come la mattina del 5 Febbraio” cara ai catanesi perché festa di Sant’Agata patrona, “come rivedere casa al mare” per i messinesi, spesso costretti a trascorrere da pendolari molte ore sul traghetto.
Il claim in tutti i casi è stato disposto su un letto di pomodorini datterino (da siciliano mi auguro siano di Pachino) e un bel barattolone di salsa Barilla.
“Che c’è di male” starai pensando…?
Se sei di Milano – come ci sei finito nel nostro blog? – assolutamente nulla.
Se invece hai sangue arabo-normanno nelle vene sai benissimo che la frase sviluppata non ha davvero alcun senso.
ANALIZZANDO PER BENE…
Nella lingua italiana l’aggettivo dolce si attribuisce a tutti i prodotti alimentari che contengano zucchero, miele o qualsiasi altro ingrediente conferisca dolcezza, e per estensioni i dessert in genere.
Dolce può essere un pomodorino datterino, ma di sicuro non un mercato storico o una data del calendario o un’immagine evocativa.
Se stai pensando che è una semplice sinestesia, puoi fermarti e non leggere oltre. Rimane una sinestesia non riuscita, proprio perchè in Sicilia l’uso del termine assume altri significati.
La spiegazione di un uso scorretto del termine va ricercata nella licenza poetica che il siciliano avrebbe potuto offrire, dialetto che attribuisce a “duci” significati più numerosi che vanno ricercati anche nell’ambito della bellezza e dell’estetica.
Un sorriso può essere duci, una persona o un cucciolo, un comportamento particolarmente affabile e – perché no – un colore particolarmente gradevole.
Tuttavia nessun palermitano – sui catanesi non posso garantire – utilizzerebbe duci per descrivere un mercato popolare.
- Perché utilizzare il termine in italiano che è di per sé un grossolano errore.
- Se l’origine della scelta era la forma dialettale duci, perché “italianizzarla” privandola appunto di quelle sfumature tipiche del dialetto isolano, sfumature che molto probabilmente avevano dato origine allo slogan stesso?
- Se invece l’intenzione era quella di dar vita ad una figura retorica, come mai proprio in Sicilia, terra in cui una frase del genere non avrebbe mai potuto funzionare per via dell’influenza dialettale?
Avremmo potuto accettare la sinestesia se il claim fosse stato uno e univoco per l’intero territorio nazionale. Il fatto che lo slogan sia stato utilizzato solo sull’isola, lascia poco spazio al dubbio.
Quella frase è un tentativo maldestro di far credere a noi siciliani che dentro quel barattolo di sugo ci fosse un po’ della nostra terra.
DOLCE COME LE MIE CONCLUSIONI
Avrei davvero voluto essere presente al brainstorming creativo che ha dato origine ad una scelta così azzardata e, ahimè, scellerata.
Dubito che in quella sala riunione fosse presente un palermitano, o un catanese a guidare i colleghi in una considerazione così banale eppure così spinosa.
Si potrebbe dire che discutere della validità della pubblicità sia a sua volta pubblicità.
Bene o male purché se ne parli.
Touchè.
La polemica intorno ad un messaggio può essere una cassa di risonanza eccezionale, ancor più se accesa ed aspra.
Ce lo insegnano Pandora con il discusso claim di San Valentino, o ancora Buondì Motta che deve il suo successo social proprio agli haters che ne sono diventati ironici testimonials.


In ogni caso ditelo ai signori di Barilla.
La Vucciria di Palermo può essere chiassosa, è certamente affascinante, può essere definita storica o pittoresca.
Un turista potrebbe definirla “wunderbar”, ma mai e dico mai sentirete dire che è dolce né tantomeno “duci”.
Dalle nostre parti quando un pomodoro viene calpestato si dice che sia stato “scafazzato”.
Un termine onomatopeico che utilizziamo anche per connotare un’idea finita male, uno scivolone, una figuraccia in pubblico.
Insomma, Barilla a questo giro in Sicilia l’hai decisamente “scafazzata”, e non per colpa dei pomodori!
I migliori 8 video di marketing di sempre
I migliori 8 video di marketing di sempre
Ogni giorno vengono visionati filmati su YouTube per oltre 500 milioni di ore.
Non rende l’idea, vero?
Allora mettiamola in questo modo.
Avresti bisogno di cinquantasettemila anni per vedere tu da solo la quantità di ore/video che in un solo giorno vengono consumate su YouTube.
Sia chiaro, dovrai trattenere la pipì.
Penso non sia necessario aggiungere altro per farti comprendere che
- Se stai comunicando già il tuo brand attraverso i video pollice in su
- Se non lo fai ancora tanti pollici in giù e ammonizione ufficiale.
Soprattutto i settori beauty, design e live stream sono dipendenti dai contenuti video.
Molte aziende cominciano a comprendere il perché è corretto comunicare attraverso i video; la percentuale di aziende che fanno ricorso ai video, infatti, aumenta di anno in anno, di settore in settore.
Si stima che l’anno prossimo l’85% della comunicazione web passerà attraverso contenuti video.
Il cervello umano elabora le immagini con una velocità esponenzialmente maggiore rispetto all’elaborazione di un testo.
D’altra parte il videomarketing è una branca ben definita del marketing, che si muove con regole sue e strategie uniche.
I Social Network consentono la messa in opera di una video strategy vincente con budget pubblicitari non necessariamente esosi. Un ottimo video e un’ottima targetizzazione del pubblico potrebbero rendere virale un contenuto in poche ore.
Cosa serve?
Per produrre un buon video occorre organizzare un efficace brainstorming, elaborare idee creative e accattivanti, un team che lavori alla parte tecnica, ai testi, al “messaggio” che si vuole far passare e alla diffusione in ultima battuta.
Se stai pensando a quei classici video molto vintage dove vengono ripresi gli ambienti dell’azienda, con gli operai al lavoro sorridenti, e il presidente della società in giacca e cravatta che si auto-loda, attribuendosi una lunga sfilza di inimitabili qualità… stai pensando nel modo sbagliato.
Oggi fare video content passa necessariamente da uno step creativo se si vuole essere efficaci.
A corto di idee?
Guarda quali livelli di follia e genio puoi raggiungere con un pizzico di fantasia e – innegabilmente – stanziando un budget ben definito ai contenuti video.
1. SQUATTY POTTY – Pooping will never be the same
Come pubblicizzare un prodotto che per sua natura stimola – che ridere! –
l’ironia e rischia di trasformarsi in una buffonata?
Attraverso l’ironia e rendendolo una buffonata!
Grazie all’ironia appunto, il marketing può affrontare un tema assolutamente tabù e scivoloso – oddio, basta doppi sensi! – e utilizzare il video per educare il consumatore sull’uso corretto (e necessario) del prodotto.
Inutile porre il focus sull’aspetto salutare, meglio puntare sul raptus “like & share for cazzeggio con gli amici” per aumentare la visibilità del video e raggiungere quante più persone possibili.
2. Android – Friends Forever (2015)
Ci sono tre cose che devi assolutamente sapere per apprezzare al massimo questo video:
- La prima è che le storie più efficaci sono quelle in cui i protagonisti sono animali. Pensa ai grandi classici Disney o le favole di Esopo.
- La seconda è che circa l’80% delle persone si dichiara amante degli animali in genere, circa il 30% in particolare modo dei gatti.
- La terza che è scientificamente provato che guardare video di animali aumenti la produzione di serotonina influenzando un benessere psichico e una riduzione dello stress percepito.
Si completano le valutazioni sull’efficacia del video con un uno slogan ben riuscito che spinge a stare insieme senza perdere la propria particolarità e senza uniformarsi.
Riassumendo, Scegli Android, sii felice e inimitabile.
3. Coca Cola – La macchinetta della felicità
Un distributore di Coca-Cola si trasforma in un distributore di buon umore.
C’è bisogno che ti spieghi che associazioni fa il nostro cervello?
L’effetto sorpresa, ma soprattutto l’omaggio inaspettato, creano un profondo senso di gratitudine nel consumatore che aumenta il suo legame con il prodotto. Se devo bere una bibita, sceglierò sempre quella che mi ha dato di più.
Naturalmente un video come questo, oltre a raccontare una bellissima operazione di “unconventional marketing” spinge l’utente a condividere la propria approvazione.
Quanti soldi servono per produrre un video del genere? Pensaci, qualche telecamera nascosta, e una macchinetta modificata.
Non hanno mica ingaggiato George Clooney!
4. Reebok – 25,915 giorni
Reebok cala l’asso con un video davvero ben fatto.
Anziché produrre un video sulle qualità di un prodotto, l’azienda ha pensato bene di raccontare i benefici dell’attività fisica, fatta a prescindere dall’eta e dall’equipaggiamento utilizzato.
La durata media della vita umana è di 25.915 giorni e Reebok sfida ognuno a viverla pienamente attraverso lo sport (per il quale va da sé è necessario acquistare abbigliamento tecnico).
Una vita atletica infatti “sovvertirebbe” il naturale invecchiamento, rendendoci sempre più forti e giovani nonostante l’avanzare degli anni.
La musica e un videomaking incalzante e ritmato trasferiscono emozioni affini al coraggio, alla sfrontatezza e alla vittoria.
Chi di noi non vorrebbe sentirsi un vincente?
Anche il BB Team crede nei benefici dell'attività fisica.
Non ci credi? Guarda come abbiamo raccontato la sfida di Davìd.
5. Dove Real Beauty Sketches – Sei più bello di quanto pensi
Anche la donna più sicura di sé nutre dubbi sul proprio aspetto fisico. Un’azienda come Dove, che produce prodotti per la cura del corpo, non può non tenere presenti le esigenze, i disagi più intimi, le sensazioni e le speranze del suo principale target. Le donne.
Con questo video Dove mette in luce la differenza che c’è tra l’immagine che abbiamo di noi stessi e il modo in cui gli altri ci percepiscono. Il risultato è che siamo migliori di quanto noi stessi pensiamo, più belli, più positivi.
La musica, la location scelta e le luci catturate durante le riprese completano una realizzazione davvero eccellente, nonostante gli oltre 6 minuti di video, in totale controtendenza con le abitudini social.
6. Allego – cosa stai cercando a Natale?
Allegro è un e-commerce polacco.
Con questo video il sito non vuole decantare le qualità dei prodotti che vende (sarebbero così tanti) ma far comprendere che dietro un acquisto ben fatto si nascondono grandi motivazioni e grandissimi benefici.
La gente non acquista ciò che gli serve davvero, ma ciò che gli trasmette emozioni eccezionali.
Per questo il video si conclude con un colpo di scena intenso e ricco di significati toccanti.
7. GoPro – Un Vigile del Fuoco salva un gattino
La comunicazione GoPro è sempre stata accompagnata dallo slogan “Be a Hero” dove con il termine Hero si fa riferimento tanto all’eroe moderno quanto alla action camera prodotta dall’azienda.
L’eroe moderno per un prodotto del genere è l’atleta estremo. Paracadutisti, skaters e bikers hanno sempre fatto da testimonial per il brand. Con questo video però l’attenzione si sposta su altro tipo di eroi, e su un nuovo modo di utilizzare i prodotti GoPro
Costi di produzione? Pensa che è stata utilizzata semplicemente una Hero4 per le riprese!
8. Modi stupidi di morire
Sai a cosa la gente presta meno attenzione in assoluto?
Agli avvertimenti sulla sicurezza.
Nessun vuole sentirsi dire cosa deve fare per non correre rischi.
In che modo il classico “Stai Attento!” Può diventare efficace e virale allo stesso tempo?
Dai, arrivati in fondo a questo articolo la risposta dovresti già conoscerla.
Un bel video.
Oltre 2 minuti di animazione elementare e semplice, una canzoncina ripetitiva come le filastrocche per bambini e un titolo da premio Nobel.
Modi stupidi di morire. Modi incredibili per ottenere oltre 170 milioni di visualizzazioni e generare un valore di oltre 50 milioni di dollari.
Ah, gli incidenti in metro a Melbourne (dove è stato lanciato e prodotto il video) sono calati del 30% e dopo appena 6 mesi dalla distribuzione del video, l’azienda ha prodotto anche un videogame su app per smartphone.
Si può decidere di essere piccoli?
Si può decidere di essere piccoli?
La conosci la storia di Peter Pan?
Vabbè, si lo so, la conosci benissimo. Era per rompere il ghiaccio.
Tornando a Peter Pan, il nostro bulletto dell’Isola che non c’è proprio non voleva crescere.
Gettarsi nel mondo degli adulti, doversi sottomettere a così tante regole e formalità, dover vivere lo stress di imparare, di andare oltre le proprie conoscenze e tenere il passo in un mondo iper-competitivo e cinico.
Stiamo ancora parlando di Peter Pan? Si.
Ma anche no.
Non voglio confonderti. Anzi, rifletti insieme a me su questa domanda:
La tua azienda è piccola o grande?
Sappiamo benissimo che il mercato lo fanno le grandissime aziende, i colossi internazionali.
Tuttavia in quello stesso mercato sono decisamente più numerose le piccole e medie imprese.
In realtà, se proprio vogliamo andare a fondo a questo luogo comune, la maggior parte del mercato è composto da piccolissime aziende, con meno di 10 dipendenti, artigiani, professionisti.
Allora è più corretto dire che la maggior parte del profitto sta alle grandissime aziende, le piccole si dividono la restante parte.
Questa non è una cattiva notizia in fondo.
È chiaro che una piccola azienda – per piccola intendiamo attività locali, artigiani – non può sovrastare il messaggio pubblicitario di un colosso che fa del marketing di massa la sua arma più potente.
È proprio per questo che le piccole aziende dovrebbero smettere di provare a vendere a tutti, e cominciare a selezionare minuziosamente i clienti.
Hai sentito bene. Se stai pensando che in tempo di crisi – a ridaje co’ sta crisi – non possiamo permetterci di fare gli schizzinosi, sappi che… non è quello che sto dicendo.
La verità è che le piccole aziende fanno una fatica – economica e fisica – sproporzionata nel cercare di mostrarsi ad un pubblico quanto più ampio possibile.
Al contrario, sono proprio le attività familiari, i piccoli artigiani, i produttori locali che hanno più bisogno di identificare correttamente i propri clienti.
Una volta definito il profilo ideale sarà più facile, anche grazie ai moderni strumenti di promozione, spendere in modo oculato anche piccoli budget pubblicitari veicolandoli sul target giusto.
Identificare il cliente ideale, chiarire il sistema di valori, costruire un’immagine chiara e coerente, sfruttare il direct marketing e programmare una strategia di Inbound Marketing è più urgente per una piccola impresa che non per un brand affermato.
NON BISOGNA CRESCERE PER FORZA
Non tutte le piccole aziende mirano a diventare grandi.
Non tutti i ristoratori vogliono aprire catene in franchising e non tutte le sartorie vogliono ateliers nelle capitali europee.
È legittimo che ognuno abbia ambizioni diverse.
Sia chiaro, quando diciamo “piccola” non intendiamo approssimativa o #FattoInCasaConPassione.
Un’azienda può esprimere un prodotto/servizio di primissima qualità lavorando con piccole produzioni o mantenendo le tradizionali lavorazioni a mano che naturalmente richiedono più tempo.
Ad esempio un forno locale può perseguire l’uso di grani antichi, lievitazioni lente e naturali. Può rigettare l’uso di prodotti chimici o surrogati.
Può farlo mantenendo lo stesso staff di sempre, un unico punto vendita e applicando costi che sostengano l’intero business senza la ricerca spasmodica di una fetta di mercato più ampia. A quel punto gli basterà identificare una value proposition chiara e diretta per posizionarsi senza ambiguità sul mercato.
Un calzaturificio a conduzione familiare potrebbe concentrarsi su scarpe di vera pelle, prodotto perfetto per professionisti affermati.
Potrebbe poi completare la proposta commerciale con un prodotto per la pulizia efficace delle scarpe, rimanere a conduzione familiare per mantenere alte attenzione e competenza sulla produzione, e concentrarsi sul livello di fidelizzazione con i propri clienti prima ancora che pensare di trovarne di nuovi.
LAVORARIAMO CON I PICCOLI E NE SIAMO FIERI
Noi siamo piccoli!
Fai un giro sul nostro sito. Siamo pochi ma buoni, abbiamo entusiasmo e ci divertiamo parecchio nei momenti creativi. Il nostro ufficio è maledettamente piccolo, ma è vero che se fosse più grande ci parleremmo meno.
Piccolo non vuol dire sfigato.
Nel settore del marketing, le agenzie tendono a ricercare clienti “grandi”, brand prestigiosi che possano conferire parte di quel prestigio. La fama di un’agenzia di comunicazione è direttamente proporzionale alla fama dei marchi che tratta. Almeno così si dice in giro.
Eppure noi troviamo ugualmente appagante lavorare con piccole o grandi aziende a patto che vi sia una visione, un intento preciso e tanto entusiasmo. Nel nostro portfolio coesistono piccoli e grandi marchi, non facciamo distinzione.
Spesso ci sediamo a tavolino con aziende locali e riscopriamo valori meravigliosi da comunicare. Appartenenza territoriale, produzioni storiche, folklore e tradizioni, storie di famiglia attraverso generazioni di sacrifici.
Alle volte ci soffermiamo ad analizzare il marketing di marchi più blasonati che sembrano però parlare a tutti e a nessuno. Tavoli su cui fatturato, ricavo, investimento sovrastano qualsiasi altra considerazione.
Si può essere piccoli per scelta o per sorte, ma la cultura d’impresa va al di là della grandezza del brand.
Il panificio, la farmacia, il mini market, la gelateria artigianale.
Il “chioschetto” notturno o la pasticceria storica, possono sviluppare un marketing mirato e diretto al loro cliente tipo, dimenticando promozioni su “maxi formato” o ”larga scala” o peggio “massima diffusione”.
Se i piccoli imprenditori capissero che è più facile, meno dispendioso e più profittevole parlare da piccola azienda soltanto ai clienti in target, probabilmente avremmo più clienti.
E a quel punto, diventeremmo grandi?